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  • Ingiustizia razziale: Ne saremo mai liberati?

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  • Ingiustizia razziale: Ne saremo mai liberati?
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1975
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  • LA VITA DEI NEGRI CRESCIUTI IN AMERICA
  • COME SI DIVENTA RIVOLUZIONARI
  • VEDUTE E OPINIONI PRENDONO FORMA
  • OLTRAGGIATA DALLE INGIUSTIZIE
  • UNA RIVOLUZIONARIA ALL’OPERA
  • ATTIVITÀ RIVOLUZIONARIA IN AMERICA
  • LIBERAZIONE DALL’INGIUSTIZIA: COME?
  • AVEVA QUALCHE VALORE?
  • UN VERO GOVERNO CON SUDDITI
  • LA MIGLIORE COSTITUZIONE
  • LA LIBERAZIONE È VICINA
  • Hanno trovato la soluzione del problema razziale
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    Svegliatevi! 1978
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1975
w75 1/5 pp. 259-267

Ingiustizia razziale: Ne saremo mai liberati?

Questa è una domanda che oggi molti si fanno. Sta la risposta nella rivoluzione? Leggete come una negra trovò la sola via per ottenere con successo la liberazione dall’ingiustizia.

ALLE PRIME luci dell’alba, dal ponte della nave osservai gli uomini rana scivolare silenziosamente nelle gelide acque del porto canadese. Controllavano la parte sommersa della nave per scoprire se vi erano stati messi degli esplosivi. C’erano alcuni che volevano impedire la nostra partenza, anche se per questo dovevano far saltare la nave.

Comunque, poco dopo partimmo senza incidenti. Eravamo circa 500, soprattutto Americani negri, in viaggio verso Cuba, col pretesto di aiutare nella raccolta della canna da zucchero. Ma, in realtà, c’era dell’altro.

I capi del governo lo sapevano. Qualche settimana dopo un senatore degli U.S.A. disse al Congresso: “Alcuni cittadini americani sono addottrinati e addestrati ad attaccare e distruggere le nostre istituzioni e il nostro Governo. In questo momento tale attività è in corso alle nostre porte. Cuba di Fidel Castro è la base nemica dell’operazione”. — Congressional Record, 16 marzo 1970.

Il senatore aveva ragione, almeno per quanto mi riguardava. Andavo a Cuba per ricevere addestramento specializzato in tattiche rivoluzionarie. Il mio obiettivo era di dare inizio all’insurrezione armata contro il sistema americano.

A bordo, ci facevamo domande e in particolare chiedevamo ai pochi bianchi che erano con noi: “Uccideresti tuo padre o tua madre se cercassero di ostacolare la rivoluzione?” Quelli che esitavano erano considerati bisognosi di ulteriore istruzione. Dovevano capire più a fondo la necessità di alleviare le sofferenze delle masse rovesciando gli oppressori, pensavamo.

“Come può essere distorta la mente dei popoli!” penserete. “Le condizioni possono essere cattive, ma non giustificano di certo una rivoluzione”.

Tuttavia migliaia di giovani sinceri la pensano diversamente. Anche persone di famiglie ricche, come rivelano le notizie, partecipano a quella che credono una lotta per liberare dall’ingiustizia. Perché? Che cosa fa loro pensare che la distruzione del sistema sia la sola speranza per liberare dall’ingiustizia?

Lasciate che vi spieghi. Può aiutarvi a capire come la pensano altri, particolarmente milioni di negri. Credo che la mia vita e i miei sentimenti siano illustrativi.

LA VITA DEI NEGRI CRESCIUTI IN AMERICA

Nacqui nel 1945 nel profondo Sud, in una famiglia di undici figli. Eravamo a mezzadria. La mia prima casa fu una capanna di legno all’estremità di un campo di cotone, e col passare degli anni vissi in parecchie capanne del genere. D’inverno incollavamo giornali alle pareti per non far passare l’aria.

Ma il solo essere poveri non era così brutto; c’erano anche dei bianchi poveri. Era il trattamento e l’atteggiamento verso i negri che feriva. Eravamo esclusi dalle scuole dei bianchi, dai ristoranti dei bianchi, dalle toilette dei bianchi o ci era anche proibito di usare le stesse fontanelle pubbliche usate dai bianchi. E c’erano cartelli con la scritta “VIETATO L’INGRESSO ALLE GENTE DI COLORE E AI CANI”.

