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  • g78 8/2 pp. 12-15
  • I Tasaday: Un popolo dell’“età della pietra”?

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  • I Tasaday: Un popolo dell’“età della pietra”?
  • Svegliatevi! 1978
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  • Scoperti gli abitanti della foresta
  • Nel mondo dei Tasaday
  • Come vivono i Tasaday
  • Il messaggio dei Tasaday
  • Ci fu una preistorica “età della pietra”?
    Svegliatevi! 1973
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Altro
Svegliatevi! 1978
g78 8/2 pp. 12-15

I Tasaday: Un popolo dell’“età della pietra”?

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nelle Filippine

“RESTI moderni dell’età della pietra”; “Gli esseri umani più primitivi finora scoperti”; “I primi ‘cavernicoli’ viventi che si conoscano”. Con tali notizie, i giornali richiamarono l’attenzione del mondo su una tribù composta di venticinque membri abitanti nella fitta giungla di Mindanao, nelle Filippine meridionali. In seguito alla loro scoperta furono organizzate varie spedizioni composte di antropologi filippini e americani, corrispondenti di giornali, équipes televisive della National Geographic Society, un ministro del governo filippino e il defunto Charles A. Lindbergh, sostenitore della conservazione della natura.

Perché un così piccolo gruppo di persone come i Tasaday attirava interesse e attenzione senza precedenti? Che cosa li rende così speciali? Può la moderna società civilizzata imparare qualcosa da questa piccola schiera di uomini primitivi?

Scoperti gli abitanti della foresta

La scoperta dei Tasaday fu del tutto accidentale. Un giorno del 1966, un cacciatore di un villaggio al limitare della foresta si imbatté in loro mentre metteva le trappole per i cinghiali in una zona molto interna sui monti di South Cotabato. Seguendo una pista di strane orme, si imbatté in tre ometti bruni che indossavano solo perizomi fatti di foglie. Con bastoni aguzzi stavano dissotterrando una grossa radice. Spaventati fuggirono. Ma il cacciatore li inseguì, gridando: “Sono buono! Sono buono”. Infine, tremando, gli uomini si fermarono nel letto di un fiume.

Sebbene la lingua del cacciatore fosse affine a quella dei Tasaday, egli ricorse al linguaggio dei segni perché aveva difficoltà a comunicare. La tribù del cacciatore vive praticamente dorso a dorso con i Tasaday, ma la differenza che c’è fra le loro lingue si può paragonare a quella che c’è fra l’antica lingua germanica e l’inglese d’oggi. Gli scienziati ne hanno dedotto che siano rimasti isolati per un migliaio d’anni. Infatti, il nome stesso Tasaday risulta dalla combinazione della parola malese sadai (“abbandonato”) e dalla parola maleopolinesiana tawo (“uomo”)! Tasaday è anche il nome della vetta boscosa che sovrasta la loro valle nascosta. Il loro isolamento è stato così completo che, ai primi contatti, non sapevano neppure che esistesse una nazione chiamata Filippine.

L’esistenza di questa tribù divenne nota al mondo esterno grazie agli sforzi di Panamin, un’agenzia governativa che opera negli interessi delle minoranze culturali delle Filippine. Nei primi incontri tra il cacciatore e gli uomini della tribù al limitare della foresta, non si sapeva che abitavano in caverne, e non ci furono tentativi immediati per addentrarsi nella foresta pluviale. La decisione di visitare le caverne fu presa al fine di proteggere i Tasaday da tagliaboschi, agricoltori, allevatori e minatori che a poco a poco occupavano il loro regno sempre più piccolo. Non molto tempo dopo, il presidente delle Filippine firmò un decreto con cui venivano riservati loro circa 200.000 ettari di terra.

