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  • Le tendenze desiderabili — la sottomissione cristiana
    La Torre di Guardia 1958 | 15 luglio
    • Le tendenze desiderabili — la sottomissione cristiana

      “Siate ubbidienti . . . facendo la volontà di Dio con tutta l’anima”. — Efes. 6:5, 6.

      1. Come è mostrata la completa sottomissione dall’esempio dato da Gesù?

      Quando riesaminiamo i tragici risultati a cui l’uomo è giunto per aver seguito la propria determinazione nella vita, dovremmo scegliere un altro modello che abbia durevoli benefici. Invece di agire secondo i propri impulsi, perché non considerare l’altruista suggerimento dato dalle parole di Gesù inerente ai due grandi comandamenti? Egli disse:” ‘Devi amare Geova il tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima e con tutta la mente tua’. Questo è il più grande e primo comandamento. Il secondo, simile ad esso, è questo: ‘Devi amare il tuo prossimo come te stesso’”. Queste parole, piuttosto che dare libertà di scelta, limitano estremamente la condotta che piacerà a Geova. Questo comandamento elimina interamente la scelta individuale. Infatti, queste parole allontanano dalla vita di ognuno qualsiasi altro desiderio eccetto quello della completa ubbidienza e sottomissione a Geova. — Matt. 22:37, 38.

      2, 3. (a) Che cosa significa la dedicazione? (b) Da quale schiavitù è stato liberato il Cristiano? (c) Quale schiavitù è desiderabile?

      2 Questo fu il modello di vita di Gesù e dei suoi seguaci. Un Cristiano, dedicando la sua vita a Geova Dio, spontaneamente fa voto di seguire le orme fissate dal principale Servitore; significa infatti che l’individuo sarà schiavo del suo Padrone. Ma poi, analizzando il problema, troveremo che un individuo sarà servitore o schiavo di un padrone o dell’altro, come ci dice Paolo in Romani 6:16: “Non sapete voi che se continuate a presentarvi come schiavi a qualcuno per ubbidirgli, siete suoi schiavi perché gli ubbidite, o al peccato in vista della morte o all’ubbidienza in vista della giustizia?” Quindi Paolo esclama: “Ma grazie a Dio, voi che eravate schiavi del peccato siete divenuti ubbidienti di cuore a quella forma d’insegnamento a cui siete stati consegnati. Sì, da quando siete stati liberati dal peccato, voi siete divenuti schiavi della giustizia. . . . così ora presentate le vostre membra schiave alla giustizia in vista della santità”. (Rom. 6 Verss. 17-19) Queste parole non lasciano al vero Cristiano altra alternativa che quella di modellare la sua vita in modo da rendersi schiavo dei desideri del suo Padrone. Naturalmente, tale giusta condotta mostra che Geova è il Padrone a cui scegliamo di ubbidire e di rendere fedele servizio. La posizione di schiavitù è opportunamente menzionata da Paolo in Efesini 6:5, 6: “Schiavi, siate ubbidienti a quelli che sono i vostri padroni . . . come schiavi di Cristo, facendo la volontà di Dio con tutta l’anima. Siate schiavi con buone inclinazioni, come a Geova, e non agli uomini”. La ricompensa per tale condotta è descritta per noi in Colossesi 3:24 con queste parole: “Poiché sapete che è da Geova che riceverete la dovuta ricompensa dell’eredità. Voi siete schiavi del Signore Cristo”.

      3 Considerando di aver avuto l’opportunità di sfuggire alla schiavitù del “dio di questo mondo” e alla schiavitù di se stessi coloro che risponderanno all’invito di essere ‘schiavi di Cristo’, e di rendere “sacro servizio” a Geova riceveranno molta felicità. — Apoc. 22:3.

      SCHIAVI FIDATI

      4, 5. Come può un padrone provare la lealtà dei suoi schiavi, e quale ricompensa è data al lavoratore? All’infingardo?

      4 Gli schiavi sono frequentemente provati dal padrone per determinarne la capacità e lealtà. Questo ci è ben illustrato da un caso in cui un uomo stava per partire per l’estero. Egli convocò davanti a sé i suoi schiavi e diede loro un vario numero di talenti; cinque a uno, due a un altro, e ad un altro ancora soltanto uno. Dopo che un considerevole tempo fu trascorso il padrone ritornò e chiese che gli fossero resi i conti di ciò che gli schiavi rispettivamente avevano fatto con i talenti che erano stati dati loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne aveva guadagnati cinque e in ricompensa al suo fedele servizio gli venne affidata maggior responsabilità. Ciò avvenne anche per colui al quale erano stati dati due talenti; anche questi aveva agito favorevolmente e profittevolmente. Quindi a colui che aveva ricevuto due talenti il padrone disse, dopo che gli erano stati mostrati gli ulteriori due talenti che erano stati guadagnati: “Ben fatto, buono e fedele schiavo! Tu fosti fedele sopra poche cose. Io ti nominerò sopra molte cose. Entra nella gioia del tuo padrone”.