In quei giorni, i luoghi pubblici del Sud, come le stazioni di autobus, avevano sezioni separate, e noi dovevamo sedere in fondo all’autobus. Quando pareva che avessimo dimenticato il nostro posto, ci dicevano in modo sprezzante: “Ora, sapete tutti che i negri non devono star qui. Adesso va in fondo”.

Ricordo quando il quattordicenne Emmett Till fu ucciso, fu una notizia sensazionale in tutta la nazione, ma per i miei genitori e la maggioranza dei negri del Sud, era una storia vecchia, un altro negro ucciso dai bianchi, ma la cosa insolita era la sua età. Fu trovato morto nel fiume Tallahatchie: i bianchi lo avevano brutalmente ucciso a forza di botte perché si diceva avesse fischiato a una ragazza bianca. Ma si commette un omicidio per questo?

Questo mi aiutò a capire le timorose, supplichevoli parole della nonna che ci insegnava a ricordare sempre di guardarci la punta dei piedi quando parlavamo ai bianchi, e a dire “Sì, signore”, e “No, signora” e, soprattutto, a far questo sorridendo. Ma perché, mi chiedevo, i bianchi volevano tenerci soggetti? Che male c’era a essere negri?

Ero ancora molto piccola quando mia sorella ebbe un attacco di asma, e il padrone bianco della terra per cui lavoravamo non volle prendersi il disturbo di portarla dal medico. Mio padre, che normalmente era un uomo mite, spinto dalla disperazione puntò la pistola contro l’uomo e lo costrinse a salire sull’auto per andare in cerca di un medico. Certo, papà non poté più tornare a casa, altrimenti lo avrebbero linciato. Fuggì nel nord, e noi ci trasferimmo a casa di mia nonna in un’altra contea. Infine, papà ci mandò a prendere perché lo raggiungessimo a New York.

Poiché mio padre faceva l’imbianchino e il custode ci trasferimmo a Sheepshead Bay, Brooklyn, in una zona residenziale abitata interamente da bianchi, dov’ero l’unica negra della classe che frequentavo. Evidentemente la mia insegnante dovette supporre che fossi stupida, ma ero decisa a dimostrare il contrario.

In sesta, leggevo come una persona del secondo anno di università, e così mi fecero frequentare classi speciali per studenti d’eccezione. L’anno dopo fui scelta per partecipare a un programma sperimentale chiamato “Progetto talento”. Mi interessavo avidamente di molte cose, e avevo illimitate energie. Studiai canto, ballo, giornalismo e per fare l’infermiera, frequentando anche un corso per modelle.

Finita la scuola superiore, incisi dischi, e una volta lavorai con Paul Simon di Simon e Garfunkle. Questo mi diede l’opportunità di andare in altre città per la televisione e per altri spettacoli. Mi feci anche un’istruzione universitaria.

COME SI DIVENTA RIVOLUZIONARI

Col tempo, però, mi resi conto che mi ero ingannata, soprattutto da sola. Era irrealistico pensare che forse il colore della pelle non contava. Era una menzogna dire che il razzismo esisteva solo nel Sud; era molto radicato anche nel Nord, solo che era ben camuffato. Avevo cercato di cacciare dalla mia memoria l’immagine della piccola negra rimandata in fondo all’autobus, indesiderata nelle case dei bianchi, nelle scuole dei bianchi, nei ristoranti dei bianchi. Ma ora ero costretta a ricordare.

Dovetti litigare per trovare un appartamento nei quartieri dei bianchi, e fui costretta a ricorrere alla Commissione per i Diritti Umani dello Stato di New York. E mentre mi facevo un’istruzione in vista di certe carriere, vidi che mi si chiudevano le porte e sorgevano ostacoli. Quando feci domanda per un lavoro, ricordo che mi offrirono uno stipendio insolitamente alto, non per le mie capacità ma solo per dare l’impressione che la ditta era integrata. Mi sentii oltraggiata e dissi loro di tenersi l’impiego.

VEDUTE E OPINIONI PRENDONO FORMA

Negli anni sessanta i titoli di giornale riferirono orribili episodi, uno dopo l’altro. Una mattina di settembre del 1963, durante le lezioni della scuola domenicale lo scoppio di una bomba devastò una chiesa di Birmingham, nell’Alabama. Decine di bambini negri atterriti corsero fuori gridando; altri sanguinavano e gemevano. Quattro non emisero un suono. Erano morti, assassinati dai bianchi. L’estate successiva, Chaney, Schwerner e Goodman, che si battevano per i diritti civili, furono assassinati nel Mississippi.