Nel mondo dei Tasaday

Il 23 marzo 1972 fu il giorno in cui i primi intrusi — del ventesimo secolo — misero piede nel mondo dei Tasaday. L’elicottero era il solo mezzo di trasporto che potesse efficacemente portare la spedizione a breve distanza dalle caverne. Poiché la fitta giungla rendeva impossibile l’atterraggio, fu fissata una piattaforma di legno alla cima di un albero. I membri della spedizione dovevano saltare dall’elicottero sulla traballante piattaforma che ondeggiava come una canoa in acque agitate a causa delle correnti d’aria prodotte dalle pale dell’elica. Lindbergh disse che il suo salto era stato “come passare attraverso lo specchio” dai tempi moderni a quelli antichi.

Dalla cima dell’albero, il gruppo si calò a terra, una discesa di ventitré metri. Lì a incontrarli c’era un giovane Tasaday che indossava solo il perizoma. Dopo una camminata di un’ora giù per una cresta e lungo uno scintillante torrente, la comitiva giunse alle abitazioni dei Tasaday: tre caverne calcaree situate a cinque metri da terra, a un’altitudine di 1.370 metri. Eccoli lì, nel profondo interno di una foresta pluviale tropicale, umida e ricoperta di lussureggiante vegetazione. Tutt’intorno c’erano felci gigantesche e orchidee, malacca, bambù rampicanti, banane selvatiche e palme; inoltre, sui ripidi fianchi della vallata si scorgevano enormi, torreggianti alberi delle Dipterocarpacee alti più di trenta metri, con la chioma proiettata verso il cielo.

Teste curiose fecero capolino dalle sporgenze delle caverne, mentre gli occhi esaminavano attentamente i primi estranei che mettevano piede in questa valle sperduta. Da una caverna si affacciò un ragazzo che, avvolte le braccia e le gambe attorno a un sottile albero dalla corteccia bianca, scivolò a terra, una discesa di cinque metri. Si unì agli altri che gridavano e saltellavano su un sentiero polveroso per far crocchio attorno ai visitatori. Mentre la scena si svolgeva sotto i loro occhi i visitatori rimasero senza parola! Ecco uomini, donne e bambini che portavano solo orecchini e perizomi e gonne di foglie d’orchidea, bella gente dalla pelle abbronzata e dai soffici capelli neri. Erano molto diversi dalle pelose e goffe creature scimmiesche disegnate dagli evoluzionisti. No, questi uomini non picchiano le loro donne con la clava né le trascinano per i capelli. Sono probabilmente le persone più gentili della terra.

Come vivono i Tasaday

Quando fu scoperta, la tribù era composta di cinque famiglie con tredici bambini. I Tasaday praticano la monogamia, e il divorzio non è previsto né vi sono disposizioni in merito. Le coppie si uniscono per tutta la vita, “finché non facciamo tutti i capelli bianchi”, dissero Kulataw e Sikal, una coppia di Tasaday. I matrimoni sono solennizzati principalmente con la riunione della tribù all’ingresso della caverna principale, dove attorno alla nuova coppia si forma un gruppo che dice semplicemente: “Mafeon, mafeon” (“Bene, bene”). I Tasaday hanno preso mogli anche dai gruppi Tasafang e Sanduka che vivono sulle montagne e coi quali hanno avuto contatti limitati.

Un attento sguardo alle caverne, la più grande delle quali misura nove metri per undici, è rivelatore. Sulle pareti non esistono né disegni né segni, e il pavimento viene spazzato a fondo con rami, senza lasciare rifiuti. Non vi sono mobili, eccetto alcune stuoie di corteccia. Si vedono pure alcuni pezzi di legno secco da bruciare e un po’ di bambù, arnesi di legno e di pietra. Le pareti delle caverne scintillano come carbone lucidato in seguito ad anni di esposizione alla caligine prodotta dai fuochi usati per cucinare e riscaldare le caverne nelle sere fredde.

