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  • g97 22/1 pp. 18-22
  • Perché l’erba è verde: I segreti della fotosintesi

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  • Perché l’erba è verde: I segreti della fotosintesi
  • Svegliatevi! 1997
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  • Osserviamo il meccanismo
  • Uno “scarto” che non viene sprecato
  • La scissione delle molecole d’acqua
  • Il turno di notte
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g97 22/1 pp. 18-22

Perché l’erba è verde: I segreti della fotosintesi

“PERCHÉ l’erba è verde?” Forse anche voi l’avete chiesto da bambini. Siete rimasti soddisfatti della risposta che vi hanno dato? Le domande che i bambini fanno, come questa, possono essere molto profonde. Possono indurci a osservare con più attenzione le cose di ogni giorno che diamo per scontate e rivelare meraviglie nascoste di cui non sospettavamo minimamente l’esistenza.

Per capire perché l’erba è verde, immaginate una cosa che a prima vista sembrerebbe non avere nessuna attinenza con l’erba. Provate a immaginare la fabbrica ideale. La fabbrica ideale dovrebbe essere del tutto silenziosa e bella da vedere, non è vero? Anziché inquinare, dovrebbe addirittura migliorare l’ambiente. Naturalmente, dovrebbe produrre qualcosa di utile, o addirittura essenziale, per tutti. Una fabbrica del genere dovrebbe funzionare ad energia solare, non pensate? In questo modo non avrebbe bisogno di allacciamento elettrico o di rifornimenti di carbone o gasolio.

Non c’è dubbio che i pannelli solari usati dalla fabbrica ideale dovrebbero essere di gran lunga superiori all’attuale tecnologia umana. Dovrebbero essere estremamente efficienti, poco costosi e non inquinanti, sia al momento della produzione che al momento dell’utilizzo. Pur sfruttando la più sofisticata tecnologia disponibile, la fabbrica ideale dovrebbe farlo senza dare nell’occhio, senza tutti i difetti di funzionamento, i guasti o le infinite messe a punto che la migliore tecnologia odierna sembra richiedere. Ci aspetteremmo che la fabbrica ideale fosse completamente automatizzata, e che funzionasse senza bisogno di controllo da parte dell’uomo. Anzi, dovrebbe essere in grado di autoripararsi, autoalimentarsi e persino autoduplicarsi.

Una simile fabbrica ideale è solo fantascienza? Un’utopia irrealizzabile? Niente affatto: la fabbrica ideale esiste proprio come esiste l’erba su cui camminate. Anzi: la fabbrica ideale è l’erba su cui camminate, come pure la felce che avete in ufficio e l’albero che vedete fuori della finestra di casa. Sì, qualsiasi pianta verde è la fabbrica ideale! Alimentate dalla luce solare, le piante verdi usano anidride carbonica, acqua e minerali per produrre cibo, direttamente o indirettamente, per quasi tutte le forme di vita sulla terra. Nel far questo rigenerano l’atmosfera, eliminando l’anidride carbonica e liberando ossigeno puro.

Si calcola che, tutte insieme, le piante verdi della terra producano ogni anno dai 150 ai 400 miliardi di tonnellate di zuccheri: molto più di quanto producono tutte le acciaierie e le industrie siderurgiche, automobilistiche e aerospaziali messe insieme. Fanno questo sfruttando l’energia solare per togliere dalle molecole d’acqua gli atomi di idrogeno e legarli poi alle molecole di anidride carbonica prese dall’aria, trasformando così l’anidride carbonica in un carboidrato: in parole povere, uno zucchero. Questo procedimento straordinario si chiama fotosintesi. Le piante possono poi usare le molecole di zucchero appena formate per ottenere energia oppure le possono unire tra di loro per ottenere amido, una riserva alimentare, o cellulosa, la sostanza dura e fibrosa che costituisce la fibra della pianta. Pensate! L’enorme sequoia che si eleva 90 metri sopra la vostra testa, man mano che cresceva, è stata costruita fondamentalmente utilizzando aria, una molecola di anidride carbonica e una molecola d’acqua per volta, all’interno di innumerevoli milioni di microscopiche ‘catene di montaggio’ chiamate cloroplasti. Ma come?

