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  • g80 22/3 pp. 21-24
  • Amazzonia, un punto scottante

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  • Amazzonia, un punto scottante
  • Svegliatevi! 1980
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  • La più grande foresta pluviale tropicale del mondo
  • Delicato equilibrio ecologico
  • Amazzonia: i “polmoni della terra”?
  • Fine delle popolazioni indigene?
  • Rilevamenti
  • Valorizzazione attuale
  • Il futuro
  • Alla ricerca di soluzioni
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  • Il maestoso Rio delle Amazzoni: via d’acqua vitale per milioni di persone
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    Svegliatevi! 1997
Altro
Svegliatevi! 1980
g80 22/3 pp. 21-24

Amazzonia, un punto scottante

L’improvvisa campagna lanciata per sfruttare il bacino amazzonico ha dato luogo a una delle più accese controversie ecologiche del secolo. Tratti di foresta pluviale tropicale sono incendiati. Il resto del mondo si chiede quali saranno gli effetti di lunga portata. La più grande foresta del mondo diventerà un deserto rosso? Il nostro corrispondente è andato a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia, per vedere di persona.

“IL BRASILE brucia”, ha esclamato il segretario speciale del Brasile per l’ambiente. Altri uniscono alla sua la propria voce di protesta. Le notizie sulla possibilità che la vasta regione amazzonica venga trasformata in un “deserto rosso” per l’anno 2000 hanno messo in allarme gli scienziati, l’uomo comune e il governo del Brasile.

Le foto ottenute coi satelliti rivelano che in una superficie di 55 milioni di ettari (l’estensione della Francia), ne sono stati diboscati quattro milioni. È una superficie superiore a quella dell’Olanda. C’è di più: alcuni famosi scienziati esprimono la convinzione che forse niente meno che il 10 per cento della foresta pluviale amazzonica è già stato distrutto.

D’altra parte, la rivista Veja esprime il parere di molti brasiliani: “È anche naturale che l’Amazzonia non possa rimanere chiusa allo sfruttamento economico a tempo indeterminato, come se fosse un giardino botanico: il paese ha senz’altro bisogno delle ricchezze di questa regione”.

Cos’è in gioco nell’Amazzonia? Com’è realmente la foresta amazzonica?

La più grande foresta pluviale tropicale del mondo

L’Amazzonia è una regione che si estende sul territorio di otto paesi. Incluso il bacino del Tocantins, copre una superficie di 7.000.000 di chilometri quadrati, o pressappoco la grandezza dell’Australia. In Brasile copre quasi 5.000.000 di chilometri quadrati. Sebbene sia la più grande foresta pluviale tropicale del mondo, solo il 65 per cento dell’intera regione è più o meno fitta foresta. Il resto consiste di prateria, aperta campagna e terre coperte di arbusti. Un’incredibile rete capillare di corsi d’acqua, lunga 80.000 chilometri, attraversa in lungo e in largo questa immensa regione. Oltre 23.000 chilometri, che equivalgono a più di metà della circonferenza terrestre, sono navigabili.

La sua composizione è così varia che recentemente i ricercatori hanno identificato 179 specie di alberi del diametro di 15 centimetri in un ettaro di terra soltanto. Complessivamente, nella foresta crescono circa 4.000 diverse specie di alberi. Ma si sa così poco di loro e del loro potenziale che ne vengono sfruttati solo sei o sette per fini commerciali. Fra i più conosciuti ci sono i lucidi alberi della noce del Brasile, mogani, cedri e alberi della gomma.

In linea di massima, si dice che oltre 60.000 specie di piante tropicali siano originarie del bacino amazzonico. Questo è quasi un quarto di tutte le piante conosciute. Non c’è nessun’altra concentrazione di piante tropicali sulla terra che l’uguagli. E molte migliaia d’esse non sono mai state classificate. Né sono stati studiati tutti gli animali, gli uccelli, i pesci e gli insetti. Per secoli la foresta amazzonica è rimasta praticamente inviolata.

Perciò, cosa significherebbe per l’uomo un diboscamento massiccio dell’Amazzonia? Secondo gli scienziati, la conoscenza completa della flora e della fauna amazzonica potrebbe andar perduta ancor prima di venire a galla del tutto. A una recente Conferenza sulle Specie in Pericolo tenuta a San José, in Costa Rica, David Munroe, presidente dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, ha detto:

“Ci sono argomenti straordinariamente validi da presentare a favore della salvezza della foresta pluviale. Nello stesso tempo i capi dei paesi in via di sviluppo credono che ci siano argomenti altrettanto validi per abbatterla e impiegare il denaro per il vantaggio economico delle popolazioni. A un certo punto si comincia a fare un ragionamento meno materialistico. La gente dovrà decidere che tipo di mondo vuole. Un mondo in cui tutto si possa convertire in termini economici e che abbia un aspetto piuttosto arido e monotono, o un mondo di grande valore riposto nella stupenda varietà di cose, con l’eccitante meraviglia che offre il mondo naturale e la bellezza di molte specie di vita che operano tutte insieme”.

