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  • w93 1/11 pp. 26-30
  • Servire con un senso di urgenza

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  • Servire con un senso di urgenza
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1993
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  • Addestramento in tempo di guerra
  • Inizio la mia carriera
  • Una cara compagna
  • Servizio missionario in Indonesia
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  • Superata ulteriore opposizione
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1996
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  • Annuario dei testimoni di Geova 1989
    Annuario dei Testimoni di Geova del 1989
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 2012
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1993
w93 1/11 pp. 26-30

Servire con un senso di urgenza

NARRATO DA HANS VAN VUURE

Una mattina del 1962 Paul Kushnir, sorvegliante della filiale della Watch Tower Society nei Paesi Bassi, ebbe un incontro con me vicino al porto di Rotterdam. Guardandomi dall’altro lato di un tavolino in un caffè scarsamente illuminato, mi disse: “Ti rendi conto, Hans, che se accetti questo incarico tu e tua moglie riceverete un biglietto di sola andata?”

“SÌ, e sono abbastanza sicuro che anche Susie sarà d’accordo”.

“Beh, parlane con Susie. Prima mi comunichi cosa avete deciso meglio è”.

La mattina dopo ebbe la risposta: “Partiamo”. Così il 26 dicembre 1962 abbracciammo parenti e amici all’aeroporto Schiphol di Amsterdam ammantato di neve e partimmo come missionari per un territorio vergine: la Nuova Guinea olandese (l’attuale provincia indonesiana di Irian Jaya), la terra dei papua.

Avevamo dubbi sull’opportunità di accettare questo difficile incarico? In realtà no. Avevamo dedicato senza riserve la nostra vita a fare la volontà di Dio e confidavamo che egli ci avrebbe sostenuto. Ripensando ora alla nostra vita possiamo vedere che la nostra fiducia in Geova non è mai stata mal riposta. Ma prima di narrare cosa accadde in Indonesia, lasciate che vi parli un po’ di noi.

Addestramento in tempo di guerra

Quando nel 1940 la mia famiglia fu visitata per la prima volta da Arthur Winkler, un coraggioso Testimone, io avevo solo dieci anni. I miei genitori rimasero di stucco quando appresero ciò che la Bibbia dice sui falsi insegnamenti della cristianità. Dato che allora l’Olanda era occupata dalla Germania nazista e i testimoni di Geova erano ricercati, i miei genitori dovettero decidere se entrare a far parte di un’organizzazione clandestina. Decisero di entrarvi.

In seguito il coraggio di mia madre e la sua prontezza a rischiare la libertà e perfino la vita mi fecero una profonda impressione. Una volta percorse 11 chilometri in bicicletta e attese nelle tenebre con una borsa piena di volantini biblici. Nel momento stabilito per dare il via a una campagna speciale, si mise a pedalare più in fretta che poteva, infilando di continuo la mano nella borsa e lanciando i volantini per le strade. Un ciclista si mise a inseguirla e alla fine, raggiuntala, col fiato grosso gridò: “Signora, signora, sta perdendo qualcosa!” Quando la mamma ci raccontò l’episodio non la finivamo più di ridere.

Ero giovanissimo, ma avevo le idee chiare su come volevo impiegare la mia vita. Durante una delle nostre adunanze tenuta a metà del 1942, quando il conduttore chiese: “Chi vuole battezzarsi alla prossima occasione?”, alzai la mano. I miei genitori si guardarono preoccupati, chiedendosi se mi rendessi conto del significato di una decisione del genere. Ma benché avessi solo 12 anni capivo cosa significava dedicarsi a Dio.

Predicare di casa in casa con i nazisti alle calcagna richiedeva cautela. Per evitare di bussare alle case di chi avrebbe potuto denunciarci, nei giorni in cui i simpatizzanti del nazismo attaccavano cartelli alle loro finestre io me ne andavo in giro in bicicletta e annotavo i loro indirizzi. Una volta un uomo se ne accorse e gridò: “Bravo, ragazzo mio. Scrivili tutti, tutti!” Ero zelante, ma evidentemente non abbastanza prudente! Al termine della guerra, nel 1945, ci rallegrammo per il fatto che ora saremmo stati più liberi di predicare.

