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La sfida della “buona notizia”La Torre di Guardia 1963 | 15 luglio
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rappresenta la vita. Geova comandò: “Chiunque sia, della casa d’Israele o forestiero che dimora in mezzo a loro, che mangi qualunque genere di sangue, Io volterò la mia faccia contro quella persona che avrà mangiato il sangue, e la reciderò di mezzo al suo popolo; perché l’anima della carne è nel sangue, ed Io vi ho ordinato di porlo sull’Altare in espiazione per le anime vostre; perché è il sangue, in quanto anima, che espia. Per questo ho detto ai figli d’Israele: Nessuno di voi mangi sangue; neppure il forestiero che dimora fra voi mangi sangue. E se uno dei figli d’Israele o dei forestieri che dimorano fra loro prende a caccia un animale o un uccello che si può mangiare, ne sparga il sangue e lo ricopra di terra. Perché l’anima di ogni carne è il suo sangue, egli è in luogo dell’anima; perciò ho detto ai figli d’Israele: Non mangiate sangue di nessuna carne, perché il sangue è l’anima di ogni carne; chiunque ne mangia, sia reciso”. La santità della vita fu ulteriormente messa in risalto nel Sesto Comandamento con queste parole: “Non uccidere”. — Lev. 17:10-14; Eso. 20:13, Na.
12. Che cosa è espresso nei Dieci Comandamenti, che Geova scrisse su tavolette di pietra?
12 I Dieci Comandamenti espressero dieci leggi o regole fondamentali per governare gli Israeliti. Furono incisi da Dio stesso mediante il potere dello spirito santo su due tavolette di pietra che vennero date a Mosè sul monte Sinai. Giustamente avevano il posto più importante nel codice della legge dato ad Israele, pur essendo parte di esso. Esprimevano leggi o princìpi fondamentali, regole di condotta che stabilivano in primo luogo i rapporti degli Israeliti con Dio e quindi i loro rapporti in seno alla famiglia e poi l’uno con l’altro. I primi quattro ponevano in rilievo la necessità di adorare Geova come Dio con tutto il cuore e in modo esclusivo e di ubbidire ai suoi comandi. Il quinto mostrava la necessità dell’unità nella famiglia, del rispetto dei figli verso padre e madre; e gli altri cinque concernevano i rapporti col prossimo: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non attestare il falso contro un altro, non bramare, cioè non desiderare con motivi errati qualcosa che appartiene a un altro. — Eso. 20:1-17.
LA NAZIONE D’ISRAELE È UN ESEMPIO AMMONITORE
13, 14. (a) Che cosa avrebbe ottenuto Israele ubbidendo alle leggi di Dio? (b) Quale benedizione ricevette, e perché non durò?
13 L’ubbidienza alle leggi di Geova avrebbe recato indicibili benedizioni agli Israeliti. I suoi comandamenti li avrebbero aiutati a seguire una buona condotta che avrebbe promosso unità, salute e felicità nella nazione. Ma ciò che più conta, li avrebbero guidati sulla via della giusta adorazione, della giusta condotta che sarebbe piaciuta al loro Dio Geova, e avrebbe fatto loro ottenere la sua approvazione. L’ubbidienza li avrebbe protetti dalla falsa adorazione e dalle pratiche immorali che li avrebbero indotti a peccare e a ribellarsi, e ad essere infine rigettati da Dio.
14 Mantenendo la sua promessa, Dio condusse gli Israeliti in un paese dove scorrevano il latte e il miele. (Eso. 3:8; Num. 13:27) Dopo parecchie vicissitudini la nazione si stabilì nella Terra Promessa, cioè nel paese di Canaan o Palestina, ed è scritto che sotto il governo del re Salomone “godeva pace da ogni parte all’intorno. Quindi Giudei ed Israeliti vivevano tranquilli, ognuno all’ombra della sua vite e del suo fico, da Dan fino a Bersabea, per tutto il regno di Salomone”. (1 Re 4:24, 25, PB) Ma queste benedizioni non durarono. Le ripetute disubbidienze alla legge di Dio attirarono infine la giusta punizione: Dio rifiutò di averli come suo popolo. Al posto delle benedizioni, sopraggiunsero sulla nazione le maledizioni che Dio aveva predette per tale disubbidienza.
