L’“espresso pazzo” dell’Africa orientale
DAL CORRISPONDENTE DI SVEGLIATEVI! IN KENYA
IL PROGETTO inglese di costruire poco più di 100 anni fa una linea ferroviaria attraverso l’Africa orientale non ebbe l’appoggio entusiastico di tutti i parlamentari di Londra. Un oppositore scrisse beffardamente:
“Quanto costerà non ci sono parole per esprimerlo;
Qual è il suo obiettivo nessuno può immaginarlo;
Da dove partirà nessuno può dirlo;
Dove andrà nessuno lo sa.
A cosa servirà nessuno può supporlo;
Cosa trasporterà nessuno può stabilirlo;
Chiaramente non è altro che una pazzia”.
In realtà il progetto non era affatto così stravagante. La ferrovia doveva essere lunga circa 1.000 chilometri, da Mombasa, porto del Kenya sull’Oceano Indiano, fino al Lago Vittoria. Una volta ultimata, assicuravano i sostenitori, avrebbe favorito il commercio e lo sviluppo e avrebbe anche posto fine alla tratta degli schiavi nella zona. Si calcolava che il costo della costruzione si sarebbe aggirato sugli 8 miliardi e mezzo di lire, da addebitare ai contribuenti inglesi. I lavori di costruzione avrebbero richiesto quattro o cinque anni.
Ma i particolari erano un po’ confusi. Quando l’ingegnere capo, George Whitehouse, arrivò a Mombasa nel dicembre 1895, aveva solo un abbozzo del percorso che la ferrovia avrebbe dovuto seguire. Ciò che apprese in seguito fu davvero traumatizzante. Proprio a ovest di Mombasa c’era una regione torrida, senz’acqua, che la maggior parte delle carovane evitava. Inoltre la ferrovia doveva attraversare 500 chilometri di savana e boscaglia piene di leoni e brulicanti di mosche tse-tse e zanzare. Poi veniva la zona delle alteterre di origine vulcanica spaccata dalla Great Rift Valley, larga 80 chilometri, con i suoi precipizi profondi 600 metri. Gli ultimi 150 chilometri fino al lago si diceva fossero un fangoso acquitrino. Non è strano che la costruzione di questa ferrovia sia diventata una delle più avvincenti saghe africane.
Prime difficoltà
Ovviamente per un’impresa così colossale ci voleva un esercito di lavoratori. Poiché Mombasa era una piccola comunità, i lavoratori furono fatti venire dall’India. Solo durante il 1896 ne arrivarono via mare oltre 2.000: muratori, fabbri, carpentieri, geometri, progettisti, impiegati e manovali.
Poi c’era il problema di rendere Mombasa un centro di raccolta idoneo per l’enorme quantità di attrezzature che dovevano essere importate per costruire i 1.000 chilometri di ferrovia. I soli binari richiesero 200.000 rotaie lunghe 9 metri ciascuna e del peso di due quintali. Ci vollero anche 1.200.000 traversine (in gran parte di acciaio). Per fissare le rotaie e le traversine si dovettero importare 200.000 ganasce, 400.000 bulloni e 4.800.000 biette di acciaio. Inoltre si dovettero importare locomotive, tender, garitte per i frenatori, vagoni merci e carrozze passeggeri. Ma prima di poter posare la prima rotaia, fu necessario costruire banchine, magazzini, alloggi per gli operai e officine. Ben presto la sonnolenta cittadina costiera si trasformò in un porto efficiente.
Whitehouse si rese immediatamente conto che ci sarebbe stato il problema dell’acqua; i pochi pozzi di Mombasa soddisfacevano a malapena i bisogni della popolazione locale. Ma ci sarebbe voluto un mare di acqua per bere, per lavarsi e per i lavori di costruzione. “Da quello che ho visto e so del paese”, scriveva Whitehouse, “la sola soluzione che raccomando è di portare l’acqua con treni cisterna per le prime 100 miglia [160 chilometri]”. Quei treni cisterna avrebbero dovuto trasportare almeno 40.000 litri di acqua al giorno!
All’inizio gli ingegneri risolsero il problema dell’acqua sbarrando un torrente e costruendo una cisterna per conservare l’acqua piovana. Poi vennero importati macchinari che dissalavano l’acqua marina.
I lavori iniziarono, e alla fine del 1896 — un anno dopo che Whitehouse era arrivato a Mombasa — erano stati posati 40 chilometri di binari. Nonostante questi risultati, i critici furono pronti a osservare che se non si procedeva più in fretta, il primo treno avrebbe compiuto il viaggio dalla costa al Lago Vittoria solo nei primi anni ’20!