Osserviamo il meccanismo

Costruire una sequoia utilizzando l’aria (con l’aggiunta di acqua e di alcuni minerali) è una cosa davvero straordinaria, ma non magica. È il risultato di un progetto intelligente e di una tecnologia molto più sofisticata di qualsiasi tecnologia umana. Un po’ alla volta gli scienziati stanno togliendo il coperchio alla “scatola nera” della fotosintesi e ammirano stupefatti la favolosa complessità delle reazioni biochimiche che avvengono all’interno. Diamo un’occhiata insieme a loro al meccanismo a cui si deve l’esistenza di quasi tutte le forme di vita sulla terra. Forse cominceremo a trovare una risposta alla domanda “Perché l’erba è verde?”

Tiriamo fuori il nostro fidato microscopio ed esaminiamo una foglia. A occhio nudo tutta la foglia sembra verde, ma è un’illusione ottica. Le singole cellule vegetali che vediamo al microscopio non sono per niente verdi. Sono quasi trasparenti, ma ciascuna d’esse contiene da una cinquantina a un centinaio di minuscoli puntolini verdi. Questi sono i cloroplasti, dove è racchiusa la clorofilla, una sostanza verde sensibile alla luce, e dove avviene la fotosintesi. Cosa succede all’interno dei cloroplasti?

Ogni cloroplasto è come una minuscola sacca al cui interno si trovano sacche appiattite ancora più piccole, chiamate tilacoidi. Finalmente abbiamo trovato dove sta il verde dell’erba. Le molecole di clorofilla verde sono incastonate nella superficie dei tilacoidi, non a casaccio ma in strutture ben organizzate dette fotosistemi. Nella maggior parte delle piante verdi ci sono due tipi di fotosistemi, noti come fotosistema I e fotosistema II. I fotosistemi funzionano come squadre di produzione specializzate in una fabbrica, e ciascuno si occupa di una specifica serie di operazioni della fotosintesi.

Uno “scarto” che non viene sprecato

Quando la luce del sole colpisce la superficie del tilacoide trova un raggruppamento di molecole di clorofilla del fotosistema II (il cosiddetto “complesso collettore di luce”) pronte a catturarla. Queste molecole sono particolarmente interessate ad assorbire la luce rossa di una determinata lunghezza d’onda. In altri punti del tilacoide le molecole di clorofilla del fotosistema I sono pronte a catturare la luce di lunghezza d’onda leggermente maggiore. Nel frattempo, sia la clorofilla che alcune altre molecole, come i carotenoidi, assorbono la luce blu e violetta.

Perché dunque l’erba è verde? Di tutte le lunghezze d’onda che arrivano sulla pianta solo la luce verde non può essere utilizzata, per cui viene semplicemente riflessa e così raggiunge i nostri occhi e le nostre macchine fotografiche. Pensate! Le delicate sfumature verdi della primavera, come pure le intense tinte smeraldine dell’estate, sono il prodotto delle lunghezze d’onda che alle piante non servono ma che noi esseri umani apprezziamo tanto! A differenza degli agenti inquinanti e degli scarti prodotti dalle fabbriche dell’uomo, questa luce di “scarto” non va sicuramente sprecata quando ammiriamo un bellissimo prato o un bosco, ristorandoci con il piacevole colore della vita.

Tornando a ciò che succede nel cloroplasto, nel collettore di luce del fotosistema II l’energia della parte rossa della luce solare è stata ceduta agli elettroni delle molecole di clorofilla fino a che un elettrone è talmente pieno di energia, o “eccitato”, che schizza via per finire tra le braccia di una molecola, detta accettore, in attesa sulla membrana del tilacoide. Come un ballerino che passa da un partner all’altro, l’elettrone passa da un accettore all’altro perdendo gradualmente energia. Quando la sua energia è sufficientemente bassa, può essere impiegato senza rischi per sostituire un elettrone nell’altro fotosistema, il fotosistema I. — Vedi la figura 1.