      5 Ma che cosa accadde allo schiavo che aveva ricevuto soltanto un talento? Invece di far uso del talento nel servizio del suo padrone egli lo nascose. Quando il padrone ritornò, lo schiavo gli restituì l’unico talento, ma non aveva null’altro da mostrare al suo padrone. In questo caso la risposta fu: “Schiavo malvagio e infingardo, sapevi dunque che io mietevo dove non avevo seminato e che raccoglievo dove non avevo sparso? Ebbene, avresti dovuto depositare il mio denaro presso i banchieri, e al mio arrivo avrei ricevuto ciò che è mio con l’interesse. Perciò prendetegli il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a ognuno che ha, sarà dato di più e avrà in abbondanza; ma quanto a colui che non ha, perfino ciò che ha gli sarà preso. E gettate lo schiavo buono a nulla nelle tenebre di fuori”. Con questa illustrazione in mente, un vero schiavo non dovrebbe trovare difficoltà nel prendere la giusta decisione. Egli si sottometterà interamente e irrevocabilmente agli ordini del suo Padrone. Benedetta e felice sarà la sorte di questi schiavi di Cristo Gesù, perché le benedizioni del Padre comprenderanno l’eredità del regno che fu provveduto per tali fedeli schiavi. Essere schiavi del giusto Padrone può essere una condizione felice e desiderabile, anche per le sue “altre pecore”. — Matt. 25:14-30; Luca 12:32; Matt. 25:34.

      6. Come può uno schiavo condividere la felicità?

      6 Questo è il motivo per cui i testimoni di Geova sono, in questo tempo, un popolo felice. Essi si rendono conto di avere fatto un patto con Geova e di aver fatto voto di essere sottomessi ad ogni suo comando. Invece di cercare il modo per estendere i confini imposti a loro in qualità di schiavi, per soddisfare i loro desideri personali, essi dicono: ‘Come posso regolare la mia condotta in modo da essere assolutamente certo che mi trovo entro i limiti stabiliti dal Padrone?’

      7. Quale immediata ricompensa è data a coloro che rispondono favorevolmente alle parole del Padrone? A quelli che rifiutano?

      7 Coloro che odono le parole di liberazione dalla schiavitù di Satana risponderanno ansiosamente per poter rendere a Geova un fedele e leale servizio e faranno ciò costantemente. Vi sarà un’immediata ricompensa per questi, come Geova ha promesso, dicendo riguardo alle sue “altre pecore”: “Essi non avranno più fame né avranno più sete, né li colpirà il sole né alcun bruciante calore, perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pascolerà, e li guiderà alle fontane delle acque della vita”. Dio ha promesso di asciugare ogni lacrima dai loro occhi. Riflettete dunque su questa posizione di schiavitù in contrasto con l’infelice posizione del grande ribelle Satana e dei suoi empi, invisibili demoni, dei suoi empi strumenti terrestri e di coloro che sono ingannati da tutto ciò. Mediante la conoscenza della Parola di Dio apprendiamo qual è la buona, accettevole e completa volontà di Dio, e quindi seguiamo le istruzioni come schiavi ubbidienti al nostro Padrone. Infatti, se non lo facciamo, vi sarà da parte nostra una manifestazione di ribellione e finiremo con questo ribelle mondo condannato, perché sia esso che i suoi desideri finiranno; ma colui che fa la volontà di Dio rimane per sempre. La giusta condotta, esente da tendenze ribelli, significa vita eterna per i fedeli e volenterosi schiavi. — Apoc. 7:15-17; 1 Giov. 2:17.

  • Ebrei (Lezione 66)
    La Torre di Guardia 1958 | 15 luglio
    • Ebrei (Lezione 66)

      Chi scrisse l’epistola agli Ebrei? Questa è una domanda che ha suscitato non poche controversie. Però non esiste alcuna prova sostanziale che additi chiunque altro all’infuori di Paolo come l’autore. I Cristiani della Grecia e dell’Asia fin dai tempi più antichi sono unanimi nell’attribuirla all’apostolo Paolo. Le espressioni, il linguaggio figurativo e le allusioni usate nell’epistola sono simili a quelle delle altre epistole di Paolo. Le circostanze esistenti all’epoca in cui fu scritta indicano Paolo. Egli era, per esempio, in Italia (Ebr. 13:24); vi era carcerato (Ebr. 10:34), era in intima associazione con Timoteo ed aveva la facoltà di dire che avrebbe viaggiato con lui se gli avvenimenti lo avessero permesso (Ebr. 13:23). Recentemente, nel 1931, venne scoperta un’altra prova per stabilire che Paolo scrisse l’epistola agli Ebrei. In quell’anno fu resa pubblica la scoperta di manoscritti papiracei. Uno di questi, noto oggi come il Papiro N. 2 di Chester Beatty (P46), scritto poco dopo il 200 d.C., contiene 86 fogli di un codice delle epistole di Paolo. In questa antica collezione delle epistole paoline si trova per prima quella ai Romani e seconda viene quella agli Ebrei; seguono altre otto epistole di Paolo. Questo significa che i primi Cristiani riconoscevano che l’epistola agli Ebrei era opera di Paolo; nel compilare il loro codice o libro delle epistole di Paolo essi vi includono fra le altre la lettera agli Ebrei.

      In quanto alla dottrina, l’epistola è tipicamente di Paolo, e qualsiasi digressione dal suo stile usuale è dovuta al fatto che egli si rivolgeva ai lettori giudei. In altre lettere Paolo ripetutamente mette in risalto che la salvezza viene mediante la fede e la grazia, e non mediante le opere della legge. Tuttavia mostra rispetto per la legge. Egli capisce perché fu provveduta, che fu un tutore per condurre Israele a Cristo. Quando Cristo viene, la legge ha termine perché ha adempiuto il suo proposito ed è essa stessa adempiuta da Cristo. Tutta questa dottrina pervade le epistole riconosciute di Paolo. Lo scrittore di Ebrei palesa lo stesso chiaro intendimento del soggetto. In questa lettera indirizzata ai Giudei cristiani egli saggiamente ragiona da un punto di vista strettamente giudaico. Indica come la legge, le ordinanze e i sacrifici prefigurassero Cristo e la Sua opera, come tutte queste cose fossero adempiute da Cristo e terminate nel loro senso tipico, come fossero ora sostituite da antitipi molto più gloriosi che recavano maggior misericordia e beneficio agli stessi credenti

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