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  • g98 8/4 pp. 16-17
  • Il delfino a un passo da casa

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  • Il delfino a un passo da casa
  • Svegliatevi! 1998
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  • Perché si vede di rado
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Svegliatevi! 1998
g98 8/4 pp. 16-17

Il delfino a un passo da casa

DAL CORRISPONDENTE DI SVEGLIATEVI! IN AUSTRALIA

AMA le basse, calde acque tropicali, siano esse salate o dolci, torbide o limpide. Il suo raggio d’azione va dal Golfo del Bengala, attraverso l’arcipelago malese, fino all’Australia settentrionale.

Eppure pochi — perfino in Australia, la cui costa settentrionale forse detiene la maggiore concentrazione di questi animali — hanno visto il delfino, o più propriamente l’orcella dell’Irravadi, e neanche ne hanno sentito parlare. Strano? Sì e no.

Nel XIX secolo lo zoologo John Anderson vide branchi di questi Delfinidi grigio-azzurri, con il muso tondo privo di becco, nel fiume Irrawaddy che scorre nel Myanmar (allora Birmania) e li chiamò delfini dell’Irravadi.

Perché si vede di rado

L’orcella dell’Irravadi si moltiplica nelle regioni calde e umide lungo le coste, negli estuari e nei fiumi. Spesso vive in acque fangose, in mezzo alle mangrovie, alla fitta vegetazione tropicale e a nugoli di zanzare e, in alcune zone, anche in mezzo ai coccodrilli: non certo ambienti che attirino gli esseri umani.

In queste zone inoltre l’acqua è generalmente torbida, per cui sarebbe possibile vedere un’orcella solo quando affiora un momento per respirare. Anche in questi casi si mantiene a pelo d’acqua. È visibile solo un po’ del dorso, e la sua pinna dorsale è piccola in paragone con quella di altri Delfinidi.

Ma in alcuni luoghi non è così raro vedere le orcelle dell’Irravadi. Pescatori e barcaioli che navigano l’Irrawaddy nel Myanmar, e altri fiumi nel territorio asiatico di questi Delfinidi, spesso li vedono cacciare e piroettare molto a monte, persino emettere getti d’acqua dalla bocca come statuine nelle fontanelle di un giardino.

Nelle acque australiane le orcelle dell’Irravadi si trovano lungo la costa occidentale, intorno all’estremità settentrionale del continente e giù lungo la costa orientale. Di solito si vedono in gruppi di 5 o meno, ma qualche volta di 15. A differenza dei loro cugini asiatici, non risulta che le orcelle australiane imitino il getto d’acqua delle fontane.

È un delfino?

L’orcella dell’Irravadi vive vicino a terra ed è una nuotatrice meno veloce dei più vivaci cugini che frequentano le acque limpide. Eppure gli scienziati hanno avuto difficoltà a studiarla. Una ragione è il suo habitat poco invitante. Comunque orcelle dell’Irravadi sono state studiate nell’Oceanario Jaya Ancol di Jakarta, in Indonesia.

Dato che si sa poco delle orcelle dell’Irravadi, fino a poco tempo fa i biologi non erano sicuri di quale posto occupassero in seno alla famiglia dei Cetacei Delfinidi. Ovviamente hanno molto in comune con i delfini. Ma data la forma, non il colore (vanno dal grigio scuro all’azzurro chiaro), potrebbero quasi passare per un tipo più piccolo di beluga o delfinattero bianco. Anche il loro collo insolitamente flessibile è molto simile a quello del beluga. Quindi cos’è l’orcella? L’equivalente equatoriale del beluga o un delfino vero e proprio?

Un modo per scoprirlo è mettere, per così dire, sulla bilancia un’ampia gamma delle loro caratteristiche anatomiche e genetiche e vedere da che parte pende l’ago. Risulta che il peso delle prove lo fa pendere dalla parte del delfino.

Il poco che sappiamo

Alla nascita i piccoli dell’orcella sono lunghi quasi un metro e pesano sui 12 chili. I maschi adulti sono lunghi quasi 3 metri e le femmine poco meno. Possono vivere circa 28 anni.

Campioni presi dallo stomaco di animali morti rivelano che si nutrono di calamari, gamberetti, granchi e pesciolini, specie quelli che vivono sui fondali. Alcuni scienziati avanzano l’ipotesi che la curiosa abitudine di emettere getti d’acqua aiuti le orcelle asiatiche a pescare nelle acque torbide.

Come altri Delfinidi, l’orcella dell’Irravadi produce schiocchi distinti. Il dott. Peter Arnold, del Museo del Queensland Tropicale, ha detto a Svegliatevi! che, “secondo una ricerca compiuta nell’Oceanario Jaya Ancol, può darsi benissimo che l’orcella dell’Irravadi utilizzi l’eco dei suoi schiocchi per predare come fanno altri Delfinidi”.

Ha un avvenire?

Gli scienziati non hanno idea di quante orcelle dell’Irravadi ci siano nel mondo. Ma sono sempre più preoccupati che rischino l’estinzione. In alcune parti dell’Asia sud-orientale il loro numero sta diminuendo, e in altre parti non se ne trovano più.

Ciò spesso è dovuto alle operazioni di disboscamento e al conseguente inquinamento e insabbiamento dei fiumi. In Australia gran parte dell’habitat dell’orcella è relativamente poco popolato dall’uomo. Ma nelle zone più piacevoli della costa orientale l’urbanizzazione e il turismo hanno fatto molte vittime. Alcune orcelle finiscono nelle reti da pesca e altre nelle reti anti-squalo poste vicino alle spiagge per proteggere i nuotatori. Anche il depauperamento delle risorse alimentari dell’orcella dell’Irravadi influisce sulla sua sorte.

La peggiore minaccia potenziale, però, potrebbe essere la crescente quantità di inquinanti che si riversano nei fiumi e negli estuari. Fra i peggiori sono i composti organici sintetici, come i policlorobifenili (PCB), che tendono ad accumularsi nell’ambiente. PCB sono stati usati in componenti elettronici, vernici, lubrificanti, lucidanti per legno e metalli e altri prodotti.

D’altro canto c’è una nota positiva, un ente australiano per la tutela della natura in un suo documento afferma: “Gran parte dell’habitat [dell’orcella dell’Irravadi] nel Queensland è protetta dal Parco Marino della Grande Barriera Corallina; le possibilità di tutelarla nelle acque del Queensland sono dunque buone”. — The Action Plan for Australian Cetaceans.

Secondo questo ente, un altro passo verso una migliore tutela sarebbe quello di includere l’orcella dell’Irravadi, insieme alla megattera, alla balena australe e al tursiope troncato, fra le specie principali da portare all’attenzione del pubblico. Sarà un bene per l’orcella dell’Irravadi, e per noi.

[Fonte dell’immagine a pagina 17]

Foto: Per gentile concessione del dott. Tony Preen

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