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  • Non imparerò più la guerra

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  • Non imparerò più la guerra
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1984
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  • L’attacco giapponese
  • Una nuova zona di operazioni
  • Un’“Arpa” cambia la mia vita
  • Il consiglio di un cappellano
  • La battaglia di Iwo Jima
  • Primo contatto con i Testimoni
  • Arresto e corte marziale
  • Dalla guerra alla pace
  • La pace porta cambiamenti
  • Malattia
  • “Ricordate Pearl Harbor!”
    Svegliatevi! 1991
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  • Colui che “fa cessare le guerre”
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1984
  • Ho visto l’assurdità della guerra
    Svegliatevi! 1988
Altro
La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1984
w84 15/5 pp. 13-18

Non imparerò più la guerra

IL DAKOTA DEL SUD, negli Stati Uniti centro-settentrionali, è uno stato agricolo. Il bestiame pascola nelle sue splendide pianure. Nei suoi campi crescono rigogliosi il grano, l’orzo, l’avena, il granturco e la segale primaverili. La mia vita cominciò qui, nella cittadina di Aberdeen, il 10 luglio 1921, una vita che mi avrebbe portato a conoscere gli estremi della guerra e della pace, dell’odio e dell’amore.

I miei genitori erano laboriosi tedeschi che credevano nei valori della religione e dell’istruzione. Fui quindi battezzato e allevato nella fede luterana. Nella primavera del 1939 terminai le scuole. Frattanto i miei genitori avevano divorziato e mio padre era morto. Che strada avrei scelto nella vita?

Poiché tenevo in alta considerazione la Bibbia e Dio, feci domanda per frequentare un seminario luterano così da divenire un ministro di culto. Nel frattempo in Europa scoppiò la seconda guerra mondiale e nel luglio 1940, non avendo avuto risposta dal seminario, entrai nella marina degli Stati Uniti. Intrapresi così una carriera nel campo della guerra anziché in quello della pace.

Dopo l’addestramento preliminare, decisi di prestare servizio nell’aviazione della marina. Il mio primo incarico oltremare fu nella base aerea di Olongapo, non molto lontano da Manila, nelle Filippine. Gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra, per cui i nostri erano più che altro voli di ricognizione per tenere d’occhio la flotta giapponese nel Pacifico.

L’attacco giapponese

Il 7 dicembre 1941 ero in servizio e, trattandosi di un fine settimana, esso consisteva in un semplice ascolto radio, cosa che di solito permetteva di rilassarsi. All’improvviso la radio cominciò a trasmettere un concitato messaggio in Morse: “I giapponesi stanno attaccando Pearl Harbor”! Saltai dalla sedia e corsi a dare l’allarme. Sapevo che di lì a poco i giapponesi avrebbero attaccato anche le Filippine.

Cominciava a far giorno quando infatti iniziarono a bombardarci. Molti nostri aerei furono distrutti al suolo. Quelli che riuscirono ad alzarsi in volo bombardarono e silurarono le navi da guerra giapponesi. Appena gli aerei rientravano, gli equipaggi venivano sostituiti. A turno partivo per queste pericolose e interminabili missioni.

Combattevamo una battaglia persa. I caccia giapponesi piombavano su di noi con la facilità di un falco su un pulcino. In pochi giorni perdemmo tutti gli aerei, e dei 500 uomini in forza alla base ne rimasero solo una cinquantina. Dovemmo abbandonare le isole. Requisimmo una piccola nave passeggeri francese, forzammo il blocco giapponese e raggiungemmo le Indie Orientali olandesi, distanti circa 3.200 chilometri.

Approdammo a Surabaja, nell’odierna Indonesia, ma presto fummo circondati dai giapponesi e dovemmo ritirarci a Port Darwin, in Australia, dove pensavamo di essere al sicuro per un po’. Eravamo appena giunti quando all’improvviso spuntarono portaerei giapponesi che trasformarono la baia in un inferno. Una ventina di navi furono affondate. La nostra, la Willie B. Preston, un cacciatorpediniere trasformato in nave appoggio per gli aerei, fu bombardata e mitragliata così che andò a fuoco. In qualche modo riuscimmo a domare gli incendi e, col favore delle tenebre, lasciammo con difficoltà la baia facendo rotta verso Fremantle, lungo la costa occidentale australiana.