Attraverso la pianura del Taru
Intanto i lavoratori addetti alla costruzione si ammalavano. Nel dicembre 1896 nell’ospedale da campo erano ricoverati più di 500 operai colpiti da malaria, dissenteria, ulcere tropicali e polmonite. Alcune settimane dopo metà dei lavoratori erano immobilizzati da malattie.
Ciò nonostante i lavori proseguirono e per maggio i binari erano stati prolungati di oltre 80 chilometri, fino all’arida pianura del Taru. Per quanto a una prima occhiata il terreno sembrasse ideale per portare avanti la costruzione a un ritmo normale, il Taru era una foresta di arbusti spinosi ad altezza d’uomo, taglienti come rasoi. Spesse nuvole di polvere rossa soffocavano i lavoratori. Il sole bruciava, indurendo la terra: la regione era un forno infestato da spine. Anche di notte raramente la temperatura scendeva sotto i 40°C. Nella storia ufficiale della ferrovia scritta da M. F. Hill si legge: “Sembrava che lo spirito stesso dell’Africa si risentisse dell’intrusione della ferrovia dell’uomo bianco”.
Terrorizzati dai leoni
Alla fine del 1898 la ferrovia raggiunse il fiume Tsavo, al chilometro 195. Poi, oltre ai problemi del terreno ostile, si presentò un’altra difficoltà: due leoni cominciarono ad attaccare gli operai. La maggior parte dei leoni evita le prede umane. Quelli che attaccano l’uomo di solito sono troppo vecchi o infermi per catturare animali. I due leoni dello Tsavo, un maschio e una femmina, erano rare eccezioni. Né vecchi né deboli, arrivavano furtivamente di notte e portavano via le vittime.
I lavoratori atterriti costruivano barricate di rovi intorno agli accampamenti, tenevano accesi fuochi e mettevano sentinelle che battevano bidoni di petrolio vuoti nella speranza di tenere lontani gli animali. In dicembre gli operai erano così terrorizzati dai leoni che alcuni fermarono un treno che tornava a Mombasa sdraiandosi sui binari e poi circa 500 di loro si accalcarono sul convoglio. Rimasero solo una cinquantina di operai. La costruzione venne sospesa per tre settimane mentre i lavoratori si diedero a rinforzare le loro difese.
Alla fine i leoni furono presi e il lavoro ricominciò.
Altre difficoltà
Entro la metà del 1899 i binari raggiunsero Nairobi. Da lì la ferrovia proseguì verso ovest, scendendo di oltre 400 metri nella Rift Valley e poi risalendo dall’altra parte attraverso fitte foreste e superando gole profonde fino al Mau Escarpment, a 2.600 metri di altitudine.
I problemi legati alla costruzione di una ferrovia su un terreno così impervio erano abbastanza complessi, ma c’erano altre difficoltà. Guerrieri locali, per esempio, penetravano nel campo e si appropriavano materiali da costruzione: sia filo del telegrafo per fare ornamenti che bulloni, chiodi e rotaie per fabbricare armi. A questo proposito, sir Charles Eliot, un ex commissario nell’Africa orientale, scrisse: “Si può immaginare quanti furti verrebbero commessi ai danni di una ferrovia europea se i fili del telegrafo fossero fili di perle e le rotaie fucili da caccia di prim’ordine . . . Non sorprende che i [componenti delle tribù] cedessero alla tentazione”.
L’ultimo tratto
Mentre i lavoratori affrontavano gli ultimi dieci chilometri della ferrovia fino al Lago Vittoria, dissenteria e malaria facevano strage nell’accampamento. Metà dei lavoratori erano malati. Contemporaneamente vennero le piogge, che trasformarono il terreno già soffice in un pantano. Le banchine della ferrovia diventarono così cedevoli che si dovettero scaricare i carri merci mentre erano ancora in movimento, altrimenti si sarebbero ribaltati e sarebbero sprofondati nel fango. Un operaio descrisse così uno di questi treni: “Avanzava lento e con cautela, dondolando da una parte all’altra e oscillando su e giù come una nave quando il mare è mosso, e schizzando melma per tre metri all’intorno”.
