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  • Il mio scopo nella vita
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
w57 1/4 pp. 217-220

Il mio scopo nella vita

Narrato da Robert W. Kirk

NEL lontano autunno del 1938, mentre lavoravo in uno stabilimento, chiesi ad un amico: “Non vai mai in chiesa?” Egli era nella verità, e mi diede una breve testimonianza, invitandomi a casa sua. Qui imparai la verità per la prima volta, ed anche mia madre l’accettò. Circa tre anni più tardi cedemmo il nostro bellissimo appartamento e vendemmo la mobilia perché io potessi diventare pioniere. Dopo aver comprato una casa-rimorchio mi unii ai ranghi dei pionieri. Com’ero felice! Dicevo con orgoglio agli amici: “Ora sono un pioniere!” Presto decisi di fare ogni sforzo per rimanere pioniere, perché, benché avessi rinunciato a una buona posizione con una paga stabile, ne valeva la pena! Ora avevo veramente cominciato a conseguire il mio scopo nella vita. La mia gioia di poter servire Geova nel servizio continuo era meravigliosa!

Nel 1944, a un congresso a Pittsburgh, Stati Uniti, udii annunciare che chiunque avesse determinati requisiti e desiderasse frequentare la Scuola di Galaad avrebbe dovuto parlare col fratello Knorr. Allora compilai la domanda preliminare. Immaginate la mia sorpresa allorché ricevetti un modulo completo per la domanda e in seguito l’invito a frequentare la prossima classe! L’invito precisava che non sarei tornato a casa; perciò vendetti l’automobile e le altre cose che non ritenevo conveniente portare in un paese straniero. Ammetto che non fu facile privarmi di tante cose che avevo apprezzate, con la consapevolezza che entro breve tempo avrei dovuto lasciare anche famiglia ed amici. Ma pensai alla scrittura in Matteo 19:29, e questo mi aiutò a prendere la giusta decisione: “E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figliuoli, o campi per amor del mio nome, ne riceverà cento volte tanti, ed erederà la vita eterna”.

Si potrebbe dire molto sulla vita a Galaad: La meravigliosa associazione non solo fra studenti, ma anche con gli istruttori e gli altri fratelli del Podere del Regno; soprattutto, il privilegio di ricevere giornalmente il “cibo solido” e di essere istruiti nella Parola di Dio per diversi mesi. Mutarono gran parte di me, togliendomi alcuni difetti e raffinandomi, rendendomi così idoneo per il servizio missionario.

Dopo che fui diplomato, nel luglio 1945, fui mandato nell’Illinois meridionale come “servitore dei fratelli”, per servire sia le congregazioni dei bianchi che quelle dei fratelli di colore. Anche quest’attività dell’opera era molto rallegrante e stimolante, tuttavia non era del tutto facile. A causa di persecuzione e assalti di turbe che avevano cominciato ad aver luogo alcuni anni prima, quivi testimoniare era difficile.

Una volta in un piccolo paese, mentre compivo da solo l’opera per le vie, un uomo anziano mi disse: “Fra dieci minuti tornerò, e se sarai ancora qui avrai voluto non esserci”. Rimasi fermo. Come aveva promesso, egli ritornò, accompagnato da un grosso uomo che aveva tutto l’aspetto di un pugile. Mi afferrarono e mi condussero verso la stazione di polizia. In breve tempo si formò una turba di uomini, e tutti sembravano ansiosi di spargere sangue. Quelli della polizia, prevedendo disordini, mi portarono nella stazione e mi fecero uscire dalla porta di dietro. Mentre mi allontanavo in automobile la turba mi seguì fino alla periferia del paese. Andai nel paese più vicino, dove predicai di casa in casa per un’ora, distribuendo dodici libri. Mai prima avevo fatto tanto in così breve tempo. Un’altra volta, presso Lawrenceville, nello Stato d’Illinois, un ecclesiastico e il capo della polizia formarono una turba di ragazzi per lapidare un nostro gruppo che predicava di casa in casa. Dopo tali esperienze ci si sente molto più rinvigoriti, molto più certi che questa è la verità.