Inizio la mia carriera

Il 1º novembre 1948, finite le scuole, ricevetti il mio primo incarico di predicazione a tempo pieno come pioniere. Un mese dopo, il fratello Winkler visitò la famiglia presso cui stavo. Penso fosse venuto a squadrarmi, perché poco dopo fui invitato a lavorare presso la filiale della Società (Watch Tower) ad Amsterdam.

In seguito mi fu chiesto di visitare le congregazioni dei testimoni di Geova come sorvegliante di circoscrizione. Poi, nell’autunno del 1952, ricevetti l’invito a frequentare la 21ª classe della Scuola di Galaad a New York per essere addestrato come missionario. Così, alla fine del 1952, otto di noi dell’Olanda salimmo sul transatlantico Nieuw Amsterdam diretti in America.

Verso la fine del corso, Maxwell Friend, uno degli insegnanti, disse: “Dimenticherete la maggior parte delle cose che avete imparato qui, ma speriamo che ne ricordiate tre: fede, speranza e amore”. Nella mente e nel cuore conservo pure bellissimi ricordi dell’organizzazione di Geova impegnata a lavorare con un senso di urgenza.

Dopo ciò ebbi una grossa delusione. Metà del nostro gruppo olandese, me compreso, fu rimandata in Olanda. Benché deluso, non me la presi troppo. Speravo solo di non dover aspettare 40 anni come Mosè prima di essere inviato all’estero. — Atti 7:23-30.

Una cara compagna

Quando un caro amico, Fritz Hartstang, seppe dei miei progetti di matrimonio, mi disse in confidenza: “Non avresti potuto scegliere meglio”. Durante la seconda guerra mondiale il padre di Susie, Casey Stoové, era stato un noto esponente della Resistenza antinazista. Ma quando nel 1946 venne in contatto con i Testimoni accettò subito le verità bibliche. Presto lui e tre dei suoi sei figli — Susie, Marian e Kenneth — si battezzarono. Il 1º maggio 1947 questi figli iniziarono tutti il ministero a tempo pieno come pionieri. Nel 1948 Casey cedette la sua attività commerciale e cominciò anche lui a fare il pioniere. In seguito osservò: “Furono gli anni più felici della mia vita!”

Conobbi Susie nel 1949, quando fu invitata a lavorare alla filiale di Amsterdam. L’anno seguente, però, lei e sua sorella Marian partirono per frequentare la 16ª classe di Galaad e poi si imbarcarono come missionarie per l’Indonesia. Nel febbraio 1957, dopo cinque anni di servizio missionario lì, Susie tornò in Olanda per sposarmi. All’epoca prestavo servizio come sorvegliante di circoscrizione, e nel corso degli anni da che siamo sposati Susie ha molte volte dato prova di essere disposta a sacrificarsi per servire il Regno.

Dopo le nozze continuammo a visitare le congregazioni in varie parti dell’Olanda. Grazie agli anni dedicati all’opera missionaria in territori difficili Susie era ben preparata ad affrontare i nostri viaggi in bicicletta da una congregazione all’altra. Fu mentre svolgevamo l’opera nella circoscrizione, nel 1962, che il fratello Kushnir venne a trovarmi a Rotterdam e ci invitò a trasferirci nell’Irian Jaya (Indonesia).

Servizio missionario in Indonesia

Arrivammo nella cittadina di Manokwari: un altro mondo! C’erano i suoni misteriosi delle notti tropicali, il caldo, la polvere. E c’erano i papua dell’interno che indossavano solo un perizoma, giravano armati di machete e si divertivano a venirci dietro per cercare di toccare la nostra pelle bianca: ci volle un po’ prima che ci facessimo l’abitudine.

