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  • Incidenti: Destino o circostanze?
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1991
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1991
w91 15/10 pp. 3-4

Incidenti: Destino o circostanze?

NELL’ATTRAVERSARE l’affollato viale Nove de Julho nella città brasiliana di San Paolo, Cristina, un’attraente e giovane modella, non si accorse dell’autobus che sopraggiungeva. L’autista tentò disperatamente di frenare, ma era troppo tardi. Cristina fu investita e morì.

La notizia di questo tragico incidente finì in prima pagina sul quotidiano brasiliano O Estado de S. Paulo (29 luglio 1990). Tuttavia, sulle strade del Brasile perdono la vita ogni anno ben 50.000 persone. E mentre migliaia e migliaia di persone rimangono menomate in incidenti come questo, altre sopravvivono indenni. Perché, allora, questa ragazza non sopravvisse? Era destino che morisse quel giorno?

Moltissimi risponderebbero di sì. Costoro credono nel destino, cioè sono convinti che gli avvenimenti più importanti, come l’ora della propria morte, siano predeterminati. Questa credenza ha fatto nascere modi di dire come: “Non si può sfuggire al proprio destino”, “Era venuta la sua ora”, o: “Quel che sarà, sarà”. C’è qualcosa di vero in questi modi di dire? Siamo semplici pedine nelle mani del destino?

Il fatalismo, ovvero l’idea che tutti gli avvenimenti siano determinati in anticipo, era molto diffuso tra gli antichi greci e romani. Tale idea è tuttora radicata in molte religioni. L’Islām, ad esempio, si attiene alle parole del Corano: “Nessuna anima può morire se non col permesso di Dio, secondo uno scritto di Dio, in cui sono fissati i termini di ogni cosa”. (Sura 3:139; trad. di L. Bonelli, Milano, Hoepli, 1979) L’idea del destino è diffusa anche nella cristianità, ed è stata alimentata dalla dottrina della predestinazione, insegnata da Giovanni Calvino. Pertanto, è comune che gli ecclesiastici dicano ai parenti in lutto che una determinata disgrazia era “la volontà di Dio”.

L’idea che gli incidenti siano frutto del destino, tuttavia, va contro il buon senso, l’esperienza e la logica. Tanto per cominciare, gli incidenti automobilistici non si possono imputare all’intervento divino perché di solito, facendo un attento esame, si possono ricondurre a una causa perfettamente razionale. Oltre a ciò, le statistiche indicano chiaramente che prendendo ragionevoli precauzioni, ad esempio allacciando la cintura di sicurezza, le probabilità di morire in un incidente diminuiscono sensibilmente. Sarebbe davvero possibile, solo adottando qualche misura di sicurezza, modificare la volontà predeterminata di Dio?

Credere nel destino ha effetti negativi sul credente. Non incoraggia forse a compiere azioni avventate, come ignorare i limiti di velocità e la segnaletica oppure guidare sotto l’effetto dell’alcool o della droga? Cosa ancora più grave, il fatalismo induce alcuni a prendersela con Dio quando subiscono qualche incidente. Spinti dalla rabbia e da un senso di impotenza, ed essendo convinti che Dio sia indifferente a ciò che è capitato, costoro possono addirittura perdere la fede. A ragione il poeta Ralph W. Emerson disse: “La cosa più amara e più tragica nella vita è il credere in un Destino crudele”.

Ma cosa dice la Bibbia riguardo alle disgrazie e agli incidenti? Insegna davvero che sono opera del destino? E cosa dice delle nostre prospettive di salvezza? Abbiamo qualche possibilità di scelta in tutto questo?

[Testo in evidenza a pagina 4]

“La cosa più amara e più tragica nella vita è il credere in un Destino crudele”. Ralph Waldo Emerson

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