A questo punto ero immischiata nella lotta per i diritti di uguaglianza. Lavorai per il CORE (Congresso dell’Uguaglianza Razziale e per l’SNCC (Comitato Studentesco per la Coordinazione della Non Violenza). Ascoltai capi negri più moderati, come il dott. Martin Luther King. Scrissi anche un articolo su di lui per l’Harlem Valley Times. Quando anch’egli fu ucciso da un bianco, dovetti chiedermi, come se lo chiesero molti altri negri: “A che cosa è servita la non violenza che sosteneva?”

Cominciai a leggere molto sulla storia dei negri. Lessi della crudele tratta degli schiavi e di come i negri erano stati trattati come proprietà, e di come le famiglie dei negri venivano divise e vendute a padroni diversi, senza riguardo per i sentimenti umani. Mi indignai apprendendo che certi proprietari di schiavi facevano accoppiare un uomo robusto e vigoroso con le proprie schiave che producevano così figli per il mercato degli schiavi o per lavorare nei campi.

È meglio dimenticare tali terribili ingiustizie, diranno alcuni. Ma io non potevo dimenticare, perché anche se la schiavitù era finita, mi pareva che tali sentimenti fossero ancora del tutto vivi.

OLTRAGGIATA DALLE INGIUSTIZIE

Ovunque guardavo, vedevo la stessa cosa: negri raggruppati in ghetti che soffrivano per la discriminazione, la depressione economica, l’ingiustizia, gli alloggi scadenti, il sovraffollamento, la disperazione. Cominciai a vedere questi luoghi come colonie di oppressi, bisognosi di liberazione.

Da come vedevo le cose allora, noi negri non eravamo diversi dagli abitanti americani delle colonie che nel 1776 si erano ribellati al giogo inglese; anche noi eravamo un popolo a cui erano negati certi “diritti inalienabili”, com’erano stati negati loro. Come si erano ribellati gli abitanti delle colonie, ora era il nostro turno. Così la pensavo e non ero la sola.

Poi accadde qualcosa che mi fece passare all’azione.

Mio padre fu assassinato. La polizia e gli addetti all’obitorio dissero che nessuno sapeva chi era, che era uno sconosciuto. Così senza esitare prelevarono gli organi che volevano. Ma non era vero che non sapessero chi era poiché si erano messi in contatto con noi per mezzo della carta di identità trovatagli addosso!

Per me fu come se fosse stato ucciso due volte, prima accoltellato per strada e poi fatto a pezzi all’obitorio. Quando infine ci fecero vedere papà, era in condizioni pietose. Non gli avevano neppure tolto il sangue dai denti o dagli occhi. Mi convinsi amaramente che era trattato con tale disprezzo perché era negro e povero. Mi rifiutai di piangere. Invece, feci un voto nel mio cuore. Avrei fatto qualcosa in merito alle ingiustizie che vedevo subire dalla mia gente.

Pensavo che i bianchi si erano abituati a vivere una menzogna. Cercavano di farci credere che la nostra condizione di oppressi era dovuta alla nostra innata inferiorità. Vedevo che eravamo oppressi a causa del loro razzismo. Con mezzi non violenti, i negri avevano cercato di farlo capire ai bianchi. Ora, io dovevo smettere d’occuparmi dell’attitudine dell’uomo bianco e occuparmi esclusivamente e direttamente dell’oppressione stessa.

Mi unii al gruppo delle Pantere nere di Harlem. A quell’epoca ero d’accordo con la loro ideologia che era tempo che i negri si armassero. Alla fine del 1969, lessi in un giornale radicale negro del viaggio a Cuba. Cuba aveva fatto con successo la rivoluzione, e io volevo andare lì e vedere come l’avevano fatta. Mi offrii immediatamente volontaria e fui scelta per il viaggio di tre mesi.

UNA RIVOLUZIONARIA ALL’OPERA

Mi avevano fatto credere che Cuba era una piccola brutta isola molto povera. Ma la mia impressione fu che era il più bel posto che avessi mai visto. Verso la fine del nostro soggiorno, facemmo un viaggio di tre settimane attraverso l’isola, e da ciò che vidi personalmente mi convinsi che Cuba era pulita, senza rifiuti in giro, né oziosi, né prostitute, né ubriaconi, né giovani fannulloni a bighellonare per le strade. Pareva che tutti avessero qualche cosa da fare, sia giovani che vecchi.

