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  • g91 8/12 pp. 3-5
  • “Ricordate Pearl Harbor!”

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  • “Ricordate Pearl Harbor!”
  • Svegliatevi! 1991
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  • “Tora, Tora, Tora”
  • Effettuato l’attacco di sorpresa
  • Un attacco a sorpresa per la pace mondiale?
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Svegliatevi! 1991
g91 8/12 pp. 3-5

“Ricordate Pearl Harbor!”

ERA una bella domenica mattina sull’isola di Oahu. Adeline, una ragazzina nippo-hawaiana di dodici anni, si trovava nel giardinetto di casa sua al centro di Honolulu. Vide passare degli aerei e levarsi del fumo dalle parti di Pearl Harbor. Si trattava di una delle solite esercitazioni?

Gli abitanti dell’isola di Oahu erano abituati alle manovre militari e ai finti cannoneggiamenti, tanto che perfino il viceammiraglio della flotta americana del Pacifico William S. Pye guardò dalla finestra del suo appartamento e disse alla moglie: “Mi sembra strano che l’Esercito faccia esercitazioni di tiro la domenica mattina”. Era la domenica mattina del 7 dicembre 1941.

Sentendo avvicinarsi degli aerei, un tredicenne guardò dalla finestra. “Papà”, disse rivolgendosi a suo padre, il comandante della Base Aeronavale di Kaneohe, “ci sono dei cerchi rossi su quegli aerei”. Gli bastò dare uno sguardo al disco rosso, il sole nascente, visibile sugli aerei della Marina Imperiale Giapponese, per capire tutto: un attacco di sorpresa!

L’ammiraglio H. E. Kimmel, comandante della flotta americana del Pacifico con base a Pearl Harbor, fu informato per telefono dell’attacco. La sua faccia era “bianca come l’uniforme che indossava”: era in piedi e guardava sbalordito gli aerei nemici che ronzavano come vespe mentre bombardavano la sua flotta. “Capii subito”, raccontò, “che stava succedendo qualcosa di terribile, che non si trattava dell’incursione casuale di alcuni aerei isolati. Il cielo pullulava di velivoli nemici”.

“Tora, Tora, Tora”

Qualche minuto prima che l’esplosione dei siluri e lo scoppio delle bombe turbassero la tranquillità di Pearl Harbor, un ufficiale a bordo di un bombardiere da picchiata giapponese aveva visto profilarsi all’orizzonte l’isola di Oahu. “Quest’isola è troppo pacifica per essere attaccata”, pensò.

Il varco che si era aperto nelle nubi, però, produsse un effetto completamente diverso sul comandante Mitsuo Fuchida, che dirigeva le forze aeree destinate all’attacco. “Dio deve essere con noi”, pensò. “Deve essere stata la mano di Dio a spingere via le nubi da sopra Pearl Harbor”.

Alle 7,49 Fuchida diede il segnale, “To, To, To”, che in giapponese sta per “All’assalto!” Convinto che le forze americane sarebbero state colte del tutto alla sprovvista, diede l’ordine di trasmettere le famose parole in codice “Tora, Tora, Tora” (“Tigre, Tigre, Tigre”), messaggio con il quale indicava che l’attacco di sorpresa era riuscito.

Effettuato l’attacco di sorpresa

Com’era possibile che un’unità operativa speciale così grande — comprendeva sei portaerei — fosse riuscita ad avvicinarsi fino a 370 chilometri da Oahu e a lanciare 183 aerei nella prima ondata dell’attacco, sfuggendo ai radar e infliggendo alla flotta americana del Pacifico un colpo così terribile? Anzitutto, l’unità operativa giapponese seguì una rotta settentrionale malgrado l’inverno e il mare grosso. La zona a nord di Pearl Harbor era la meno battuta dai voli di ricognizione americani. Inoltre le portaerei giapponesi mantennero un rigoroso silenzio radio.

Il radar, comunque, vigilava sull’isola strategica per individuare eventuali aerei in arrivo. Verso le sette di quella mattina decisiva, due militari in servizio presso l’Opana Mobile Radar Station sull’isola di Oahu notarono dei punti insolitamente grandi sull’oscilloscopio, che segnalavano la presenza di “probabilmente oltre 50” aerei. Ma quando avvertirono il Centro Informazioni fu detto loro di non preoccuparsi. L’ufficiale che si trovava presso il Centro Informazioni suppose si trattasse dei bombardieri americani B-17 attesi dal continente.

