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  • g85 22/4 pp. 12-14
  • Vincere è tutto?

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  • Vincere è tutto?
  • Svegliatevi! 1985
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  • Perché perdere è un’esperienza dolorosa?
  • Cosa ci vuole per vincere?
  • “È un gioco. Mantenetelo tale”
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    Svegliatevi! 1991
Altro
Svegliatevi! 1985
g85 22/4 pp. 12-14

I giovani chiedono...

Vincere è tutto?

“QUANDO vinco è normale. Quando perdo, è la fine del mondo”. Il mondo non finisce molto spesso per Martina Navratilova, il numero uno nella classifica mondiale del tennis femminile. Infatti perde di rado. Ma per sua stessa ammissione, perdere è un’esperienza traumatizzante.

“Eravamo stati battuti e io avevo un aspetto terribile. Dopo la partita mi rifugiai negli spogliatoi e piansi. Sembravo un gigante bambino seduto lì a piangere. Perdere era una cosa che detestavo, come detestavo nel modo più assoluto la brutta figura che facevo perdendo”. Non c’è dubbio che, già quando frequentava la scuola superiore, perdere era duro per l’altissimo giocatore americano di pallacanestro Kareem Abdul-Jabbar. Ti senti così anche tu quando perdi?

Perché perdere è un’esperienza dolorosa?

Perché perdere è così doloroso per molti di noi? Uno dei motivi è che ci è stato fatto credere che vincere sia l’unica cosa che conta. Arrivare secondi o terzi o partecipare soltanto equivale a perdere! Un ex calciatore dilettante tedesco afferma: “Una sconfitta è spesse volte un ‘canto funebre’ per lo spirito, che sfocia in critiche spietate”.

Il giornalista sportivo Leonard Koppett, un veterano nel suo campo, dice nel suo libro Sports Illusion, Sports Reality (L’illusione dello sport, la realtà dello sport): “Il pensiero di vincere diventa ossessivo. . . . Esercita un’influenza deleteria nella nostra cultura perché non è realistico (può esserci solo un numero uno) e perché ci impoverisce sminuendo tanti altri lati positivi: abilità, coraggio, dedizione, intelligenza pronta, sforzo soddisfacente, progresso, prestazione onorevole”. Si possono manifestare tante altre ottime qualità senza essere necessariamente il vincitore. Perdere dovrebbe dunque essere un trauma? Secondo Koppett, “è sciocco e riduttivo far dipendere ogni valore dal fatto che uno vinca o meno”.

Spesso sono proprio i genitori i primi a far pressione sul giovane perché vinca e provi piacere nello sport solo se vince. A volte essi cercano di realizzarsi attraverso i successi dei figli. Inconsapevolmente alcuni genitori danno l’impressione che sia in gioco la loro reputazione se i figli non vincono. Anche a scuola vengono esercitate pressioni. Parlando dell’allenatore che aveva a scuola, Abdul-Jabbar dice: “C’erano le sue pungenti critiche da affrontare se qualcuno arrivava anche solo vicino a batterci. Era impensabile perdere, e la pallacanestro smise d’essere un divertimento. . . . [Egli] ci allenava umiliandoci benevolmente. Stuzzicava il tuo orgoglio, sapendo che la cosa peggiore che possa capitare a un adolescente è quella di far brutta figura davanti ai compagni”. — Il corsivo è nostro.

Lì sta la chiave della sindrome del ‘vincere a ogni costo’: l’ORGOGLIO. A nessuno piace passare per uno stupido o esser fatto sentire inferiore perché ha perso. Il fatto è che se ti vanti perché vinci o ti disperi perché perdi, SEI inferiore. Perché? Perché come vincitore manchi di rispetto per la dignità e l’amor proprio di colui che perde. La Bibbia sottolinea questo pericolo dicendo: “Ma ora voi provate orgoglio delle vostre ostentazioni. Tutto questo inorgoglirsi è malvagio”. Se ti senti sconfitto perché hai perso, attribuisci troppa importanza a un’illusione: l’illusione che lo sport sia la vita reale quando in effetti è una “vanità” di breve durata. Il saggio re Salomone scrisse: “Io stesso ho visto tutto il duro lavoro e tutta l’abilità nell’opera, che significa rivalità dell’uno verso l’altro; anche questo è vanità e un correr dietro al vento”. Ricorda che quello che vali veramente come persona non dipende da pochi secondi o da pochi minuti di attività sportiva! — Giacomo 4:16; Ecclesiaste 4:4.

Cosa ci vuole per vincere?

“Se lo sport diventa una fatica . . . qualcosa non va”, ha detto lo scrittore James Michener. Queste parole introducono un altro aspetto della filosofia secondo cui vincere è l’unica cosa che conta. Di che si tratta? Dell’impegno totale.

