Il Gran Paradiso: un parco d’alta montagna
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Italia
“MI sembra che Dio abbia fatto questa regione perché tutto il popolo e tutto il mondo la vedano e la godano per sempre. È impossibile che qualunque privato pensi di poterne possedere una parte per conto suo. Questo magnifico territorio naturale non appartiene a noi. Appartiene alla nazione. Facciamone un parco pubblico e teniamolo protetto . . . perché non sia alterato e sia sempre considerato come sacro”. Con queste parole un giudice americano nel 1872 perorava presso il Congresso degli Stati Uniti l’approvazione di un disegno di legge per l’istituzione del Parco Nazionale di Yellowstone, il primo del mondo.
Da allora altri parchi nazionali sono sorti in varie zone della terra e attualmente ve ne sono oltre un migliaio. Fra questi vi è quello del Gran Paradiso, il primo istituito in Italia, che è un magnifico parco d’alta montagna. Il noto poeta Giosuè Carducci descrisse quella zona alpina del Piemonte con questi bei versi poetici:
“Su le dentate scintillanti vette
salta il camoscio, tuona la valanga
da’ ghiacci immani rotolando per le selve croscianti:
ma da i silenzi de l’effuso azzurro
esce nel sole l’aquila, e distende
in tarde ruote digradanti il nero volo solenne”.
Il Parco comprende il massiccio del Gran Paradiso, dal quale prende il nome, e la cui più alta vetta raggiunge i 4.061 metri di altitudine. Include inoltre cinque valli principali nettamente distinte: a tre si accede dalla valle di Aosta (sono la val di Cogne, la Valsavaranche e la val di Rhèmes), le altre due scendono nel Canavese fino a Pont Canavese. Ha un’estensione di circa 60.000 ettari (600 chilometri quadrati) e per questo è il secondo d’Italia dopo il Parco Nazionale dello Stelvio che, secondo recenti informazioni, è il più vasto d’Europa a seguito di un ampliamento da poco tempo approvato. In generale si può salire in auto, d’inverno fino ai capoluoghi comunali delle valli, e d’estate poco oltre. All’interno è percorso da una serie di sentieri, di cui solo pochi tratti sono percorribili in automobile.
In origine era una riserva di caccia del re Vittorio Emanuele II. Con decreto del 1922, convertito in legge nel 1925, nasceva ufficialmente il Parco Nazionale del Gran Paradiso che aveva lo scopo di proteggere “un patrimonio di bellezze ancora più grande di quello che ha saputo creare nel campo dell’arte il nostro genio”. È un luogo dove ancora si può essere attratti dalla bellezza di un fiore che nasce spontaneamente, dove si possono ammirare un ghiacciaio scintillante, e anche toccarlo, o gli uccelli che svettano e dove le poche aquile dividono con gli stambecchi la sovranità dei monti.
La flora del Gran Paradiso
La flora del Parco è quella caratteristica dell’ambiente alpino. Dalla vegetazione del fondovalle coi suoi campi e prati, si passa ai boschi dove prevalgono querce, castagni e ontani, mentre più in alto vi sono gli abeti rossi, i pini cembri e i larici. Salendo ancora troviamo salici nani, rododendri e betulle nane, e ovunque vi sia una radura di terreno sgombro possiamo ammirare i meravigliosi fiori propri di questo ambiente: genziane, campanule e anemoni alpini che annunciano la primavera quando ancora la neve copre i pascoli. Ma la vita vegetale non si arresta finché c’è suolo, seppur roccioso, nel qual caso è rappresentata da muschi e licheni.
Poiché non tutti possono arrivare nei luoghi, anche molto impervi, dove le piante alpine crescono spontanee, è stato istituito, precisamente a Valnontey, 3 chilometri da Cogne, il giardino alpino “Paradisia”. In esso sono raccolte oltre duemila specie vegetali e vi potrete ammirare alcune piante che il Parco protegge gelosamente, come l’Artemisia glacialis e il genepy (entrambe note poiché usate nella preparazione degli omonimi liquori), la Paradisia liliastrum, le genziane, le Ranunculacee, gli anemoni, ecc.
Se visiterete questo incantevole luogo, troverete all’ingresso un tabellone di spiegazione dei simboli e colori dei cartellini disseminati in tutto il giardino. Tali cartellini variano di colore secondo la specie di piante che rappresentano: sono rossi per le piante medicamentose e velenose, bianchi per quelle esotiche e gialli per le specie alpine ed europee. Contengono anche informazioni circa la famiglia, il genere, la specie, la diffusione e l’epoca della fioritura.
La notevole varietà della flora del Parco è dovuta anche alla formazione geologica del Gran Paradiso, essenzialmente costituita da un complesso di gneiss stratificati (rocce metamorfiche). Gli appassionati di mineralogia potranno ammirare nel Parco (ma non portare via con sé) molti tipi di rocce e di minerali: oltre allo gneiss in varie composizioni, vi sono il granito e il calcare. Molto belli sono il “serpentino verde”, che è possibile lavorare e lucidare come un marmo, e i cristalli di quarzo molto frequenti nel Parco.