Era passata solo qualche settimana dal nostro arrivo che alcuni ecclesiastici avevano già letto dai pulpiti una lettera contro i testimoni di Geova e ne avevano dato una copia a tutti i presenti. Venne addirittura trasmessa dalla radio locale. Poi tre ecclesiastici ci fecero visita e pretesero che ci trasferissimo nell’interno per predicare a quelli che definirono “pagani”. Anche un alto commissario di polizia papua ci esortò ad andarcene e un agente della polizia segreta ci informò che qualcuno stava architettando di ucciderci.

Eppure non tutti ce l’avevano con noi. Un consigliere politico dei papua, un cittadino olandese che stava per tornare in Olanda, ci presentò a diversi capitribù papua. “I testimoni di Geova porteranno un cristianesimo migliore di quello che avete conosciuto”, disse. “Dovreste riservare loro una buona accoglienza”.

In seguito un funzionario del governo avvicinò Susie per strada e le sussurrò: “Siamo stati informati che avete iniziato un’opera nuova qui, e quindi non possiamo permettervi di rimanere. Ma, beh . . . se solo aveste una chiesa . . .” Un’idea! Abbattemmo subito alcune pareti della nostra casa, sistemammo alcune file di panche, erigemmo un podio per l’oratore e mettemmo sulla facciata la scritta “Sala del Regno”. Poi invitammo il funzionario a venirci a trovare. Annuì, sorrise e si batté la tempia con l’indice, come a dire: ‘Geniale, geniale’.

Il 26 giugno 1964, un anno e mezzo dopo il nostro arrivo, si battezzarono i primi 12 papua con cui avevamo studiato la Bibbia. Poco dopo se ne aggiunsero altri 10, e alle adunanze avevamo una media di 40 presenti. Furono mandati due pionieri indonesiani a darci una mano. Quando la congregazione di Manokwari fu ben stabilita, la filiale indonesiana della Società, nel dicembre 1964, ci assegnò un altro territorio in cui predicare.

Prima che partissimo, il responsabile dell’ufficio relazioni pubbliche del governo ci prese in disparte e disse: “Mi dispiace che ve ne andiate. Ogni settimana il clero mi pregava di mandarvi via perché secondo loro raccoglievate i frutti delle loro fatiche. Ma io rispondevo: ‘Al contrario, danno il fertilizzante ai vostri alberi’”. E aggiunse: “Ovunque andiate, continuate a lottare e vincerete!”

Un colpo di stato

Una notte del settembre 1965, mentre prestavamo servizio nella capitale, Jakarta, ribelli comunisti uccisero numerosi comandanti militari, diedero alle fiamme la città e provocarono una sollevazione nazionale che portò infine alla caduta del presidente Sukarno. Circa 400.000 persone persero la vita!

Una volta, mentre stavamo predicando, nella strada accanto ci fu una sparatoria e scoppiò un incendio. Il giorno dopo apprendemmo che i militari stavano per distruggere una vicina sede dei comunisti. Al nostro avvicinarci i padroni di casa apparivano terrorizzati, ma quando udirono il nostro messaggio biblico, la tensione svanì e ci invitarono ad entrare. Si sentivano al sicuro con noi in casa. Quel periodo insegnò a tutti noi a confidare in Geova e a mantenere l’equilibrio in circostanze avverse.

Superata ulteriore opposizione

Verso la fine del 1966 ci trasferimmo nella città di Ambon, nelle pittoresche isole Molucche. Lì, fra la popolazione amichevole ed espansiva, trovammo molto interesse in senso spirituale. La nostra piccola congregazione crebbe in fretta e i presenti alle adunanze raggiunsero il centinaio. Allora esponenti delle chiese della cristianità si recarono all’Ufficio per gli Affari Religiosi per convincere il funzionario capo ad espellerci da Ambon. Ma lì, sulla scrivania del funzionario, videro i libri della Società in bella mostra! Non riuscendo a fargli cambiare idea, contattarono funzionari del Ministero dei Culti a Jakarta, richiedendo che venissimo espulsi non solo da Ambon, ma da tutta l’Indonesia.