Quella notte i morti, diversi dei quali erano miei carissimi amici, furono avvolti in sacchi di tela, zavorrati e, dopo poche parole di scarso conforto, lasciati scivolare nel grigio mare. La guerra mi aveva già insegnato a odiare il nemico. Quell’orrenda carneficina accrebbe i miei sentimenti di ostilità.

Una nuova zona di operazioni

Dopo una licenza di 30 giorni, fummo assegnati alle isole Aleutine, che si snodano a sud-ovest dell’Alaska. Eravamo di continuo alla ricerca di navi giapponesi da distruggere.

L’8 agosto 1942, nella battaglia di Attu, fummo colpiti e il nostro radar fu messo fuori uso. Di ritorno alla base, incontrammo una fitta nebbia e perdemmo l’orientamento. L’ultima cosa che ricordo fu l’urlo del capitano: “Stiamo andando a sbattere!”

Quando ripresi i sensi vidi l’aereo ancora in fiamme. Avevamo urtato il fianco di una montagna e io ero stato scagliato lontano dai rottami. La sezione di coda all’urto si era spezzata, e se c’erano altri superstiti dovevano essere lì. Ero tutto un dolore, ma in qualche modo riuscii a trascinarmi fino alla coda, dove trovai il mio più caro amico ancora in vita. Le sue condizioni erano molto critiche. Riuscii a estrarlo dai rottami in fiamme, dopo di che persi di nuovo i sensi.

A svegliarmi, il giorno dopo, dovette essere il forte rumore dei motori dei ricognitori che scendevano in picchiata sul luogo del disastro. Mentre un aereo passava su di noi, agitai il giubbotto di volo e persi di nuovo i sensi.

Mi risvegliai in un ospedale della marina, e il mio amico era nel letto accanto. Sopravvisse solo pochi giorni. Rimasi così l’unico superstite dei nove membri dell’equipaggio. Avevo visto molta gente morire, ma ora tutti i miei più intimi compagni erano morti. Continuavo a chiedermi: ‘Perché dovrei sopravvivere io? Perché proprio io?’ A questo punto smisi di leggere la Bibbia e la mia spiritualità toccò il fondo.

Un’“Arpa” cambia la mia vita

Da Dutch Harbor nelle Aleutine fui trasportato su una nave ospedale della marina al Bremerton Navy Hospital, nello stato di New York. Le mie mandibole, fratturate in più punti, non si erano riattaccate bene, per cui fu necessario romperle di nuovo e risistemarle. Mi ci vollero circa sei mesi per guarire dalle varie fratture.

Quando fui dimesso, andai a trovare mia sorella in California. Un giorno vidi il suo vicino gettare dei libri che sembravano nuovi. Uno era intitolato Profezia. Gli chiesi se parlava della Bibbia. “Sì”, rispose, “e ce ne sono degli altri. Può prenderseli tutti”. Fu così che ebbi L’Arpa di Dio e diversi altri libri pubblicati dalla Watch Tower Society.

Fu come se il mio interesse per le cose spirituali si fosse riacceso. Volevo capire meglio la Bibbia. Presi il libro Profezia e lo lessi da cima a fondo, senza però capirne il senso. Buttai quindi i libri, salvo L’Arpa di Dio, che misi nella mia valigetta di volo.

Per alcuni mesi viaggiai con un alto ufficiale della marina che ispezionava le basi della marina lungo la costa occidentale degli Stati Uniti. Avevo così molto tempo da dedicare ai cosiddetti piaceri della vita, che alla fine, però, mi lasciarono con un senso di vuoto e di irrequietezza. Chiesi di tornare a combattere. La mia nuova squadriglia di veloci bombardieri a medio raggio fu inviata a Saipan e Tinian, nel Pacifico. Il mio ruolo era quello di addetto al bombardamento radiocomandato sull’aereo del caposquadriglia. Ogni equipaggio partecipava a una missione di combattimento ogni due giorni, e questo lasciava molto tempo libero a terra.