Finalmente, il 21 dicembre 1901, si strinse l’ultimo dado nell’ultima rotaia a Port Florence (ora Kisumu), sulla riva del Lago Vittoria. Complessivamente per costruire i 937 chilometri di ferrovia c’erano voluti cinque anni e quattro mesi con una spesa di 16 miliardi di lire. Oltre 2.000 dei 31.983 lavoratori venuti dall’India morirono, altri ritornarono in India e migliaia rimasero e crebbero fino a formare la vasta popolazione asiatica dell’odierna Africa orientale. Si costruirono 43 stazioni ferroviarie, 35 viadotti e oltre 1.000 ponti e gallerie.
La scrittrice Elspeth Huxley la definì “la ferrovia più ardita del mondo”. Ma rimaneva la domanda: Ne era valsa la pena o la ferrovia era stata davvero una “pazzia”, una colossale perdita di tempo, denaro e vite umane?
La ferrovia oggi
La risposta a questa domanda si trova considerando cosa è accaduto nei quasi 100 anni da che fu ultimata la linea iniziale. Le locomotive a vapore hanno ceduto il passo agli oltre 200 potenti locomotori diesel di oggi. Alla linea principale sono stati aggiunti vari tronchi che raggiungono decine di città grandi e piccole in Kenya e in Uganda. Ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo delle capitali, Nairobi e Kampala.
Oggi la ferrovia ha un duplice scopo. Primo, porta sicuramente e regolarmente a destinazione i viaggiatori. Secondo, rende possibile il trasporto di merci come cemento, caffè, macchinari, legname e generi alimentari. Il trasporto di innumerevoli container nell’entroterra dopo che sono stati scaricati dalle navi è pure un grosso affare per le ferrovie keniote.
Chiaramente la ferrovia si è dimostrata di immenso valore per l’Africa orientale. Forse un giorno potrete fare un viaggio sulla famosa ferrovia che un tempo fu bollata come l’“espresso pazzo”.
[Riquadro/Immagine a pagina 24]
VIAGGIO IN TRENO
PER i turisti come per la popolazione locale il treno è un popolare mezzo di trasporto, specie da Mombasa a Nairobi. I treni passeggeri partono ogni giorno sia da Nairobi che da Mombasa alle 19 in punto. Se viaggiate in prima o in seconda classe, prima di salire controllate i cartelli affissi sulla vostra carrozza e il vostro scompartimento. Uno steward in piedi lì vicino vi chiede se desiderate cenare alle 19,15 o alle 20,30. Voi scegliete. Dopo che avete scelto lui vi consegna l’apposito tagliando.
Salite in carrozza. Si sente il fischio del treno e suona la musica mentre il convoglio esce dalla stazione.
Quando è l’ora di cena qualcuno passa per lo stretto corridoio suonando un piccolo xilofono per farvi sapere che è pronto. Nel vagone ristorante ordinate dal menu; mentre mangiate un inserviente entra nel vostro scompartimento e vi prepara il letto.
La prima parte del viaggio si svolge al buio. Ma prima di mettervi a dormire, forse volete spegnere la luce, guardare dal finestrino e chiedervi: ‘Quelle ombre e quelle sagome al chiaro di luna sono elefanti e leoni, o sono semplici cespugli e alberi? Come si dormiva qui fuori quasi cento anni fa, quando la ferrovia era in costruzione? Avrei avuto paura allora? E adesso?’
Il viaggio dura poco meno di 14 ore, perciò avete molto da vedere dopo che l’alba illumina il paesaggio africano. Se andate a Mombasa, il sole del mattino si leva rosso sopra una foresta di spine, che lentamente cede il passo ai palmeti e poi ai prati falciati, alle siepi curate e ai moderni edifici di Mombasa. I contadini coltivano i campi a mano mentre bambini scalzi salutano con entusiasmo i viaggiatori gridando e agitando le mani.
Se andate a Nairobi, si fa luce mentre il treno sferraglia attraverso una vasta pianura. Lì è facile scorgere animali, specie quando si attraversa il Parco Nazionale di Nairobi.
L’esperienza è davvero unica. Su quale altro treno potete fare un’abbondante colazione mentre fissate dal finestrino branchi di zebre o di antilopi?
[Fonte]
Kenya Railways
[Cartine/Immagini a pagina 23]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
KENYA
Lago Vittoria
Kisumu
NAIROBI
Tsavo
Mombasa
OCEANO INDIANO
[Fonti]
Mappamondo: Mountain High Maps® Copyright © 1997 Digital Wisdom, Inc.
Carta dell’Africa sul mappamondo: The Complete Encyclopedia of Illustration/J. G. Heck
Maschio e femmina di cudù: Lydekker
Treni: Kenya Railways
Leonessa: Century Magazine