Nella città di S. Louis Est, Illinois, nel 1946, mentre servivo la congregazione dei fratelli di colore, ricevetti una lettera da Brooklyn con la quale mi si chiedeva se avrei voluto accettare un’assegnazione in Birmania. Birmania? Molte domande si sollevarono nella mia mente: Dove si trova esattamente la Birmania? Com’è lì la gente? Vi sono proclamatori? Ed altre domande. Certo sapevo che avrei accettata l’assegnazione indipendentemente dalle risposte a queste domande. Fui mandato alla Bethel di Brooklyn per due mesi di ulteriore addestramento e poi dieci giorni a casa. Nel dicembre 1946 presi il treno a Cleveland e, dopo alcuni giorni, da San Francisco intrapresi il viaggio per mare verso l’ovest. Mentre la sponda americana si dileguava alla vista risentivo svariate emozioni. Naturalmente provavo un senso di tristezza, ma nello stesso tempo ero felice di essere finalmente in viaggio verso l’Estremo Oriente, dove i missionari erano tanto necessari, non essendovi ancora in quella parte del mondo neanche un solo Galaadita.

Sulla nave non vi erano molte orecchie ad ascoltarmi poiché era piena di falsi pastori, circa 800, appartenenti a molte differenti organizzazioni religiose e tutti diretti verso le diverse parti dell’Oriente. Quindi ebbi sufficiente tempo per pensare. Ricordando alcune cose udite circa la Birmania cercai allora, sul vasto Pacifico, di abituarmi all’idea di vivere in una capanna, sedermi su di una stuoia e dover usare un linguaggio di segni finché non avessi potuto comprendere il birmano. Ma mi aspettava una sorpresa. Avrei presto compreso che in Birmania la vita moderna si svolge fianco a fianco con quella primitiva; inoltre, in Birmania non vi sono soltanto Birmani ma una varietà di gente di tutti i colori e lingue con differenti tenori di vita, di cultura, religione e costumi, specialmente nelle città più grandi. Fui ricevuto da proclamatori vestiti con abiti occidentali, che parlavano correntemente l’inglese. Mi condussero in automobile su strade asfaltate, e non ad una capanna come mi aspettavo, ma ad una grande casa di legno che sarebbe stata la mia futura dimora. I fratelli (allora soltanto diciotto in tutto il Paese), mi diedero un caloroso benvenuto e fui felice di essere con loro.

Però, quantunque le cose fossero molto più progredite di quanto mi aspettassi, erano ancora molto indietro in paragone a ciò che avevo lasciato negli Stati Uniti d’America. La Birmania era stata duramente colpita durante la seconda guerra mondiale. Vi era soltanto una piccola dotazione di elettricità, il cui uso spettava in precedenza alle aziende governative. Poche case avevano luce elettrica, e di notte la maggior parte delle strade era al buio. I ladri abbondavano ed era pericoloso trovarsi fuori dopo il tramonto. I trasporti erano praticati unicamente da alcuni vecchi autocarri militari trasformati in autobus. Per raggiungere la Sala del Regno ci servimmo di un vecchio autobus traballante. Prendemmo quindi le lampade a petrolio dell’autobus e le pompammo per usarle nell’adunanza. Oggi, nel 1956, la situazione è certamente molto migliore di quanto non fosse in quei primi anni dopo che i Giapponesi se n’erano andati dalla Birmania.

Essendo l’unico pioniere del Paese, ogni mattina andavo nel servizio da solo, eccetto alla fine della settimana, quando mi accompagnavano i proclamatori della congregazione. A volte, per un momento, pensavo che sarebbe stato bello ritornare a casa; ma immediatamente il molto lavoro da compiere e la gioia del servizio cacciavano via tali pensieri, mentre continuavo ad andare avanti per conseguire il mio scopo nella vita. Dagli Stati Uniti avevo portato tre scatole di letteratura, dato che i fratelli in Birmania non avevano ancora ricevuto le ultime pubblicazioni. In tre settimane la mia letteratura era esaurita. La gente era molto amichevole, quasi tutte le famiglie mi invitavano in casa e molti mi offrivano tè o altri rinfreschi. In molte case potevo parlare inglese, ma ero stupito dalla varietà di gente che incontravo andando di casa in casa. A parte i Birmani e gli altri indigeni della Birmania, come i Cariani, vi sono molti stranieri: Cinesi, Tamil, Telegu, Bengali e moltissime altre razze indiane. Imparai alcune frasi in birmano per usarle con quelli che non parlavano inglese. La maggior parte delle persone che visitavo era buddista, indù, ecc., e non credeva quindi neanche nella Bibbia; perciò in molte case dovevo anzitutto provare la veracità della Bibbia.