Nel nostro campo a Cuba era tutto organizzato alla maniera militare. Ogni mattina ci svegliavano con un annuncio, e alle 6 eravamo in cammino verso i campi di canna. Era lavoro duro, ma mi piacevano la disciplina e lavorare “per servire il popolo”, come diceva il motto rivoluzionario del momento. Lavoravamo al fianco di accaniti combattenti comunisti provenienti dal Vietnam, dall’Africa, dalla Corea e dalla Russia. Ci raccontavano le loro esperienze, facendo così nascere in noi un concetto internazionale della lotta per la liberazione.

La sera ascoltavamo i discorsi dei veterani della lotta per la liberazione del Vietnam, di Cuba, dell’Africa e di altri luoghi. Ci mostravano pellicole, fra cui “La battaglia di Algeri”, in cui vedemmo come le donne musulmane si erano travestite e avevano partecipato attivamente alla lotta per cacciare i Francesi. Mi piacevano i discorsi di Fidel Castro ed ero colpita dal rapporto che pareva avesse con la gente comune.

Potevamo anche imparare il karatè. Ma avendolo già appreso, mi concentrai sulle armi. Sapevo fare le bottiglie Molotov e usare il fucile. Ma ora, dietro mia richiesta, un soldato cubano mi mostrò come usare il mitra.

Verso la fine del nostro soggiorno, fu data importanza a quello che avremmo fatto con quanto avevamo imparato. Ero pronta e impaziente. Ero disposta a combattere e a morire per ottenere la liberazione dei negri, nonché degli oppressi di tutto il mondo.

ATTIVITÀ RIVOLUZIONARIA IN AMERICA

Prima di partire da Cuba nell’aprile del 1970, un gruppo di rivoluzionari mi chiese di lavorare con loro. Dovevo mimetizzarmi trovando un lavoro rispettabile, e al momento giusto mi avrebbero chiamata. A suo tempo mi chiamarono. Il mio compito era quello di sovvertire i militari, di usare “qualsiasi mezzo necessario” per trovare militari negri aventi capacità tecniche da sfruttare e convincerli a passare dalla parte dei rivoluzionari.

Apprendemmo, ad esempio, che a un capitano negro dell’Aviazione, esperto di karatè e di fortificazioni, era stata negata una promozione a causa del colore della sua pelle. Mi misi in contatto con lui, e predisposi un incontro. Me lo lavorai, e, col tempo, me lo feci amico. Infine lo convinsi a organizzare i negri delle forze armate a operare contro il sistema militare. Nei pochi mesi successivi presi contatto con alcuni giovani, tutti istruiti ed esperti, almeno per gli scopi che ci interessavano.

Ben presto, comunque, fui del tutto disgustata di ciò che facevo. Inoltre, riscontrai che, anche quando non si trattava di strategia, i rivoluzionari che conoscevo non vivevano secondo l’idealismo morale che mi ero aspettata dal movimento di liberazione. Diventavano molto promiscui. Una sera, dopo che un camerata aveva avuto relazione con la sua donna, venne da me. Lo considerai un gesto non rivoluzionario, ma rivoltante.

Queste cose cominciarono a turbarmi. Credevo ancora che per porre rimedio alle condizioni fosse necessario togliere di mezzo il sistema, ma cominciai a nutrire dubbi sui nostri metodi. Ora avevo tempo per pensare — nascondendomi, aspettando d’essere chiamata con nuove istruzioni, trasferendomi da un luogo all’altro per evitare d’essere scoperta — e cominciai a pensare ad altri modi per recare la liberazione dalle ingiustizie. Poi, un giorno, mentre ero sola in un appartamento in un quartiere povero di New York, fu portato alla mia attenzione un modo molto interessante.

LIBERAZIONE DALL’INGIUSTIZIA: COME?

Sentii bussare alla porta, e apertala mi trovai davanti un donnone negro alto un metro e ottanta che aveva fatto cinque rampe di scale per arrivare all’appartamento. Disse qualcosa riguardo a una vita significativa, e mi mostrò un libro blu, La Verità che conduce alla Vita Eterna. Ero un’avida lettrice, per cui l’accettai. Dopo di ciò, descrisse come tenere un corso gratuito di studio, e si offrì di tornare. Le chiesi di dimostrare che cosa intendeva dire.