Un giorno, mentre frugavo nella valigetta di volo in cerca di un mazzo di carte, tirai fuori il libro L’Arpa di Dio. Cominciai a leggerlo. Con mia grande sorpresa, cominciai a capire che l’“inferno” è il sepolcro, che l’uomo è un’anima e non è immortale, e che la dottrina della Trinità non ha nessun fondamento scritturale. La comprensione di queste verità basilari mi colpì.

Presi subito la Bibbia e cominciai a cercare tutte le scritture citate. Non credevo ai miei occhi. Era tutto così chiaro e semplice. Ero entusiasta di ciò che stavo imparando. Ma poi, dopo averci pensato su, decisi di andare dal cappellano protestante e da quello cattolico per chiedere loro di mostrarmi con la Bibbia che l’inferno non era il sepolcro.

Il consiglio di un cappellano

Ovviamente non poterono dimostrarlo. Uno mi diede un consiglio che ricordo tuttora: “Miller, lei ha un eccezionale stato di servizio nella marina ed è molto rispettato. Nella marina ha un futuro assicurato. È uno dei più giovani sottufficiali che siano stati nominati. Non commetta l’imperdonabile errore di unirsi ai testimoni di Geova, che non salutano la bandiera e non combattono per la patria”.

Questi cappellani si rifiutarono di rispondere a qualsiasi domanda biblica, e come unica risposta si scagliarono contro noti Testimoni all’epoca già deceduti.

Ciò che dissero fece nascere in me dei pregiudizi verso i testimoni di Geova. Comunque, nessuno dei due aveva aperto la Bibbia per confutare le mie nuove credenze. Pensai: ‘Beh, questa è la verità. Devo fare il possibile per aiutare altri a capirla’. Il giorno dopo cominciai a parlare ai commilitoni di ciò che avevo appreso. Tutti notarono il contrasto con il mio precedente modo di pensare.

La mia predicazione giunse all’orecchio del comandante, che mi convocò nel suo ufficio e disse: “Miller, ne abbiamo passate tante insieme, e fra pochi giorni partiremo per una delle missioni più difficili, Iwo Jima! Ora, quello che va predicando non mi riguarda, ma le chiedo di non continuare finché questa missione non sarà completata”. La richiesta mi sembrò ragionevole, così accettai.

La battaglia di Iwo Jima

Prima di ogni missione venivano impartite istruzioni. Per prendere Iwo Jima si fece un calcolo di quanti morti ci sarebbero stati. Il numero mi raggelò. Non si trattava di semplici cifre su un foglio di carta, ma di vite umane.

I giapponesi cercavano di mantenere a tutti i costi il possesso di quest’isola di vitale importanza. Per proteggersi, si erano trincerati fra le rocce coralline lungo tutta la spiaggia, cosa che rendeva quasi impossibile stanarli. C’era un solo modo per farlo: volare a bassa quota e bombardare le scogliere con le micidiali bombe al napalm. All’urto, il loro liquido in fiamme si spargeva penetrando nelle cavità e nelle fenditure, e le trasformava in un inferno ardente.

Dopo alcuni giorni conquistammo Iwo Jima e finalmente potemmo atterrare nell’aeroporto. Scendendo dal bombardiere, vidi tutt’intorno a me la morte. Percorsi a piedi la spiaggia corallina per vedere i risultati dell’attacco. La scena era terrificante, indescrivibile: c’erano corpi carbonizzati dappertutto. Era una vista sconvolgente. Mi sentii mancare.

Si calcola che a Iwo Jima siano morti in tutto 8.000 americani e 26.000 siano rimasti feriti. I giapponesi ebbero 22.000 morti. Tutto questo per un’isola di 20 chilometri quadrati!

Nell’agosto 1945 furono sganciate sul Giappone le bombe atomiche. Entro una settimana i giapponesi si arresero; la guerra era finita.

Primo contatto con i Testimoni

Tornato negli Stati Uniti, mi recai a Portland, nell’Oregon, a trovare i familiari. Erano contrarissimi alla mia nuova fede. Tuttavia conoscevano Howard Meier, un testimone di Geova. Mi misi immediatamente in contatto con lui e gli chiesi di rispondere alle accuse che i cappellani avevano rivolto ai Testimoni. Non gli ci volle molto per confutare quelle calunnie. Cominciai così a frequentare le adunanze nella Sala del Regno e a partecipare all’opera di predicazione.