La fauna
Una grande ricchezza del Parco Nazionale è la fauna selvatica. Fra tutti i mammiferi che popolano il Parco, lo stambecco è il vero “monarca della montagna” (ve ne sono oltre duemila esemplari). Quando visiterete il Parco non ripartite senza averlo visto!
Vi chiederete se sia facile trovarlo. Ebbene, con un buon binocolo lo si può osservare quasi sempre, in particolare in primavera, esplorando le pareti rocciose tagliate da strisce d’erba, i pendii erbosi, soprattutto al mattino o verso sera.
Ma qual è l’aspetto di questo abitatore della montagna? La cosa che a prima vista colpisce del suo comportamento è l’indolenza. Se sarete così abili da non inquietarlo con gesti bruschi o grida, col vento a favore e senza nascondervi, potrete avvicinare uno stambecco maschio a meno di dieci metri e osservarlo mentre rumina placidamente. Le femmine sono invece meno compiacenti e non si lasciano avvicinare così facilmente.
Quando lo stambecco presagisce un pericolo emette un fischio acuto e breve. Esso è dotato di vista, udito e odorato davvero eccellenti. Generalmente lo troverete ad arrampicarsi sulle rocce; infatti, grazie ai larghi zoccoli a suola tenera, forniti di bordi duri e taglienti, e grazie alle gambe dai muscoli potenti, può passare dappertutto. In pieno giorno quasi non si muove, ma rumina e sonnecchia per molte ore. Raramente vedrete uno stambecco bere a un ruscello, ma forse lo sorprenderete intento a mangiare della neve.
Visitando il Parco in primavera avrete la possibilità di incontrare lo stambecco molto in basso, anche sotto i mille metri d’altitudine, vicino ai villaggi e alle strade alla ricerca di pascoli d’erba fresca. Durante l’estate gli stambecchi salgono sempre più in alto, man mano che spunta l’erba novella. In definitiva la vita dello stambecco è piuttosto tranquilla in questo Parco che lo protegge dai fucili dei cacciatori che ne hanno reso la vita impossibile in altri massicci montagnosi dove una volta viveva.
Ma lo stambecco non è l’unico rappresentante della fauna alpina a far da corona al meraviglioso paesaggio del Parco. Incontriamo anche il camoscio, più ombroso dello stambecco e difficilmente avvicinabile. Esso ama infatti i luoghi dove si sente sicuro: i boschi e le rocce. Oggi i camosci nel Parco sono circa cinquantamila. Forse avete letto in alcuni libri che il camoscio e lo stambecco arrivano fino a 18-20 anni d’età, ma in realtà nella libera e dura esistenza che trascorrono in montagna è già molto che arrivino a 15-16 anni.
Alcuni aspetti significativi: camosci e stambecchi d’estate scelgono i pascoli in piano, risparmiando quelli scoscesi sui quali la neve non si ferma neppure d’inverno. L’erba così risparmiata e accresciutasi fa scivolar via la neve e si offre come cibo in tempo di bisogno. I piccoli del camoscio nascono nel mese di maggio perché appena allora in alta montagna spunta l’erba nuova. Gli stambecchi vivono invece in zone più elevate dei camosci e lì l’erba nuova spunta più tardi: ecco che i piccoli degli stambecchi nascono in giugno. Quale sapiente disegno nella natura si scopre in questi minimi particolari, rivelatori dell’esistenza di un sapiente Progettista!
Non dimentichiamo comunque la fauna minore che popola il Parco! Fra le specie che la compongono, la marmotta è forse l’animale più in vista durante la bella stagione e il più diffuso nel Parco. È un animale particolarmente simpatico, vivace e dai sensi molto sviluppati. Emette fischi acuti e brontolii strani. Le marmotte sono abilissime scavatrici di rifugi profondi dove si chiudono all’inizio della stagione fredda, dopo essersi ingrassate accumulando provviste. La tana della marmotta ha una particolarità: per il modo in cui è costruita, conserva una temperatura costante di 3-4 gradi sopra zero, anche se all’esterno vi sono 30 gradi sotto zero. Solo dopo un lungo letargo, a primavera, le marmotte riprendono la vita attiva, dopo un sonno profondo della durata di sette mesi. Se c’è qualcosa che questo roditore sa fare meglio di altri animali, questo è dormire, tanto che nel linguaggio comune a una persona lenta e dormigliona si dice: “Muoviti marmotta!” oppure “Svegliati marmotta!”
Ma attenzione . . . non fate rumore . . . Solo così potrete osservare le marmotte, con un bel sole, uscire dalle loro tane, mangiare l’erba dei prati, giocare, litigare e godersi il calore del sole su grosse pietre.