Il primo capitolo cominciava con la domanda: “Volete vivere in pace e felicità?” Pensai: “Ma questo è ciò per cui abbiamo combattuto, affinché i negri e tutti gli oppressi vivano in pace e felicità”. La seconda domanda diceva: “Desiderate buona salute e lunga vita per voi e per i vostri cari?” “Certo! E questo è ciò che ho visto a Cuba”, dissi fra me, “migliori progressi medici, e gente che spera di vivere più a lungo in buona salute”.

Un’altra domanda diceva: “Perché il mondo è così pieno di afflizioni?” Io avevo la risposta: “Questi capitalisti vogliono tutto per sé”. La successiva domanda del libro diceva: “Che cosa significa tutto questo?” Era facile, pensai. Significava che il sistema doveva essere distrutto. Era completamente marcio.

Infine, l’ultima domanda del primo paragrafo chiedeva: “C’è qualche buona ragione per credere che le condizioni in realtà miglioreranno durante la nostra vita?” “Puoi scommetterci”, pensai fra me. “Le lotte rivoluzionarie in atto in tutto il mondo faranno in modo che questo avvenga. Cuba aveva avuto successo; si era sbarazzata degli imperialisti. Anche i negri se ne sbarazzeranno”.

Non avevo mai visto un libro con domande così penetranti. Pensai di conoscere le risposte, ma desideravo sapere quello che diceva il libro. Mentre studiavamo, il paragrafo dieci mi lasciò del tutto sconcertata, colpendomi come un fulmine. Lo lessi ad alta voce:

“Tutte le molte cose predette nella Parola di verità di Dio indicano che il tempo del cambiamento mondiale ci sovrasta! Ciò che vediamo accadere oggi nel mondo in adempimento della profezia biblica mostra che il nostro tempo è quello in cui vi sarà la distruzione di questo intero sistema malvagio. I governi del giorno attuale saranno rimossi per far posto al dominio del regno di Dio sopra tutta la terra. (Daniele 2:44; Luca 21:31, 32) Nulla può arrestare questo cambiamento, perché Dio lo vuole”.

Il “governo di Dio”? Dio ha un governo? Era la prima volta nella mia vita che sentivo parlare del governo di Dio. Ebbene, dalle chiese avevo imparato solo che Dio era in qualche posto lassù nel cielo, e che avrebbe bruciato tutti i cattivi nel fuoco dell’inferno e portato tutti i buoni in cielo. Ma ora questo libro diceva che Dio avrebbe distrutto i governi del giorno attuale.

La donna mi invitò a considerare questo pensiero nella Bibbia. L’aprì in Daniele 2:44. Lo lessi io stessa: “E ai giorni di quei re l’Iddio del cielo stabilirà un regno che non sarà mai ridotto in rovina. E il regno stesso non passerà ad alcun altro popolo. Esso stritolerà tutti questi regni e porrà loro fine, ed esso stesso starà a tempi indefiniti”.

“Però, non c’è che dire!” pensai fra me. “Nemmeno a Dio piacciono questi governi. E li distruggerà!” Non riuscivo proprio a convincermene! Questa idea, benché sembrasse fantastica, mi rimase nella mente.

AVEVA QUALCHE VALORE?

Più tardi mi insospettii. Mi chiesi se la donna non fosse stata un agente del governo. Non volendo correre rischi, il giorno dopo traslocai.

Pur avendo smesso di lavorare per sovvertire i militari, cominciai a reclutare giovani dei ghetti da addestrare a Cuba. Tuttavia, l’idea che Dio avesse un governo mi era rimasta nella mente. Mi avevano insegnato a credere in Dio, ma le cose che avevo viste mi avevano reso scettica. Apparentemente le chiese presentavano Dio come un mercenario; pareva che estorcessero sempre denaro alle persone, impedendo loro di vedere la fonte dell’oppressione. E così non fui turbata notando che a Cuba la religione era alquanto repressa. Ma ora mi chiedevo in effetti se Dio era reale.