Studiando i princìpi biblici relativi alla guerra e alla pace, compresi che non potevo più partecipare ad attività militari né conciliare una carriera militare con una vera vita cristiana. (Isaia 2:4; Matteo 22:37-40) Dovevo prendere una decisione su ciò che intendevo fare, perché presto avrei dovuto riprendere servizio.

Howard Meier mi diede allora un consiglio di cui gli sarò sempre grato. Mi disse: “Spiritualmente sei ancora un bambino. Invece di decidere ora ciò che per te è giusto fare, perché non torni alla tua base, frequenti le adunanze nella vicina Sala del Regno dei Testimoni di Geova e, man mano che cresci in conoscenza e intendimento, chiedi a Geova di guidarti?”

Mi presentai alla base aerea di Whidbey Island (Washington). Cominciai subito a frequentare la congregazione dei testimoni di Geova di Anacortes. Dopo non molto iniziai a predicare di casa in casa e ad annunciare i discorsi pubblici per le strade. In breve tempo conducevo otto-dieci studi biblici dentro la base aerea.

Alla base cominciarono ad arrivare telefonate di protesta perché un sottufficiale andava in giro per le strade ad annunciare discorsi biblici. Fui chiamato dal cappellano che, senza mezzi termini, mi disse: ‘LA PIANTI con queste assurdità!’ Naturalmente mi rifiutai.

Arresto e corte marziale

Mentre predicavo per la strada fui arrestato dalla polizia militare. L’accusa? Aver gettato il discredito sulla divisa della marina. Questo significava finire davanti a una corte marziale con la prospettiva del carcere militare e/o l’espulsione con infamia. Rifiutai l’assistenza di un avvocato della marina, in quanto ritenni di poter spiegare meglio personalmente la mia posizione e la mia nuova fede basata sulla Bibbia.

Fui portato davanti ai giudici militari della marina e furono letti i capi d’accusa. Dopo una lunga udienza, durante la quale fui interrogato su quello in cui credevo, mi fu chiesto se avevo altro da aggiungere prima di concludere.

“Sì”, dissi. Additando la bandiera americana, chiesi: “Quella bandiera simboleggia una presa in giro?”

“Che . . . intende dire con questo, Miller!” disse uno dei comandanti alzandosi di scatto dalla sedia.

“Signori, avete sotto gli occhi tutto il mio stato di servizio nella marina. Sapete che sono partito volontario e che ho combattuto per i valori rappresentati da quella bandiera andando molto oltre quello che era il mio dovere. Ritengo che essa rappresenti la libertà di culto, di parola e di religione. Ho visto i miei amici morire sotto i miei occhi mentre combattevano anch’essi per queste stesse libertà. Ho visto migliaia di morti nelle Filippine, in Australia, in Nuova Guinea, a Saipan, a Tinian, nelle Aleutine e a Iwo Jima. Ho partecipato a oltre cento missioni di combattimento e a molti altri voli pericolosi. Praticamente ho ricevuto più medaglie e citazioni al merito di chiunque altro fra le migliaia di militari di questa base. Volete negarmi proprio le cose per cui ho combattuto e che quella bandiera rappresenta: la libertà di culto e la libertà di parola?”

Quando mi sedetti, nell’aula della corte regnava il più assoluto silenzio. I giudici aggiornarono l’udienza, ma poco dopo tornarono dichiarandosi incompetenti a decidere e dissero che il mio caso sarebbe stato presentato a Washington (District of Columbia). A suo tempo giunse da Washington il verdetto finale. Dovevo completare i tre mesi di ferma, durante i quali avrei svolto mansioni compatibili con la mia coscienza. Il 14 luglio 1946 fui congedato con onore. Quale sarebbe stato il mio prossimo passo nella vita?

Dalla guerra alla pace

Grazie all’assistenza offerta ai reduci, mi si presentava l’opportunità di frequentare l’università per intraprendere una carriera di mio gradimento. Rifiutai. Ora che conoscevo la verità e la speranza biblica della pace eterna sulla terra, volevo aiutare altri a ottenere la vita. Volevo sostituire l’incubo della guerra e della morte con un’opera vivificante. — Salmo 46:8, 9; Isaia 9:6, 7.