Delicato equilibrio ecologico

Quali altri possibili danni potrebbero essere arrecati? Non è facile rispondere. La foresta amazzonica ha un complesso equilibrio ecologico ancora poco compreso. Per esempio, solo sei dei 1.100 fiumi del bacino trasportano sedimenti ricchi di sostanze nutritive. Quanto è dunque ricco il suolo in realtà? Il Brazil Herald scrive:

“Il nocciolo della questione è che l’aspetto di eterna fertilità dell’Amazzonia nasconde uno dei più fragili sistemi ecologici del mondo. Per citare le parole della scienziata americana Betty Meggers, l’Amazzonia è un ‘falso paradiso’, una foresta la cui lussureggiante vegetazione deriva non dal terreno ma dall’ininterrotto riciclaggio delle sostanze nutritive attraverso il denso manto della foresta”.

In effetti, il suolo dell’Amazzonia è sottile, fortemente acido e tutt’altro che fertile. Come riesce dunque a sostentarsi la foresta? Mediante il cosiddetto sistema nutritivo a ciclo diretto. Praticamente attorno a tutte le piante e gli alberi più alti c’è un intricato sistema di radici superficiali. L’acqua piovana filtra attraverso i vari livelli del fogliame e stacca dalle foglie, dai rami e dai tronchi degli alberi i sali minerali. Scendendo verso lo strato di humus che ricopre il suolo, l’acqua ricca di sostanze nutritive è parzialmente assorbita e conservata. Piante parassite, funghi e insetti fanno anch’essi la loro parte nell’alimentare la foresta.

Un altro fattore decisivo nel processo di sopravvivenza della foresta sono i 3.600 millimetri annui di precipitazioni. Il Latin America Daily Post diceva:

“Il cambiamento di vegetazione che avviene dopo il diboscamento potrebbe alterare i climi locali in alcune regioni tropicali. Sebbene questi cambiamenti siano tuttora oggetto di congetture, un lavoro di ricerca brasiliano è giunto alla conclusione che il 50 per cento della pioggia nel bacino amazzonico è generato dall’evaporazione dell’acqua della foresta stessa. Se la precipitazione è ridotta sensibilmente a seguito del diboscamento, l’intero equilibrio naturale del bacino potrebbe essere turbato”.

Questa scoperta fu una sorpresa, perché in altre regioni, come ad esempio lungo il Mississippi, solo il 10 per cento delle piogge sono causate da evaporazione locale, mentre il resto proviene dal mare.

Amazzonia: i “polmoni della terra”?

Molto è stato scritto sul fatto che l’Amazzonia costituisca i “polmoni della terra”. Ma è così? Si afferma che metà dell’ossigeno generato dalle piante terrestri provenga effettivamente dall’Amazzonia. Ma gli scienziati affermano pure che questo ossigeno sia in quantità minima in paragone con il volume totale di ossigeno presente nell’atmosfera. Il libro Amazon Jungle: Green hell to Red Desert? dice che equivalga solo allo 0,05 per cento della produzione annua di tutto l’ossigeno atmosferico e dissolto.

Comunque stiano le cose, c’è un altro fattore sconcertante. È la quantità di anidride carbonica che verrebbe liberata con la massiccia combustione dei rifiuti della foresta. Negli scorsi cent’anni la presenza di questo gas è già aumentata del 10 per cento. È chiaro che l’uomo interferisce pericolosamente nell’equilibrio ecologico.

Fine delle popolazioni indigene?

Molti chiedono: “In questa lotta per il progresso tecnico come se la passano le popolazioni indigene?” Nel 1500 in Brasile gli amerindi originari erano circa tre milioni. Nel corso dei secoli, le malattie e gli abusi degli occidentali hanno ridotto il loro numero a meno di 200.000. Nel 1970 ne rimanevano circa 42.000 nell’Amazzonia. Un funzionario della Fondazione Nazionale Brasiliana per gli Amerindi ha detto che oltre 3.000 amerindi nella regione hanno solo pochissimi contatti coi bianchi o sono noti solo attraverso le notizie di altri amerindi.

Questi indigeni primitivi, soprattutto di cultura tupi, vivono proprio nelle zone dove le operazioni minerarie e di altro genere portano avanti la campagna di valorizzazione della regione. Che ne sarà di questi amerindi? Ufficialmente hanno il diritto di vivere entro un’area delimitata. Ma il governatore di uno stato ha detto: “Il territorio non può permettersi di salvare mezza dozzina di tribù indigene che ostacolano il progresso”. La Fondazione per gli Amerindi sta cercando di localizzare e rappacificare le tribù ostili riunendole in zone circoscritte. Più di 100 tribù sono state risistemate in riserve. La più conosciuta è il Parco dello Xingu nel Brasile centrale.