Decisi di pregare e di vedere che cosa sarebbe accaduto. Non sapevo come fare. Ad ogni modo, mi assicurai che le tende fossero chiuse perché nessuno mi vedesse e mi inginocchiai. Dissi qualcosa del genere: “Dio, chiunque tu sia, se sei ancora vivo, aiutami. Non so di che cosa ho bisogno. Ma se hai quello di cui ho bisogno, ti prego di mandarmelo”.

Proprio la mattina dopo, un sabato, venne una coppia che cominciò a parlarmi del governo di Dio, così seppi che erano la risposta alla mia preghiera. Mi invitarono alla Sala del Regno dei Testimoni di Geova, e il giorno dopo vi andai.

Fui profondamente colpita dalla calorosa accoglienza sia dei negri che dei bianchi, e dalla genuina cordialità che c’era fra loro. Scettica, andai ad altre Sale del Regno. Ma la situazione era identica. L’unità e il calore che regnavano fra i Testimoni furono qualcosa di bello per me. Inoltre, c’era un impegno, un’integrità, una prontezza anche a morire per le loro convinzioni. Appresi come i Testimoni avevano sofferto orribilmente nella Germania nazista, nel Malawi e in altri luoghi, rifiutando però di compromettere la loro lealtà verso quelli che consideravano giusti princìpi.

Questo mi lasciò perplessa. “Che cosa tiene insieme queste persone? Che cosa le sostiene, che cosa le sprona?” mi chiesi. Ovviamente non era un governo nazionalistico, poiché i Testimoni insegnano che Dio li distruggerà. Mi resi pure conto che non era un’organizzazione segreta con capi dietro le quinte.

UN VERO GOVERNO CON SUDDITI

A quell’epoca cominciai a considerare seriamente l’idea che Dio ha un governo celeste con sudditi terreni. Era possibile che questi Testimoni fossero i sudditi terreni del governo di Dio? E quando Dio frantumerà tutti i governi terreni, sono tali persone coloro che preserverà per dare inizio a una nuova società terrena?

L’idea mi affascinava, ed ero decisa a investigare ulteriormente.

Ricordai di avere appreso da bambina la preghiera insegnata da Gesù Cristo ai suoi seguaci: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. (Matt. 6:9, 10, versione di mons. S. Garofalo) Per la prima volta cominciavo ora a capire che questo regno è un vero governo, con un re che domina su un reame con dei sudditi. Gesù Cristo stesso è il re costituito da Dio; in effetti, disse a Ponzio Pilato di esserlo. (Giov. 18:36, 37) Appresi pure che la Bibbia aveva predetto di questo governante: “Perché . . . un figlio ci è stato dato e il dominio sarà sulle sue spalle . . . Egli è destinato ad ampliare il dominio e ad instaurare pace senza fine”. — Isa. 9:6, 7, versione di F. Nardoni.

LA MIGLIORE COSTITUZIONE

Perché un governo sia reale, sapevo che doveva avere una costituzione o un codice di leggi che i suoi sudditi devono osservare. Progettando un nuovo governo, noi rivoluzionari avevamo pensato molto alle sue leggi. Ora consideravo la Bibbia, in effetti, come la costituzione del governo di Dio. Ma questo Libro di leggi chi governa?

Mi convinsi che non governava le masse dei cristiani professanti, non la cristianità, non quelli che hanno perpetrato le guerre più sanguinose della storia e che, considerandosi superiori, hanno vergognosamente predato e oppresso le minoranze. Ma vedevo che i testimoni di Geova sono realmente diversi. La Bibbia è veramente la loro costituzione, il loro Libro di leggi. Ciò che essa dice regola ogni aspetto della loro vita.

La Bibbia non insegna affatto la superiorità della razza. Siamo tutti una sola famiglia, uguali sotto ogni aspetto agli occhi di Dio. “Dio non è parziale”, dice la Bibbia, “ma in ogni nazione l’uomo che lo teme e opera giustizia gli è accettevole”. (Atti 10:34, 35) Non potete immaginare quanto significò per me apprendere queste cose.

Le chiese dei bianchi ci avevano detto che noi negri siamo una razza maledetta, quindi inferiore, animalesca. Infatti, sono stati insegnati numerosi miti secondo cui abbiamo code rudimentali e che, come razza, siamo stupidi, abbiamo un odore sgradevole, ecc. Che cosa meravigliosa far parte di un popolo che con l’aiuto della Parola di Dio, la Bibbia, elimina tali umilianti falsità!