Nel frattempo, al collettore di luce del fotosistema II manca un elettrone, il che lo rende carico positivamente e deciso ad accogliere un elettrone per rimpiazzare quello perso. Come un uomo che ha appena scoperto che gli hanno rubato il portafoglio, la parte del fotosistema II nota come complesso di svolgimento dell’ossigeno è in agitazione. Dove trovare un elettrone? Aha! Nelle vicinanze c’è un’ignara molecola d’acqua. L’aspetta una brutta sorpresa!

La scissione delle molecole d’acqua

Una molecola d’acqua consiste di un atomo di ossigeno, relativamente grosso, e due atomi di idrogeno più piccoli. Il complesso di svolgimento dell’ossigeno del fotosistema II contiene quattro ioni del metallo manganese che tolgono gli elettroni dagli atomi di idrogeno della molecola d’acqua. Il risultato è che la molecola d’acqua viene scissa in due ioni idrogeno carichi positivamente (protoni), un atomo di ossigeno e due elettroni. Man mano che altre molecole d’acqua vengono smembrate, gli atomi di ossigeno si accoppiano formando molecole di ossigeno, un gas che la pianta restituisce all’aria per nostro uso e consumo. Gli ioni idrogeno cominciano ad accumularsi all’interno della “sacca” del tilacoide, dove la pianta può usarli, e gli elettroni vengono impiegati per rifornire il fotosistema II, che ora è pronto per ripetere il ciclo numerose volte al secondo. — Vedi la figura 2.

All’interno della sacca del tilacoide gli ioni idrogeno sempre più numerosi cominciano a cercare il modo per uscire. Non solo si creano due ioni idrogeno ogni volta che viene scissa una molecola d’acqua, ma altri ioni idrogeno vengono attirati dentro la sacca del tilacoide dagli elettroni del fotosistema II nel momento in cui vengono ceduti al complesso del fotosistema I. Ben presto gli ioni idrogeno si agitano come api inferocite in un alveare sovraffollato. Come possono uscire?

Il brillante Progettista della fotosintesi ha provveduto una porta girevole con un’unica via d’uscita, sotto forma di uno speciale enzima usato per produrre un importantissimo carburante cellulare chiamato ATP (adenosintrifosfato). Man mano che gli ioni idrogeno fanno forza sulla porta girevole per uscire forniscono l’energia necessaria per ricaricare le molecole di ATP già usate. (Vedi la figura 3). Le molecole di ATP sono come minuscole batterie cellulari. Provvedono localmente piccole dosi di energia per ogni tipo di reazione cellulare. Queste molecole di ATP torneranno utili in una fase successiva della fotosintesi, nella catena di montaggio degli zuccheri.

Oltre all’ATP c’è un’altra piccola molecola indispensabile per la sintesi degli zuccheri. Si chiama NADPH (una forma ridotta del nicotinammide adenina dinucleotide-fosfato). Le molecole di NADPH sono come piccoli furgoncini per le consegne, ciascuno dei quali trasporta un atomo di idrogeno a un enzima in attesa che ne ha bisogno per contribuire alla costruzione di una molecola di zucchero. Creare NADPH è il compito del complesso del fotosistema I. Mentre il fotosistema II è impegnato a scindere le molecole d’acqua e a usarle per creare ATP, l’altro (il fotosistema I) assorbe la luce ed emette elettroni che in seguito verranno utilizzati per creare NADPH. Tanto le molecole di ATP quanto quelle di NADPH vengono accumulate nello spazio esterno al tilacoide per essere usate in seguito nella catena di montaggio degli zuccheri.