Citiamo un esempio: Arthur Ashe, ex campione di tennis, ha scritto: “Si può prendere una ragazzina robusta di sette od otto anni e, con l’addestramento di esperti e circa 5.000 ore di esercizi e gare, ottenere presumibilmente entro sette od otto anni una tennista che sarà fra le prime 50. Ci vorrebbero circa 8.000 ore per un ragazzino di simile abilità”. Nota che anche dopo 5.000 od 8.000 ore di esercizi e gare, non c’è nessuna garanzia di ottenere la tennista o il tennista Numero Uno. Solo di ottenere “presumibilmente” un giocatore che sia fra i primi 50.

Essendo richiesto un impegno del genere, che pericolo correrebbe un cristiano? Dalle cifre di Ashe risulta che si deve giocare a tennis per tre ore al giorno, cinque giorni la settimana. Se il tennis richiede un impegno simile quali altri importanti interessi soffriranno? Quanto tempo rimane per una normale cultura generale? Quanto ne rimane per il progresso spirituale, quello più importante? Quanto tempo che potresti trascorrere in edificante compagnia dei familiari dovrai sacrificare? Queste non sono domande oziose per i giovani. La gioventù è il tempo in cui vengono poste — o trascurate — importanti basi per la formazione del carattere, della personalità e per la propria spiritualità.

Un recente articolo apparso nella rivista ’Teen illustrava i sacrifici che devono fare coloro che si dedicano alla ginnastica. Parlava di tre adolescenti candidate alle Olimpiadi, Mary Lou, Dianne e Julianne. Come avevano conseguito il successo? “Mary Lou dice che si tratta di un ‘impegno costante’”. Devono esercitarsi sei ore al giorno oltre al tempo che devono dedicare alla scuola e a quello che se ne va nei viaggi per le gare.

Ma tutto questo ha un prezzo. “Per tutt’e tre, la cosa più difficile fu quella di andarsene di casa prima dei 15 anni, per poter lavorare con un allenatore che fosse abbastanza bravo da aiutarle a dare il meglio di se stesse”. Julianne se ne andò di casa a 13 anni per prepararsi per le Olimpiadi del 1980. Ma fu inutile: gli Stati Uniti boicottarono i Giochi di Mosca.

Forse un punto di vista più equilibrato è quello del romanziere James Michener: “Lo sport dovrebbe essere un divertimento per chi vi partecipa. Dovrebbe provvedere uno sfogo dalle tensioni, una piacevole esuberanza man mano che il gioco progredisce . . . Se lo sport diventa una fatica, o una competizione spietata, o una semplice impresa commerciale, qualcosa non va. . . . Se il gioco non è divertente, ha perso almeno metà della sua giustificazione”.

“È un gioco. Mantenetelo tale”

Questo semplice consiglio è stato dato da Jack Nicklaus dopo essersi piazzato al secondo posto in un recente campionato di golf. Lo sport dovrebbe essere un divertimento e uno svago: un passatempo, “un gioco”. Lo sport non è la vita e la vita non è uno sport. Anche professionisti di altissimo livello a volte ammettono questo fatto. Jerry Kramer, ex giocatore americano di football, ha scritto: “Mi chiedo spesso cosa stia facendo della mia vita, e quale sia lo scopo per cui sono sulla terra oltre a giocare le stupide partite [di football] che gioco ogni domenica. Penso che ci sia qualcosa di più nella vita”.

Credi che nella vita ci sia qualcosa di più che giocare partite? Certo Cristo e gli apostoli pensavano di sì. Per tale motivo l’apostolo Paolo, che era a conoscenza delle competizioni atletiche disputate nell’antica Grecia, poté scrivere: “Poiché l’addestramento corporale è utile per un poco, ma la santa devozione è utile per ogni cosa, giacché ha la promessa della vita d’ora e di quella avvenire”. — I Timoteo 4:8.

È saggio tentare, entro ragionevoli limiti, di mantenersi in forma. Ma a lungo andare la santa devozione è più importante dell’addestramento fisico. La vittoria nella corsa cristiana ha più valore della vittoria in qualsiasi tipo di competizione sportiva. Una vittoria sportiva è un fuoco di paglia: la gloria oggi, una statistica domani. Ma ricorda che la santa devozione “ha la promessa della vita d’ora e di quella avvenire”: la vita eterna sotto il Regno di Dio. — I Timoteo 6:19.

[Immagine a pagina 13]

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[Immagine a pagina 14]

Lo sport può essere un passatempo piacevole se si elimina l’accanito spirito di competizione

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