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  • g91 8/3 pp. 12-13
  • Il dialogo fra medico e paziente: Un elemento indispensabile

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  • Il dialogo fra medico e paziente: Un elemento indispensabile
  • Svegliatevi! 1991
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  • Persone pronte a venire in aiuto
  • La prova che funziona
  • Testimoni di Geova e medici cooperano
    Svegliatevi! 1993
  • Siete pronti ad affrontare un problema medico che mette alla prova la fede?
    Il ministero del Regno 1990
  • Colmare il divario tra medici e pazienti Testimoni
    Svegliatevi! 1990
  • Proteggete i vostri figli dalle trasfusioni di sangue
    Il ministero del Regno 1992
Altro
Svegliatevi! 1991
g91 8/3 pp. 12-13

Il dialogo fra medico e paziente: Un elemento indispensabile

ALL’INIZIO degli anni ’80 fu evidente che si sarebbero dovute prendere coraggiose iniziative per instaurare un miglior dialogo fra i testimoni di Geova e la comunità medica. Così il Corpo Direttivo dei Testimoni di Geova autorizzò un programma per stabilire una buona relazione con i medici e gli ospedali.

Rappresentanti della sede centrale dei Testimoni che si trova a New York visitarono molti grandi ospedali di quella città. La cosa fu vivamente apprezzata dal personale ospedaliero, e furono poste le basi perché ci fosse cooperazione anziché contrasti. Dopo di che questi rappresentanti tennero seminari in grandi città del paese e, in occasione d’essi, condussero con sé ministri locali dei testimoni di Geova agli incontri svoltisi nei centri ospedalieri della zona, addestrando così questi ministri a proseguire l’attuazione del programma. A Chicago (Illinois, USA) essi ebbero un colloquio con il direttore del Journal of the American Medical Association. Ne risultò un invito a scrivere un articolo su come i medici possono collaborare coi testimoni di Geova.a

Col tempo furono provveduti esteso addestramento e direttive scritte affinché i Testimoni di altri paesi potessero dare inizio a programmi simili.b Per esempio, dopo che era stato tenuto un seminario in Canada, vennero formati e addestrati dei Comitati di assistenza sanitaria. Ciascun comitato era formato da anziani cristiani volenterosi e capaci di parlare a medici, assistenti sociali e personale ospedaliero.

Furono fissati appuntamenti con alcuni ministri provinciali della sanità, direttori di associazioni mediche e ospedaliere e con altre personalità influenti in campo sanitario. Questi incontri servirono a rendere la comunità medica più consapevole di ciò che preoccupa i testimoni di Geova. Fu posto così un solido fondamento per il dialogo futuro.

Persone pronte a venire in aiuto

Si era compreso da tempo che le informazioni accurate sono un mezzo prezioso per allentare eventuali tensioni fra i sinceri cristiani e i medici che fanno assegnamento sulle trasfusioni di sangue. Al principio degli anni ’60, presso la sede centrale dei testimoni di Geova, si cominciò a compilare un elenco di medici disposti a cooperare. Si trattava di sanitari che conoscevano bene certe alternative mediche alla trasfusione di sangue. In seguito, se un medico o un ospedale del posto non si sentiva di occuparsi di un caso, il comitato poteva procurarsi il nome di altri medici. Il paziente poteva quindi essere affidato a un’altra équipe medica.

Un’altra possibilità era che i comitati di assistenza sanitaria potevano predisporre un consulto telefonico fra il chirurgo locale e altri suoi valenti colleghi. A volte questo tipo di dialogo istantaneo ha permesso ai medici di modificare il trattamento, senza che il paziente corresse eccessivi rischi. Quindi, servendo da collegamento fra il paziente e il medico, i comitati sono divenuti esperti nel ridurre l’ansia sia del paziente che del medico quando potrebbe sembrare che il sangue sia necessario.