15. (a) Su quali due fondamentali comandamenti furono basati i rapporti di Israele con Geova? (b) Perché un’ipocrita forma di adorazione non avrebbe tratto in inganno Geova?
15 Mentre il patto della legge si basava sui Dieci Comandamenti, i rapporti della nazione con Dio erano basati in effetti su due princìpi fondamentali: l’amore verso Dio e l’amore verso il prossimo. (Deut. 6:5-9; Lev. 19:18) La fedeltà a questi due princìpi era più che indispensabile per rimanere nel favore di Dio. La debolezza o le temporanee mancanze dovute all’imperfezione umana, benché attirassero disciplina e rimproveri, potevano essere sempre perdonate, ma quando la nazione smise d’amare Dio e non lo servì più con tutto il cuore, poté derivarne solo il disastro. (1 Cron. 28:9; Prov. 4:23) Non lo si poteva ingannare con un’ipocrita forma di adorazione, poiché Geova è un Dio che “guarda al cuore” e che ‘scruta i cuori’ degli uomini. Il cuore della maggior parte degli Israeliti aveva smesso di amare Dio e il prossimo, ed essi amavano solo se stessi, e Geova lo vide. Egli poteva vedere le empie azioni commesse, prima nell’oscurità e poi apertamente, alla luce del giorno, man mano che il loro cuore s’induriva per fare il male. — 1 Sam. 16:7; Ger. 17:10, Na.
16. (a) In che modo giunse sulla nazione la calamità? (b) Come ne spiegò la ragione Geremia?
16 Gli Israeliti entrarono nella Terra Promessa nel 1473 a.C., e il paese fu definitivamente assoggettato al tempo del re Davide, il cui regno di quarant’anni terminò nel 1037 a.C. Quarant’anni dopo la nazione era divisa dalla gelosia e dalla rivalità e perciò, morto il re Salomone nel 997 a.C., l’originaria nazione d’Israele si suddivise in due regni, il regno delle dieci tribù d’Israele a nord, avente per capitale Samaria, e il regno delle due tribù di Giuda a sud, avente per capitale Gerusalemme. Il regno settentrionale delle dieci tribù fu distrutto nel 740 a.C. dagli Assiri, e nel 607 a.C. fu distrutto dai Babilonesi il regno di Giuda. Non molto tempo prima della fine del regno di Giuda, Geremia aveva detto loro queste parole: “‘Poiché io ho scongiurato i vostri padri dal giorno che li trassi fuori dal paese d’Egitto fino a questo giorno, li ho scongiurati fin dal mattino, dicendo: — Ascoltate la mia voce! — Ma essi non l’hanno ascoltata, non hanno prestato orecchio, e hanno camminato, seguendo ciascuno la caparbietà del loro cuore malvagio; perciò io ho fatto venir su loro tutto quello che avevo detto in quel patto che io avevo comandato loro d’osservare, e ch’essi non hanno osservato’. Poi l’Eterno [Geova] mi disse: ‘Esiste una congiura fra gli uomini di Giuda e fra gli abitanti di Gerusalemme. Son tornati alle iniquità dei loro padri antichi, i quali ricusarono di ascoltare le mie parole; e sono andati anch’essi dietro ad altri dèi, per servirli; la casa d’Israele e la casa di Giuda hanno rotto il patto, che io avevo fatto coi loro padri. Perciò, così parla l’Eterno [Geova]: — Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò’”. — Ger. 11:7-11, VR. Esaminare Deuteronomio 6:12-15 e 28:15, 45-47.