Ma che cosa sta succedendo? Come mai si ritirano così in fretta nelle loro tane? È in arrivo il loro principale nemico, l’aquila. A causa infatti della capacità della marmotta di avvertire i pericoli, pochi altri animali sono in grado di minacciarla.
Malgrado la persecuzione da parte dell’uomo, nel Parco del Gran Paradiso anche l’aquila reale, seppure in un numero limitato di esemplari, ha potuto sopravvivere. Essa è un rapace dall’aspetto assai imponente, la cui apertura alare può superare i due metri; vola con rari colpi d’ala, volteggiando lentamente, spesso quasi fermandosi per avvistare la preda con la sua vista acutissima. E quando l’ha avvistata, si getta fulmineamente in picchiata, ad una velocità che contrasta singolarmente con la precedente lentezza del volo. È uno spettacolo senza uguale osservare il superbo volo dell’aquila reale mentre plana da dominatrice tra le vette alpine. Essa fa il nido sugli alberi, ma più spesso in corrispondenza di cavità o sporgenze delle pareti rocciose, deponendovi da due a quattro uova agli inizi della primavera.
Un altro abitatore del Parco è l’ermellino dalla pelliccia pregiatissima. La sua mobilità è straordinaria. Arriva anche a quote molto alte, fino a 3500-4000 metri, sempre che riesca a trovare di che nutrirsi (topolini o altri animaletti).
L’ermellino ha una particolarità che forse non tutti conoscono: è sbadato. In che senso? vi chiederete. Ebbene, d’inverno l’ermellino cambia il colore della pelliccia e diventa tutto bianco, solo che ogni volta dimentica la punta della coda, la quale rimane nera . . . Scherzi a parte, il perché di questo cambiamento è che l’ermellino vive in un ambiente coperto di neve e perciò il diventar bianco nella stagione invernale gli dà la facoltà di potersi mimetizzare con l’ambiente ed essere perciò meno visibile sia ai suoi aggressori, sia alle prede di cui si nutre.
Nel Parco vi sono poi martore e faine. Questi due animali sono parenti stretti, ma la martora vive prevalentemente sugli alberi, mentre la faina vive a terra. Le loro tane sono fatte spesso tra il groviglio delle radici di un albero o al riparo di qualche roccia.
Ma che cosa sta facendo il povero tasso? Perché abbandona la sua tana? Si tratta della solita volpe che lo importuna. Infatti la volpe, la cui furbizia è proverbiale, scava la propria tana solo quando non ne trova una già bell’e pronta; oggi ha deciso di installarsi in una delle gallerie della tana del tasso. Per questo motivo il tasso, che è molto pignolo per la pulizia e l’igiene, ha abbandonato la sua tana alla volpe per farsene una altrove.
Non basterebbe un volume per descrivere completamente tutte le meraviglie della creazione che questo Parco ospita. La visita a questo magnifico luogo suscita ammirazione per tante bellezze naturali e apprezzamento per l’istituzione dei Parchi nazionali che ne ha permesso la conservazione.
Senza le guardie (oggi il Parco è sorvegliato da 65 guardaparco comandati da un ispettore), osserva il direttore del Parco Nazionale, “il Parco sarebbe come una casa senza muri: resterebbe il tetto, resterebbero i pilastri, da lontano sembrerebbe una casa, ma dentro non ci sarebbe niente, o quasi. Per quanto sembri strana e spiacevole, questa è la realtà: il Parco è come una casa che deve essere protetta, altrimenti non ci sarebbe vita in esso”. E nonostante la sorveglianza, ogni anno nelle zone di confine i bracconieri uccidono e portano via 30-40 fra stambecchi e camosci.
Ma il bracconaggio non è l’unico male del Parco. Esiste un pericolo forse maggiore, rappresentato da alterazioni dell’ambiente, come la costruzione di edifici, strade, impianti per sport invernali. A questi danni va aggiunto il comportamento di numerosi turisti che non hanno alcun rispetto per l’ambiente naturale; razziano la flora (il Parco, va ricordato, vanta rari endemismi — specie di animali o piante che si trovano soltanto in un particolare territorio — come l’Aethionema thomasianum, che cresce oltre che nel Parco solo in Marocco, e l’Astragalus alopecuroides, che fuori del Parco si trova solo nel Delfinato francese, mentre abbonda in Asia), disturbano la fauna rincorrendola o lanciando pietre e abbandonano dappertutto i rifiuti.
Perciò, benché il luogo sia stupendo e possa dare l’idea di un paradiso, manca nell’uomo ciò che è necessario per renderlo veramente tale. Al contrario, il Creatore ha promesso nella sua Parola scritta, la Bibbia, di fare dell’intera terra un vero paradiso. In esso non ci sarà più necessità di guardie e di luoghi di protezione, poiché non esisteranno più coloro che oggi rovinano la terra. — Riv. 11:18.