Fui battezzato nell’agosto del 1946 all’assemblea “Nazioni Liete” tenuta a Cleveland, nell’Ohio. Tornai ad Anacortes e intrapresi il ministero a tempo pieno. Nel 1947 feci domanda per prestare servizio alla sede mondiale della Watch Tower Society a Brooklyn, New York. La domanda fu accettata e il 29 marzo 1948 mi presentai alla Betel. Lavorai in vari reparti prima di essere assegnato al reparto servizio. Fu qui che ebbi il privilegio di lavorare come segretario del fratello T. J. (Bud) Sullivan, che in seguito divenne membro del Corpo Direttivo.

Per la sua esperienza, egli era una fonte di saggi consigli e un esempio di benignità nel trattare gli altri. Ricordo che quando Bud aveva a che fare con un caso difficile diceva: “Se dobbiamo fare uno sbaglio, è meglio farlo per eccesso di misericordia, perché Geova è un Dio misericordioso”. ‘Che ottimo suggerimento!’ pensai. — Salmo 116:5.

Nel 1953 N. H. Knorr, allora presidente della Watch Tower Society, mi nominò inaspettatamente come nuovo sorvegliante del reparto servizio. Ciò significava soprintendere a tutte le attività di ministero negli Stati Uniti. Con l’aiuto di Geova, ho assolto questa responsabilità per 22 anni. Dal 1975 se ne interessa un comitato.

Nel marzo del 1952 venne alla Betel una sorella giovane e simpatica. Era nel servizio continuo dal 1947. Si chiamava Brook Thornton. Ci innamorammo e nel maggio del 1957 ci sposammo. Brook ha arricchito la mia vita e insieme siamo stati veramente felici lavorando alla Betel.

La pace porta cambiamenti

Nel 1969 ebbi un’esperienza che mi colpì profondamente. Insieme a mia moglie ebbi il privilegio di assistere all’assemblea internazionale “Pace in Terra”, tenuta dai testimoni di Geova a Tokyo, in Giappone. Devo ammettere che l’idea di visitare il Giappone suscitava in me sentimenti contrastanti. È molto difficile cancellare i ricordi della guerra. Pur avendo accettato gli insegnamenti biblici, mi chiedevo come avrei reagito in Giappone.

I pochi giorni trascorsi in quel paese furono per me una vera rivelazione! Mi trovai a faccia a faccia con un popolo gentile, umile, pacifico, che ora odiava la guerra quanto me. Anche loro dopo il 1945 erano cambiati. Ne fui profondamente colpito.

Malattia

Nel 1979 ho avuto un colpo apoplettico che mi ha lasciato parzialmente cieco e con alcuni disturbi cardiaci. Nel 1981 sono rimasto invalido per una discopatia. Queste difficoltà, per quanto difficili da accettare, mi hanno insegnato ancora di più l’importanza di comprendere i problemi e le circostanze altrui.

Non sono più in grado di fare ciò che facevo un tempo. La mia giornata lavorativa è più corta, ma ho ancora il privilegio di prestare servizio come membro del Comitato del Reparto Servizio. Ho visto il numero dei proclamatori attivi negli Stati Uniti salire da circa 66.000 nel 1946 a oltre 640.000 nel 1983. Tutti questi, come anche io, operano per la pace sotto il Regno di Dio. Con mia grande gioia, fra coloro che si sono battezzati c’è stata, nel 1975, mia madre. All’età di 86 anni continua a predicare.

Desidero ardentemente che arrivi il giorno ormai prossimo in cui Geova Dio porterà il suo giusto nuovo ordine, nel quale non ci saranno più guerre, dolore e morte. La Bibbia afferma: “Secondo la sua promessa [l’infallibile parola di Dio] noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, e in questi dimorerà la giustizia”. (II Pietro 3:13) È mio vivo desiderio far parte di quella “nuova terra” e dimenticare per sempre gli orrori della guerra a cui ho partecipato.

[Cartina a pagina 14]

(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)

SIBERIA

CANADA

ALASKA

ISOLE ALEUTINE

Attu

MAR DI BERING

[Immagine a pagina 13]

Harley Miller in divisa da sottufficiale della marina USA (1945)

[Immagine a pagina 18]

In Giappone fui molto colpito dallo spirito cordiale, umile e pacifico della popolazione

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