La prova che funziona

All’inizio del 1989 Sonya, una vivace ragazzina di 13 anni, apprese di avere un tumore maligno sotto un occhio. Un chirurgo descrisse brevemente a Sonya e ai suoi genitori la grave operazione che sarebbe stata necessaria. Dato che il tumore cresceva in fretta, non si poteva rimandare l’operazione. Probabilmente dopo ci sarebbe voluta la chemioterapia, e il medico disse ai genitori che avrebbero dovuto autorizzare le trasfusioni di sangue. Ma la famiglia non poteva autorizzarle a motivo delle loro convinzioni religiose. L’abile chirurgo, una donna, che aveva in cura Sonya era disposto ad asportare il tumore maligno, e aveva fiducia di poterlo asportare senza ricorrere a una trasfusione di sangue. Tuttavia, a causa delle direttive dell’ospedale, il chirurgo non riuscì ad avere un anestesista che l’assistesse.

Jonathan è il figlio maggiore di Michael e Valerie. Alla fine del 1989, quando Jonathan aveva 16 anni, i medici informarono i genitori che il ragazzo aveva una voluminosa neoformazione sulla milza. I medici erano alquanto timorosi di operare senza far uso di sangue, ma coraggiosamente fecero l’intervento, rispettando la posizione religiosa della famiglia. Durante il periodo di ricupero, sorsero gravi complicazioni. La pressione sanguigna di Jonathan scese notevolmente e tutti i valori del sangue si abbassarono. Sottoposto a una seconda operazione, perse moltissimo sangue — l’emoglobina scese a 5,5 — circa un terzo del livello normale. Il medico internista esclamò: “Le condizioni di vostro figlio stanno peggiorando. Siamo con le spalle al muro. Se non gli diamo sangue, forse morirà!” Che fare?

I comitati di assistenza sanitaria fornirono un prezioso aiuto in entrambi questi casi in Canada. Uno di questi comitati assicurò ai familiari che se era necessario, si poteva predisporre che Sonya venisse trasferita in un centro medico in un’altra nazione. Ma si poteva fare qualcosa affinché il chirurgo che già conosceva bene il suo caso potesse procedere? In effetti questa dottoressa si era talmente affezionata a Sonya che si offrì di far parte dell’équipe di chirurghi ovunque fosse stata eseguita l’operazione. Comunque non ci fu bisogno di trasferimento. I membri del comitato riuscirono a convincere il personale medico locale a collaborare col chirurgo. Secondo questa dottoressa, dopo l’operazione durata otto ore e mezzo, per prima cosa Sonya chiese ansiosamente se le avevano dato sangue contro la sua volontà. Come fu felice di sapere che non glielo avevano dato!

Nel caso di Jonathan, quando dopo due operazioni l’emoglobina scese a 5,5, i medici erano convinti che per salvargli la vita fosse necessaria la trasfusione di sangue, ed erano pronti a chiedere al tribunale un’ordinanza per trasfonderlo coattivamente. Ma si fermarono davanti all’incrollabile fede di Jonathan e al fatto che si oppose personalmente all’uso di sangue. Jonathan narra: “Presi il dott.— per il colletto, lo guardai fisso negli occhi e dissi: ‘Non mi dia né sangue né derivati del sangue, PER PIACERE!’” Il comitato, formato da fratelli preparati, aiutò a trasferire Jonathan in aereo in una struttura medica più grande. Al suo arrivo fu accolto da un membro del comitato che aveva già parlato coi medici che l’avrebbero preso in cura. Il giorno dopo l’emoglobina di Jonathan si stabilizzò. I suoi valori del sangue migliorarono costantemente e 15 giorni dopo la prima operazione venne dimesso.

È chiaro che con un numero sempre maggiore di sanitari e di assistenti sociali disposti a collaborare con i Comitati di assistenza sanitaria dei testimoni di Geova, si può sperare di continuare ad avere buoni risultati.

[Note in calce]

a Ristampato alle pagine 27-9 di Salvare la vita col sangue: In che modo? (edito in Italia dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova).

b Ora ci sono 100 Comitati di assistenza sanitaria negli Stati Uniti, 31 in Canada, 67 in Francia, 73 in Italia e altri in vari paesi del globo.

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