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  • Come avvicinarsi alla presenza di Dio

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  • Come avvicinarsi alla presenza di Dio
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
w57 15/7 pp. 422-424

Come avvicinarsi alla presenza di Dio

PER quasi tutti i veri Cristiani la preghiera è uno dei più sacri atti d’adorazione. Essi comprendono di essere invitati dall’Altissimo Governatore dell’universo ad avvicinarsi personalmente alla sua augusta presenza e supplicarlo per le loro necessità, e ciò li riempie del massimo rispetto e riverenza. Ma per alcuni questa stessa prontezza del vivente Dio a considerare i loro problemi e i loro desideri porta una mancanza di riguardo e di rispetto, e spesso un’audace impudenza.

Costoro considerano l’onnisapiente Consigliere quale “filosofo di secondo ordine e autore di miracoli” al quale si possa ricorrere quando ogni altra cosa viene meno; oppure lo chiamano “il signore del piano di sopra” col quale possono oziosamente chiacchierare di tutte le meschinità di una vita monotona. Per questi la preghiera è soltanto uno sfogo emotivo, un “portafortuna”, un conforto nella solitudine, un sollievo nella triste ansietà. Molti potrebbero considerarla così con innocenza e sincerità, ma ciò dimostra totale mancanza di comprensione e apprezzamento del rapporto di completa dipendenza e inferiorità del genere umano rispetto all’impareggiabile ed amorevole Supremo Sovrano.

Supponiamo per un momento che tali persone possano ritornare indietro nel tempo al 1513 a.C., nell’occasione in cui Geova per mezzo del suo angelo santo avvicinò le famiglie d’Israele e rimase davanti a loro sul monte Sinai nella penisola arabica. Geova aveva detto a Mosè: “Va’ dal popolo, santificalo oggi e domani, e fa’ che si lavi le vesti. E siano pronti per il terzo giorno; perché il terzo giorno l’Eterno scenderà in presenza di tutto il popolo sul monte Sinai. E tu fisserai attorno attorno de’ limiti al popolo, e dirai: Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne il lembo. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano tocchi quel tale; ma sia lapidato o trafitto di frecce; animale o uomo che sia non sia lasciato vivere! Quando il corno sonerà a distesa, allora salgano pure sul monte”. — Eso. 19:10-13.

Per tre giorni il popolo si santificò, lavando i propri abiti, purificandosi e preparandosi infatti per presentarsi al grande Liberatore che l’aveva appena liberato dalla schiavitù d’Egitto. “Il terzo giorno, come fu mattino, cominciaron de’ tuoni, de’ lampi, apparve una folta nuvola sul monte, e s’udì un fortissimo suon di tromba; e tutto il popolo ch’era nel campo tremò. E Mosè fece uscire il popolo dal campo per menarlo incontro a Dio; e si fermarono appiè del monte. Or il monte Sinai era tutto fumante, perché l’Eterno v’era disceso in mezzo al fuoco; e il fumo ne saliva come il fumo d’una fornace, e tutto il monte tremava forte. Il suon della tromba s’andava facendo sempre più forte; Mosè parlava, e Dio gli rispondeva con una voce”. — Eso. 19:16-19.

A tale mirabile spettacolo della gloria di Geova certamente anche noi cominceremmo a tremare. Geova allora cominciò ad organizzare le famiglie d’Israele per formare una nazione, diede loro un codice di leggi e stabilì per loro un mezzo perché potessero avvicinarsi regolarmente alla presenza del loro Dio e Re. Questo mezzo era il sacro tabernacolo con tutti i suoi arredi, e fu in questo modo di presentarsi che Geova ci diede il modello tipico che dobbiamo seguire oggi se vogliamo essere accolti alla sua presenza. Su questo argomento abbiamo l’ispirata testimonianza dell’apostolo Paolo. — Ebr. 9:9,10.

Nel tabernacolo l’arredo più sacro era l’arca del patto. Posta nella camera interna o Santissimo, significava per gli Israeliti la presenza di Geova Dio sulla terra in mezzo a loro. Indicava che chiunque di loro poteva venire davanti a Geova e chiedere a lui benedizione o perdono per le trasgressioni. Ma non era possibile che essi corressero a lui come volevano e in qualunque modo piacesse loro. Sebbene Geova qui si rendesse accessibile al minimo della nazione, e perfino allo straniero ch’era fra loro, un solo uomo in tutta la nazione, il sommo sacerdote d’Israele, aveva il diritto di stare davanti all’arca alla presenza di Geova.

Inoltre, malgrado l’ispirata lavorazione del magnifico disegno e modello della struttura stessa dell’arca e malgrado il grande valore intrinseco di questo solo oggetto, relativamente pochi uomini mortali lo videro. Ma perché Geova avrebbe dovuto dare un modello così accurato e ispirare artefici a modellare un simile capolavoro per l’adorazione quando doveva essere solo nascosto agli occhi degli adoratori? Certamente fra le altre ragioni vi sarà stata quella di far rilevare al genere umano la gloriosa presenza di Geova Dio e la necessità per l’uomo di studiare accuratamente come avvicinarlo in modo accettevole e in armonia con la sua posizione di suprema Persona dell’universo.