Non mi fraintendete. Non dico che i testimoni di Geova siano perfetti. A volte scopro fra alcuni di loro residui di superiorità razziale, e talvolta noto che certuni si trovano un po’ a disagio quando sono in stretta associazione con persone di un’altra razza. Ma in realtà, che cosa ci si può aspettare dopo secoli di odio attentamente inculcato in questo mondo?

È come spiega la canzone del ben noto musical “South Pacific”, in cui un giovane dell’esercito, afflitto perché si è innamorato di una ragazza di un’altra razza, canta: ‘Ti insegnano a odiare e temere; te lo devono insegnare di anno in anno, ripetendolo nel tuo caro piccolo orecchio: insegnano attentamente a temere le persone i cui occhi son fatti in modo poco attraente e la cui pelle è di una diversa gradazione di colore; insegnano prima che sia troppo tardi, prima che tu abbia sei o sette o otto anni, a odiare tutti quelli che i tuoi parenti odiano’.

Comunque, poiché vivono secondo la costituzione del governo di Dio, i testimoni di Geova hanno eliminato il pregiudizio razziale a un grado che nessun altro popolo della terra è riuscito a eguagliare. Si sforzano veramente di amarsi gli uni gli altri indipendentemente dalla razza, comprendendo che, come dice la Bibbia: “Chi non ama il suo fratello, che ha visto, non può amare Dio che non ha visto”. (1 Giov. 4:20) A volte il mio cuore si è commosso fino al punto che non ho potuto trattenere le lagrime vedendo la prova del sincero amore dei Testimoni bianchi, gente che poco prima non avrei esitato a uccidere per promuovere la causa di una rivoluzione.

LA LIBERAZIONE È VICINA

Oggi sono veramente dispiaciuta della parte che ho avuta nel progettar di rovesciare i governi umani. Dallo studio della Bibbia ho appreso che tale condotta è non solo inutile, ma viola ciò che dice Romani 13:1-7. Quindi, nessun funzionario governativo deve mai temere alcuna difficoltà da parte mia. Ma, nello stesso tempo, sono convinta che quelli che continuano a sperare nei governi umani per avere la liberazione dalle ingiustizie saranno non solo delusi, ma corrono il pericolo d’essere distrutti quando fra breve il governo di Dio ‘stritolerà tutti questi governi e porrà loro fine’.

Questo, naturalmente, significa anche che i governi comunisti dovranno essere distrutti da Dio. Benché tali governi abbiano fatto molte cose, credo, per migliorare le condizioni delle masse, i governanti umani si sono proprio dimostrati incapaci di provvedere giustizia per tutti. Infatti, alcuni governi comunisti hanno commesso orribili atrocità. Inoltre, sotto quei governi la gente ancora si ammala, invecchia e muore. I governanti umani non possono fare nulla per impedirlo. Ma Dio può farlo e lo farà! La sua Parola dice: “Dio stesso sarà con [l’umanità]. Ed egli asciugherà ogni lagrima dai loro occhi, e la morte non sarà più, né vi sarà più cordoglio né grido né pena. Le cose precedenti sono passate”. — Riv. 21:3, 4.

Pertanto l’umanità può ottenere la liberazione da ogni forma di oppressione, inclusa perfino la liberazione dalla nemica morte. Ma solo alla maniera di Dio, non alla maniera dell’uomo. Così, invece di sostenere i tentativi umani per eliminare l’oppressione e l’ingiustizia, confido ora che lo faccia Dio. E dedico tutto il mio tempo a mostrare alle persone che la sola vera speranza di liberazione dall’ingiustizia è quella del regno di Dio, che tra breve recherà questa liberazione tanto desiderata. — Da una collaboratrice.

[Testo in evidenza a pagina 260]

“Perché, mi chiedevo, i bianchi volevano tenerci soggetti? Che male c’era a essere negri?”

[Testo in evidenza a pagina 262]

“Ero disposta a combattere e a morire per ottenere la liberazione dei negri”.

[Testo in evidenza a pagina 264]

‘Pareva che le chiese estorcessero sempre denaro alle persone, impedendo loro di vedere la fonte dell’oppressione’.

[Testo in evidenza a pagina 265]

“La Bibbia non insegna affatto la superiorità della razza”.

[Testo in evidenza a pagina 266]

‘I testimoni di Geova si sforzano di amarsi gli uni gli altri indipendentemente dalla razza’.

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