17. Di quale temporanea restaurazione godettero gli Israeliti?
17 Usando grande misericordia e adempiendo la sua promessa e il suo proposito, Geova fece tornare nella Terra Promessa un rimanente della nazione da Babilonia, dopo un periodo di desolazione di settant’anni. Ancora una volta al popolo d’Israele ch’era in schiavitù fu data la buona notizia di questa liberazione. Questo rimanente dell’Israele naturale fu fatto tornare in Palestina affinché vi fosse restaurata l’adorazione di Geova, benché non tornasse ad essere una nazione indipendente, un regno separato.
18. La nazione d’Israele si dimostrò forse “degna della buona notizia” che le era stata proclamata?
18 Dimostrò forse l’antica nazione d’Israele d’essere infine “degna della buona notizia” annunciata loro da Mosè in Egitto? Gli Israeliti adempirono forse la promessa dei loro padri di ubbidire a tutto ciò che Geova aveva comandato, di essere veramente il suo popolo, e di fare la sua volontà? Il Racconto ispirato risponde no! Che come nazione fossero assolutamente indegni è chiaramente rivelato dal loro atteggiamento verso Gesù, il promesso Messia, che rigettarono e fecero mettere al palo. Prima di morire Gesù aveva pronunciato il giudizio sulla nazione dicendo: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta”. — Matt. 23:37, 38, VR; Luca 23:18-25; Atti 2:23.
19. (a) Quale grande privilegio ebbero gli Israeliti mentre erano fedeli? (b) Quando Dio rigettò infine tale nazione, significò forse questo la fine dei rapporti di Dio con l’umanità?
19 Gli Israeliti avevano ricevuto il grande privilegio di essere una nazione di testimoni di Geova. (Isa. 43:10-12) Questo non significa che fosse loro comandato di predicare in tutte le altre nazioni della terra riguardo a Geova; ma erano stati separati per l’esclusivo servizio e l’adorazione di Geova. Mediante le meravigliose opere che Geova aveva fatte per loro e mediante la vera adorazione ch’essi praticavano quando erano fedeli, Geova si era fatto un grande nome. Ma avrebbero potuto continuare ad essere suoi testimoni solo se avessero praticato la vera adorazione, rispettato il suo patto e se avessero ubbidito ai suoi comandamenti. Ma furono infedeli. Così Geova rigettò l’Israele naturale. Il patto della legge stipulato con essi ebbe fine, poiché fu adempiuto in Gesù e la legge fu inchiodata al palo di tortura. (Col. 2:14) Ma questo non pose fine a tutti i rapporti di Dio con gli uomini. Fu quindi inaugurato un nuovo patto con Cristo Gesù come Mediatore, non con l’Israele naturale, ma con una nazione che producesse buoni frutti, la cui condotta sarebbe stata degna del celeste regno di Dio avente Cristo come Re. — Ebr. 8:6; Matt. 21:43.
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Il particolare nome di DioLa Torre di Guardia 1963 | 15 luglio
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Il particolare nome di Dio
Non è cosa insolita per i moderni traduttori della Bibbia oscurare il nome Geova sostituendo “SIGNORE” al nome scritto nell’originale ebraico. È interessante notare il commento di T. V. Moore, allora pastore della Prima Chiesa Presbiteriana di Richmond, in Virginia, che scrisse nella sua traduzione e nel commento ad Aggeo, Zaccaria e Malachia, a pagina 55: “Abbiamo conservato il nome Geova, anziché renderlo SIGNORE, perché i sacri scrittori fanno una netta distinzione tra questo nome di Dio e ogni altro, una distinzione che non dovrebbe essere nascosta nella traduzione. È il suo titolo del patto, che incorpora nella sua struttura l’immutabilità della sua esistenza come garanzia della sua fedeltà al suo popolo. Vedere Esodo 6:3”. — 1º gennaio 1856.
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