La descrizione scritturale dell’arca e del suo coperchio è breve. (Eso. 37:1-9) Era una cassetta fatta di legno biondo scuro, resistente e di grana fine, della specie acacia tortilis o acacia seyal che ancora cresce abbondantemente nella penisola del Sinai.1 Aveva 112 centimetri di lunghezza e 67 centimetri di larghezza e altezza.2 Dentro e fuori era ricoperta d’oro puro. Come fosse applicata la rivestitura d’oro, non è detto, ma doveva trattarsi di qualcosa di più che una semplice laminatura. E a differenza delle pareti del tempio costruito in seguito da Salomone, l’arca stessa era senza dubbio solidamente ricoperta. Del disegno dei lati non sappiamo nulla; è indicato solo che debbono aver avuto dei sostegni d’angolo terminanti in fondo con piedi come base. Questo avrebbe anche corrisposto alla tavola che nella camera esterna o Santo veniva usata per i pani di Presentazione.3 (Si veda Esodo 37:13, 14). La ragione di questa deduzione è che viene dichiarato che “sopra i quattro piedi”, v’erano attaccati anelli che non potevano essere proprio sotto l’arca, perché pali ricoperti d’oro venivano infilati in questi anelli per trasportarla, e ciò l’avrebbe resa sbilanciata. (Eso. 37:3, NM) Perciò i piedi dovevano salire in sù come sostegni d’angolo fino al bordo che incorniciava l’arca in alto e senza dubbio era qui, proprio sotto il bordo, che erano attaccati gli anelli.

Questo bordo o incorniciatura (“corona”, Ricciotti) ha dato adito a numerose congetture, sebbene generalmente si pensi che si estendesse oltre i lati dell’arca abbastanza da tenere il coperchio ben chiuso durante la marcia quando veniva portata a spalla dai sacerdoti. Si pensa inoltre che avesse il disegno di una ghirlanda, dato che vien paragonato a quello della tavola e sembra rispondere alla descrizione.4

Il coperchio deve essere stato senza dubbio un tesoro d’arte in se stesso. Era fatto d’una lastra d’oro puro con sopra due cherubini di squisita lavorazione a sbalzo. Questi erano posti alle due estremità, uno di fronte all’altro, e poiché questo coperchio o “propiziatorio” rappresentava il trono di Geova, i cherubini si possono raffigurare soltanto in posizione di riverenza. Il racconto non li descrive e neppure suggerisce il loro aspetto generale. Dichiara soltanto: “E i cherubini avevano le ali spiegate in alto, in modo da coprire il propiziatorio con le ali; avevano la faccia volta l’uno verso l’altro; le facce dei cherubini erano volte verso il propiziatorio”. (Eso. 37:9) In base a questa breve descrizione è stato avanzato un numero quasi incredibile di varietà di ricostruzioni pittoriche. Questi cherubini sono stati rappresentati in tanti modi diversi, da animali a quattro zampe con testa d’uomo a figure di donne dai lunghi capelli. La deduzione ragionevole è che assomigliassero a uomini. Cherubini furono messi a guardia dell’entrata di Eden con la lama fiammeggiante di una spada. (Gen. 3:24) Gli uomini usano spade. Ezechiele ne ebbe una visione e descrisse certi cherubini che avevano una speciale e distinta forma di natura altamente simbolica. Ma la loro apparenza ordinaria era d’uomo. (Ezech. 1:5; 10:20-22) Tuttavia non si può stabilire con precisione a che cosa assomigliassero questi cherubini d’oro.

Sebbene il propiziatorio rappresentasse il trono di Geova nel cielo, non si deve pensare che la presenza di Geova fosse limitata all’esiguo spazio tra i cherubini. (Ebr. 9:24) Le Scritture dicono che Geova siede “sui” cherubini. (Sal. 99:1) Qui, nel Santissimo del tabernacolo, splendeva la cosiddetta luce “Shekinah” della presenza di Geova. Quanto al di sopra dei cherubini avesse la sua sorgente o si diffondesse non lo sappiamo, ma era un segno per tutto Israele che il favore di Geova restava col suo popolo. Così potente e magnifica era questa presenza, manifestata dall’arca e dalla luce Shekinah presente nel Santissimo, che qualsiasi persona non autorizzata avesse toccato l’arca quando veniva trasportata, tutta ricoperta, da un posto all’altro moriva all’istante.

Nel modo glorioso in cui Geova apparì ad Israele sul Sinai, nell’amorevole cura con cui ha provveduto per quelli che gli si avvicinavano appropriatamente, e nella rapida esecuzione della sua ira, molte volte contro chi non aveva rispettato la sua presenza, Geova ci ha dimostrato il modo giusto e l’attitudine riverente con cui il vero Cristiano deve avvicinarlo in preghiera. Solo mediante il grande Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, che personalmente appare davanti al trono celeste per noi, possiamo rendere accette le nostre richieste.

[Riferimenti bibliografici]

1 Moldenke, H. N., Plants of the Bible, pagine 22, 24.

2 Basato su un cubito di 45 centimetri, Harper’s Bible Dictionary pag. 813; Encyclopædia Britannica, undicesima edizione, Vol. 26, pag. 604, nota in calce.

3 Hasting, J. A., Dictionary of the Bible, pag. 603.

4 Idem, pagine 663, 665.

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