Ci volle un po’ di tempo prima che cominciassi veramente ad ambientarmi. Dovetti abituarmi a molte strane usanze e costumi, compresa la normale (per la Birmania) pratica umana di farsi il bagno a una fontana per la strada, o cambiare il loro sarong (tipo di veste) pubblicamente, in pieno giorno, o di rannicchiarsi per terra nella stazione in attesa degli autobus; al grande bufalo d’acqua e ai buoi che trainavano enormi tronchi. Inoltre, al principio mi chiedevo che cosa fossero quei segni rossi lungo tutte le strade e i marciapiedi; sembravano sangue, ma non ne conoscevo l’origine. Più tardi mi fu detto che era un succo rosso sputato dalla gente mentre masticava betel e nocciole. Ancora oggi, dopo otto anni, mi diverte sempre vedere la gente portar roba sulla testa, come un grappolo di banane o un ombrello.

Però, nel conseguire con perseveranza il mio scopo nella vita, la soddisfazione di aiutare i nuovi nel servizio e veder crescere una congregazione riusciva a compensare qualsiasi inconveniente un “ragazzo nuovo” debba sopportare anche in Birmania. L’amore che si nutre per le “altre pecore” e la consapevolezza che esse hanno bisogno del vostro aiuto per crescere in maturità vi aiutano più presto di qualunque altra cosa ad ambientarvi definitivamente. Per esempio, nel 1948 ci pervenne una lettera da un gruppo di persone di un villaggio distante 200 chilometri; per otto anni avevano cercato di mettersi in contatto col popolo di Geova. Avendo ricevuto un libro, uno di loro si era convinto di aver trovato la verità. Egli aveva testimoniato ad altri nel villaggio; parecchi avevano abbandonata la Chiesa Cattolica, formando una piccola congregazione per proprio conto e radunandosi regolarmente per lo studio della Bibbia. Io e un altro fratello andammo in quel lontano villaggio dove trovammo dodici proclamatori che aspettavano di essere battezzati e organizzati teocraticamente. Essi furono sorpresi e lieti di apprendere la vastità dell’organizzazione di Geova e che vi fossero luoghi come la Bethel e Galaad. Conoscerli ed aiutarli nel servizio di campo fu un’esperienza meravigliosa.

Anche un uomo tamil, col quale alcuni anni or sono cominciai uno studio biblico, precedentemente era cattolico. Egli aveva abbandonato quella chiesa ancora prima di mettersi in contatto col popolo di Geova, semplicemente leggendo una copia delle Scritture Greche nella propria lingua. Affamato di verità, assorbì ansiosamente ogni cosa che gli veniva spiegata agli studi; sebbene abbia una grande famiglia da curare egli è ora uno dei nostri più zelanti proclamatori, dedicando da quaranta a sessanta ore al mese e conducendo circa sette studi biblici. Quale gioia è stata vederlo progredire nella verità!

Nel 1953 ebbi il privilegio di assistere all’Assemblea della Società del Nuovo Mondo nello Yankee Stadium, e poi di andare a casa mia. Sebbene questo congresso fosse meraviglioso, e fosse così bello rivedere la mia famiglia, vi posso assicurare che i miei pensieri erano qui in Birmania con questo piccolo gruppo di proclamatori che ho imparato ad amare tanto. Infatti, trascorsi alcuni giorni in America, ero pronto, ansioso di ritornare alla mia assegnazione. Mi rendo conto che qui vi è molto lavoro e che vi sono pochi operai per compierlo.

Mentre qui su tutti i missionari gravano molte responsabilità, occasionalmente ci prendiamo il tempo per sederci e parlare di alcune delle nostre esperienze. Paragonare la vita che si conduceva prima di diventare missionari a quella di dopo esserlo diventati dà un meraviglioso senso di proporzione. Siamo soltanto in quattro, qui, ma tutti d’accordo che non vorremmo tornare a casa per sempre. Parlando per me stesso, posso dire che lasciare ciò che chiamavo casa e andare in un’assegnazione estera di cui poco conoscevo mi ha dato una forza molto maggiore in Geova. Il lavoro soddisfa di più. Sono stato in grado di dare molto di più di quanto avrei potuto dare nel mio territorio nativo. Ora quando vedo un proclamatore birmano, che soltanto poco tempo prima apparteneva a una chiesa, pronunciare ad una porta un sermone da tre ad otto minuti con la Bibbia in mano, posso apprezzare l’immeritata benignità di Geova e il privilegio di partecipare alla Sua opera qui in Birmania. Considero l’essere qui un privilegio ricevuto da Geova, sono felice di esserci, felice di esservi attivo come servitore di filiale. Sì, conseguendo il mio scopo nella vita le difficoltà sono maggiori, ma una volta superate accrescono definitivamente la forza spirituale, per il servizio e all’onore di Geova.

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