Il turno di notte

Ogni anno grazie alla fotosintesi vengono prodotti miliardi di tonnellate di zuccheri, eppure le reazioni della fotosintesi alimentate dalla luce non producono affatto zuccheri. Producono solo ATP (“batterie”) e NADPH (“furgoncini per le consegne”). Da questo punto in poi, gli enzimi presenti nello stroma, ovvero nello spazio esterno ai tilacoidi, usano l’ATP e il NADPH per fare gli zuccheri. Anzi, la pianta può produrre zuccheri nel buio più completo! Il cloroplasto si potrebbe paragonare a una fabbrica in cui all’interno dei tilacoidi ci sono due squadre di operai (i fotosistemi I e II) impegnate a costruire batterie e furgoncini per le consegne (ATP e NADPH) che saranno usati da una terza squadra (gli enzimi speciali) presente nello stroma. (Vedi la figura 4). Questa terza squadra crea gli zuccheri aggiungendo atomi di idrogeno e molecole di anidride carbonica secondo una precisa sequenza di reazioni chimiche che coinvolgono gli enzimi presenti nello stroma. Di giorno possono lavorare tutte e tre le squadre, mentre la squadra degli zuccheri fa anche il turno di notte, almeno fino a quando non si esauriscono le scorte di ATP e di NADPH prodotte dal turno di giorno.

Lo stroma è un po’ come una specie di agenzia matrimoniale cellulare, piena di atomi e molecole che hanno bisogno di “sposarsi” fra loro ma che da soli non avrebbero mai il coraggio di farlo. Alcuni enzimi sono come piccoli intermediari insistenti che cercano a tutti i costi di organizzare matrimoni.a Sono molecole proteiche che, grazie alla loro forma speciale, riescono ad afferrare il giusto tipo di atomi e di molecole per una data reazione. Ma non si accontentano di presentare l’uno all’altro i futuri coniugi di questo matrimonio molecolare. Gli enzimi non sono contenti finché non vedono avvenire il matrimonio, per cui afferrano la futura coppia e mettono i coniugi riluttanti a diretto contatto l’uno con l’altro, costringendoli a sposarsi in una specie di matrimonio biochimico forzato. Dopo la cerimonia l’enzima libera la nuova molecola e ricomincia da capo, senza fermarsi mai. Nello stroma gli enzimi si passano molecole di zuccheri incomplete a una velocità incredibile, rimodellandole, conferendo loro energia con l’ATP, aggiungendo anidride carbonica, unendo idrogeno e, infine, liberando uno zucchero a tre atomi di carbonio che verrà ulteriormente modificato in un’altra parte della cellula per diventare glucosio o un gran numero di varianti. — Vedi la figura 5.

Perché l’erba è verde?

La fotosintesi è molto, molto più di una reazione chimica fondamentale. È una sinfonia biochimica che sbalordisce per la sua complessità e ingegnosità. Il libro Life Processes of Plants (I processi vitali delle piante) si esprime in questo modo: “La fotosintesi è un processo notevole e altamente organizzato che serve a imbrigliare l’energia dei fotoni solari. La complessa architettura della pianta e i meccanismi biochimici e genetici di controllo incredibilmente intricati che regolano l’attività fotosintetica si possono considerare perfezionamenti del processo fondamentale con cui si intrappola un fotone e se ne converte l’energia in forma chimica”.

In altre parole, scoprire perché l’erba è verde significa ammirare stupiti un progetto e una tecnologia di gran lunga superiori a qualsiasi prodotto dell’ingegno umano: “macchine” submicroscopiche capaci di regolarsi da sole e di provvedere da sole alla propria manutenzione, che compiono migliaia o persino milioni di cicli produttivi al secondo (senza fare rumore, senza inquinare e senza rovinare il paesaggio), trasformando la luce solare in zuccheri. Per noi significa intravedere la mente di un progettista e ingegnere senza pari: il nostro Creatore, Geova Dio. Pensateci la prossima volta che ammirerete una delle bellissime “fabbriche ideali” create da Geova che sostengono la vita o anche solo la prossima volta che camminerete su un bel prato di erba verde.

[Nota in calce]

a Alcuni altri enzimi sono come piccoli e insistenti avvocati specializzati in cause di divorzio; il loro compito è quello di dividere le molecole.

[Fonte dell’immagine a pagina 18]

Foto nel riquadro: Colorpix, Godo-Foto

[Immagine a pagina 19]

In che modo la fotosintesi ha fatto crescere quest’albero?

[Diagramma a pagina 20]

Figura 1

[Diagramma a pagina 20]

Figura 2

[Diagramma a pagina 21]

Figura 3

[Diagramma a pagina 21]

Figura 4

[Diagramma a pagina 22]

Figura 5

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