Questa volta sembrò che fossero riusciti nei loro intenti, perché ci fu detto di lasciare il paese entro il 1º febbraio 1968. Se non che i nostri fratelli cristiani di Jakarta si misero in contatto con un alto funzionario musulmano del Ministero dei Culti, il quale riuscì a far revocare il provvedimento. Per di più la precedente politica fu abbandonata e venne concesso il visto di ingresso ad altri missionari.

Così, nei successivi dieci anni, in un ambiente ricco di magnifiche montagne, foreste e laghi nel nord di Sumatra, lavorammo con missionari provenienti dall’Australia, dall’Austria, dalle Filippine, dalla Germania, dagli Stati Uniti e dalla Svezia. L’opera di predicazione prosperò, specialmente fra i batak, il principale gruppo etnico della regione.

Tuttavia gli oppositori religiosi riuscirono infine a far mettere al bando la nostra opera di predicazione nel dicembre 1976 e l’anno seguente la maggioranza dei missionari partì per altri paesi. Da ultimo, nel 1979, toccò partire anche a noi.

In Sudamerica

Ormai quasi cinquantenni, ci chiedevamo se avremmo potuto abituarci ad un altro paese ancora. “Dobbiamo accettare una nuova assegnazione o è meglio che ci fermiamo da qualche parte?”, chiese Susie.

“Beh, Susie”, risposi, “dovunque Geova ci abbia invitato ad andare si è preso cura di noi. Chi sa quali ulteriori benedizioni ci riserva il futuro?” Così raggiungemmo il nuovo paese a cui eravamo stati assegnati, il Suriname, in Sudamerica. Entro un paio di mesi ripresi l’attività come sorvegliante viaggiante e presto ci sentimmo a casa nostra.

Ripensando agli oltre 45 anni dedicati al ministero a tempo pieno, Susie ed io comprendiamo quanto è stato importante il sostegno dei nostri genitori per aiutarci a continuare a svolgere l’opera missionaria. Nel 1969, quando rividi i miei genitori dopo sei anni, mio padre mi prese da parte e disse: “Se dovesse morire prima la mamma, non occorre che tu torni a casa. Rimani dove sei stato assegnato. Io me la caverò. Ma se dovesse accadere il contrario, allora dovrai sentire cosa pensa la mamma”. Mia madre disse esattamente la stessa cosa.

I genitori di Susie avevano il medesimo spirito altruistico. Ci fu una volta in cui Susie mancò da casa 17 anni, eppure non le scrissero mai una parola che potesse scoraggiarla. Naturalmente se i nostri genitori non avessero avuto nessun altro aiuto saremmo tornati a casa. Ciò che voglio dire è che i nostri genitori avevano tutti lo stesso apprezzamento per l’opera missionaria e, fino alla loro morte, hanno servito Geova con il medesimo senso di urgenza che avevano instillato nel nostro cuore. — Confronta 1 Samuele 1:26-28.

Siamo anche stati incoraggiati da persone che ci scrivevano regolarmente. Alcune ci hanno scritto per tutti gli oltre 30 anni del nostro servizio missionario, senza mai saltare un mese! Ma soprattutto teniamo presente il nostro caro Padre celeste, Geova, che sa come sostenere i suoi servitori sulla terra. Perciò, mentre ora ci avviciniamo al culmine degli eventi che abbiamo tanto atteso, Susie ed io desideriamo ‘tenere bene in mente la presenza del giorno di Geova’ continuando a servirLo con un senso di urgenza. — 2 Pietro 3:12.

[Immagine a pagina 26]

Sposati nel 1957

[Immagine a pagina 29]

Sei giovani pionieri: Che gioia!

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