Rilevamenti

Nel 1970 il governo brasiliano diede inizio a una serie di rilevamenti topografici a mezzo radar e fotografie detti “Radar dell’Amazzonia”, RADAM abbreviato. I lavori sono terminati nella primavera del 1979, per un costo di circa 1.500 milioni di cruzeiros (42 miliardi e mezzo di lire). Hanno perso la vita 55 uomini e sono andati distrutti sei aerei.

Che cosa rivelano questi studi? Confermano che il suolo amazzonico ha un’estensione di 500.000.000 di ettari. E il 70 per cento sarebbe adatto come terreno agricolo e per allevamenti di bestiame. Quasi 10 milioni di ettari sono definiti fertilissimi. Sebbene questa scoperta sia stata accolta come una buona notizia, i tecnici del RADAM sottolineano l’assoluta necessità di fare molta attenzione nello sfruttamento della regione e di tener conto dell’ecosistema estremamente delicato.

Naturalmente, le astronomiche quantità di legname che l’Amazzonia potrebbe produrre, insieme alla possibilità di usarlo per ridurre il debito del Brasile con l’estero di 1.200 miliardi di cruzeiros (34.000 miliardi di lire), hanno suscitato grande giubilo. Esistono anche immensi depositi di minerali. Secondo le stime i depositi di manganese di Amapá si aggirano sui 36 milioni di tonnellate. Uno dei più grandi depositi di minerali di ferro del mondo (con il 60 per cento di ferro solido) è situato nella catena montuosa di Carajás, nello stato di Pará. Le riserve di bauxite, minerale dell’alluminio, si aggirerebbero sui 500 milioni di tonnellate. Il caolino, usato come materia prima per le ceramiche e la carta e per raffinare il petrolio, è presente in quantità praticamente inesauribili. Inoltre, depositi di cassiterite (minerale dello stagno), salgemma, rocce calcaree, minerali atomici e oro sono lì per essere sfruttati.

Quali sforzi sono stati compiuti per effettuare uno sfruttamento razionale?

Valorizzazione attuale

Dieci anni fa l’Amazzonia era la più grande estensione vergine della terra, un gigante addormentato. Oggi è attraversata da quasi 16.000 chilometri di strade, tra cui la Trans-Amazon Highway, lunga 4.000 chilometri, e altre. Alla fine del 1977 più di un milione di persone si erano insediate nella zona. I fautori dell’ambiente sono preoccupati e avvertono che la regione rischia d’essere devastata. Potrebbe diventare il deserto amazzonico.

Comunque stiano le cose, la corsa è cominciata. Sono stati aperti centinaia di allevamenti di bestiame, alcuni estesi quanto nazioni europee. Sono molto comuni allevamenti con 20.000 capi di bestiame. Sono in costruzione enormi centrali idroelettriche, come quella sul Rio Tocantins, che dovrebbe produrre 6.700 megawatt. La quantità di investimenti privati è sconcertante. Il miliardario americano Daniel K. Ludwig, ad esempio, ha acquistato circa un milione di ettari di foresta lungo il Rio Jarí per coltivarvi alberi di eucalipto per la cellulosa, piantare riso ed estrarre caolino.

Il futuro

Come si può razionalizzare e controllare questo irresistibile progresso? Paulo Azevedo Berutti, presidente dell’Istituto per lo Sviluppo delle Foreste, ha sottolineato la necessità di incrementare il numero degli ispettori forestali. Nel 1977 le nazioni in cui si estende la regione amazzonica conclusero il Patto amazzonico, uno strumento sovrapolitico i cui obiettivi sono di assicurare congiuntamente lo sfruttamento e la supervisione delle operazioni di sviluppo.

Al principio del 1979 il ministro brasiliano dell’Interno Mário Andreazza ha annunciato le misure del governo per risolvere una situazione ingarbugliata. Ha dichiarato che le proposte e i programmi per l’occupazione dell’Amazzonia devono tenere presente la salvezza della regione e si devono discutere a livello nazionale.

Circondate da voci controverse, si odono anche note positive nella verde regione amazzonica con i suoi nove milioni di abitanti. Nell’Amazzonia brasiliana oltre 6.000 persone informano il loro prossimo che Geova Dio, il Creatore della terra, impedirà all’uomo di rovinarla completamente. Infatti, a due recenti assemblee cristiane tenute a Manaus e Belém, 8.000 persone hanno considerato il proposito di Geova di trasformare l’intera terra in un paradiso di delizia.

E questo include l’Amazzonia, la più grande serra del mondo.

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