È mai possibile che il governo americano non avesse sentito, per così dire, puzza di bruciato nell’aria? Il governo giapponese aveva fatto pervenire ai suoi inviati a Washington un messaggio in 14 parti da consegnare a Cordell Hull, il segretario di Stato, alle 13 in punto del 7 dicembre 1941. A Pearl Harbor, per il fuso orario, sarebbe stata la mattina del 7 dicembre. Il messaggio conteneva la dichiarazione dell’interruzione da parte del Giappone dei negoziati con gli Stati Uniti per serie ragioni politiche. Avendo intercettato il messaggio, il governo americano si rese conto che la situazione era critica. La sera prima di quel giorno memorabile, Franklin D. Roosevelt, allora presidente degli Stati Uniti, aveva ricevuto le prime 13 parti del documento intercettato. Dopo averlo letto, disse, in sostanza: “Questo significa la guerra”.

Sebbene le autorità americane credessero imminenti degli atti di ostilità da parte dei giapponesi, la New Encyclopædia Britannica dice: “Non conoscevano né l’ora né il luogo dove ciò sarebbe accaduto”. La maggioranza pensava a qualche parte dell’Estremo Oriente, forse in Thailandia.

L’appuntamento delle ore 13 non poté essere rispettato perché i segretari dell’ambasciata giapponese impiegarono un sacco di tempo a dattilografare il messaggio in inglese. Quando l’ambasciatore del Giappone consegnò il documento a Hull, a Washington erano le 14,20. A quell’ora Pearl Harbor era sotto il fuoco nemico ed era minacciata dalla seconda ondata dell’attacco. Hull aveva già ricevuto la notizia. Non invitò neppure gli inviati a sedersi; lesse il documento e con un freddo cenno della testa indicò loro la porta.

Il ritardo con cui venne consegnato quello che voleva essere un ultimatum accrebbe ancora di più la rabbia degli americani verso il Giappone. Perfino alcuni giapponesi pensarono che questa circostanza trasformasse l’attacco a Pearl Harbor da attacco a sorpresa in attacco proditorio. “Le parole ‘RICORDATE PEARL HARBOR’ alimentarono lo spirito combattivo del popolo americano”, ha scritto Mitsuo Fuchida, comandante degli aerei della prima ondata. Egli ha ammesso: “L’attacco coprì il Giappone di disonore, disonore che neppure la sconfitta in guerra poté cancellare”.

Franklin D. Roosevelt parlò del 7 dicembre come di “una data che sarà ricordata con infamia”. Quel giorno, a Pearl Harbor, otto corazzate e dieci altre navi americane furono affondate o gravemente danneggiate, e più di 140 aerei vennero distrutti. Oltre a cinque sottomarini tascabili, i giapponesi persero 29 dei 360 caccia e bombardieri impegnati nelle due ondate dell’attacco. Da parte americana ci furono oltre 2.330 morti e 1.140 feriti.

Al grido “Ricordate Pearl Harbor!” l’opinione pubblica americana fece fronte unito contro il Giappone. “Con un solo voto contrario il Congresso (come il popolo americano in generale) si unì al presidente Roosevelt nella determinazione di sconfiggere il nemico”. (Pearl Harbor as History—Japanese-American Relations 1931-1941) Quella di vendicare l’incursione era una ragione più che sufficiente per dare inizio alle ostilità contro il Paese del Sol Levante.

Un attacco a sorpresa per la pace mondiale?

I governanti giapponesi come giustificarono le loro azioni ostili? Per quanto sembri incredibile, affermarono che lo scopo era quello di stabilire la pace mondiale unendo il ‘mondo intero in una grande famiglia’, o hakkō ichiu. Questo fu lo slogan che incitò i giapponesi alla carneficina. “L’obiettivo fondamentale della politica nazionale del Giappone”, dichiarò nel 1940 il consiglio dei ministri giapponese, “sta nella ferma instaurazione della pace mondiale in armonia con il nobile spirito dell’hakkō ichiu su cui è stato fondato il paese, e nella costruzione, come primo passo, di un nuovo ordine nella grande Asia orientale”.

Oltre allo slogan hakkō ichiu, l’altro grande obiettivo dello sforzo bellico giapponese era quello di liberare l’Asia dalle potenze occidentali. Entrambi questi obiettivi erano considerati volontà dell’imperatore. Per attuare questa conquista mondiale, i militaristi condussero la nazione nella guerra contro la Cina prima e contro le potenze occidentali, compresi gli Stati Uniti, poi.

Tuttavia Isoroku Yamamoto, comandante in capo delle Flotte riunite giapponesi, concluse realisticamente che le forze giapponesi non avevano nessuna possibilità di avere la meglio sugli Stati Uniti. Il predominio giapponese in Asia si poteva mantenere solo in un modo. Il suo ragionamento era che la Marina Imperiale doveva “attaccare selvaggiamente la principale flotta americana e distruggerla sin dall’inizio della guerra, affinché il morale della Marina americana e degli americani” fosse “abbattuto fino al punto di non poter essere risollevato”. Così nacque l’idea dell’attacco di sorpresa a Pearl Harbor.

[Immagine a pagina 4]

L’attacco a Pearl Harbor

[Fonte]

U.S. Navy/U.S. National Archives photo

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