La principale attività della giornata è la raccolta del cibo, e richiede gli sforzi di tutti. Normalmente dedicano tre ore alla raccolta del cibo, e il menu dipende da quello che trovano: granchi, pesci e girini, che i Tasaday prendono con le mani nude tastando attorno e sotto le rocce nei torrenti. Non sanno cosa sia l’agricoltura e raccolgono solo quello di cui hanno bisogno quando lo trovano. La loro alimentazione include frutta, bacche, fiori, germogli di bambù, ignami e il midollo della palma selvatica con cui preparano una torta amidacea detta natak. Cucinano il cibo dentro sezioni di bambù o avvolto in foglie che mettono direttamente sui carboni ardenti. Fra parentesi, fanno il fuoco girando un trapano di legno fra le mani finché l’attrito non ne fa accendere la punta. Vi si accosta allora un po’ di muschio secco e quando questo si accende, vi si soffia sopra e la fiamma divampa. L’intero processo richiede cinque minuti.

Poiché il cibo abbonda, i Tasaday non si allontanano dal loro ambiente come le tribù nomadi che si spostano quando il cibo si esaurisce. L’intera foresta è un ‘supermercato’ per i Tasaday. Si afferma che non si siano mai avventurati a più di otto chilometri da casa loro. “I nostri padri e i nostri nonni ci dicevano che potevamo andare nella foresta di giorno, ma che dovevamo sempre tornare alle caverne di notte”, disse uno di loro. Si pensa che forse malintesi, guerra o timore del vaiolo (fugu) facessero interrompere i contatti fra i Tasaday e le altre tribù manobo da cui ebbero origine.

Dopo il pasto di mezzogiorno, trascorrono il pomeriggio a riposare, dormire o togliersi a vicenda dai capelli foglie secche, rametti o pidocchi. Fu visto un ragazzino che trascinava una farfalla attaccata a uno spago, come si farebbe con un aquilone. Si accontentano di poco, e non hanno parole per dire riso, sale, zucchero, ago o tabacco. Sebbene l’alimentazione dei Tasaday sia povera di calorie (da 1.000 a 1.500 al giorno), denutrizione, carie dentaria, malaria e tubercolosi sono sconosciute fra loro. Quando i visitatori chiesero loro che cosa volessero, essi risposero: “Che cosa intendete con ‘volere’?”

Il messaggio dei Tasaday

Inoltre i Tasaday non hanno nella loro lingua una parola che voglia dire combattere. Non sanno cosa sia la guerra e non hanno idea della violenza. Manuel Elizalde, direttore del Panamin e ministro del governo a capo della spedizione, dichiarò: “Non conoscono tutti i problemi che mandano le persone in manicomio e danno inizio a guerre e faide e tutto il resto. Tutte queste cose sono loro sconosciute”.

Gli evoluzionisti pensavano che la scoperta dei Tasaday avrebbe rinforzato la loro pericolante teoria. Ma, nonostante siano rimasti praticamente tagliati fuori della civiltà per secoli, la disciplina e la rettitudine dei Tasaday sono una prova che l’uomo non è solo una forma di animale superiore. A differenza degli animali, egli ha la facoltà della coscienza, e anche l’impulso di adorare. Cosa interessante, questo bisogno di adorare fu evidente nel modo in cui i Tasaday consideravano il ministro Elizalde. Credevano fosse il “dio bianco” che un giorno doveva scendere in mezzo a loro e fargli visita.

Cosa degna di nota è che un popolo tagliato fuori della moderna tecnologia con tutte le sue comodità è potuto emergere dal proprio isolamento ancora in buone condizioni mentali e fisiche e con ottimi valori morali, mentre l’uomo “civilizzato” d’oggi è afflitto da problemi come malattie mentali e fisiche, inquinamento mondiale, crisi morale e costante timore della guerra.

Alcuni commiserano i Tasaday perché non hanno le comodità e le complicate invenzioni del mondo. Tuttavia, le persone riflessive li invidieranno per il loro semplice modo di vivere, rammentando ciò che dice la Parola di Dio, la Bibbia: “Non abbiamo portato nulla nel mondo, e non ne possiamo portare fuori nulla. Quindi, avendo nutrimento e di che coprirci, di queste cose saremo contenti”. — 1 Tim. 6:7, 8.

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