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  • Gibilterra, più che un simbolo di forza
  • Svegliatevi! 1972
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Svegliatevi! 1972
g72 22/3 pp. 25-27

Gibilterra, più che un simbolo di forza

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Marocco

ERETTA come una sentinella che guarda l’ingresso occidentale del mar Mediterraneo è un’enorme roccia, il famoso promontorio roccioso di Gibilterra. Esso è stato così intimamente associato con la qualità della forza che, ogni volta che viene menzionato, viene subito in mente l’espressione: “Forte come la roccia di Gibilterra”.

Ma Gibilterra è più che un promontorio roccioso assai fortificato. È anche la dimora di molte persone. Sin da prima del primo secolo della nostra Èra Volgare si ha notizia della sua occupazione da parte di Fenici, Greci, Cartaginesi e Romani; nel quinto secolo E.V. i Romani rinunciarono al suo possesso davanti ai Goti invasori.

Occupanti più recenti

Nel 711 E.V. Tarik ibn-Ziyad guidò circa 12.000 Mori alla conquista della strategica fortezza. I Mori la chiamarono “Jabal Tarik” (Monte di Tarik) dal nome del loro condottiero. Col tempo il nome si corruppe e divenne “Gibilterra”.

Seicento anni dopo l’occupazione dei Mori fu interrotta dagli Spagnoli che nel 1309 presero il promontorio. Il re Ferdinando IV di Castiglia emanò un decreto che incoraggiava le persone a stabilirvisi. Il decreto esentava quelli che vi si stabilivano dal servizio militare e dal pagamento delle tasse al re. Fece anche di Gibilterra un asilo per i criminali che si sottraevano alla giustizia. I loro delitti sarebbero stati perdonati al termine di un anno e un giorno di residenza.

Gli sforzi degli Spagnoli di conservare la fortezza fallirono, comunque, e nel 1333 i Mori la ripresero. Negli anni successivi scoppiarono a intervalli aspri combattimenti per il suo possesso, e infine la Spagna la riconquistò nel 1462. Benché fortificata dagli Spagnoli tanto da essere considerata inespugnabile, nel luglio del 1704 Gibilterra cadde nelle mani degli Inglesi, e da allora è sempre rimasta in loro possesso.

Quando presero Gibilterra, gli Inglesi concessero ai 6.000 residenti Spagnoli di scegliere se rimanere o andarsene. Meno di cento rimasero. Gli altri attraversarono l’istmo per fondare la cittadina di San Roque a una decina di chilometri. Così la popolazione di Gibilterra fu drasticamente ridotta.

Col tempo il vuoto di popolazione umana si riempì, principalmente di Spagnoli e Italiani. Ma presero a risiedervi anche Ebrei, Marocchini, Indiani e altri. Infine tutti questi si fusero per formare un popolo distinto, il popolo di Gibilterra. Oggi la colonia ha circa 25.000 abitanti. La maggioranza di essi parlano sia lo spagnolo che l’inglese.

Caratteristica dimora

La dimora di questo popolo è una penisola rocciosa, lunga meno di cinque chilometri e larga oltre un chilometro e mezzo, che sporge dal continente spagnolo. È grande circa un decimo dell’isola di Manhattan a New York, e sarebbe anch’essa un’isola se non fosse per il basso, sabbioso istmo che costituisce una “zona neutrale” attentamente sorvegliata fra Spagna e Gibilterra.

Il massiccio promontorio è ovviamente l’aspetto predominante della colonia. Si eleva a 400 metri, e dalla sua cima si possono vedere l’Europa, l’Africa, il mar Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. La sola città della colonia si trova sul lato occidentale del promontorio, dove è stato sottratto al mare un bel pezzo di terra. L’intero distretto commerciale è su terreno pianeggiante; comunque, la zona residenziale sorge in modo spettacolare sulle pendici a terrazze.

Lì ci sono stradine ombreggiate e giardini pensili, e l’aria è piena del profumo dei fiori. Secondo l’effettivo conto, ci sono più di cinquecento specie di piante. Fra queste ci sono palme da datteri, pini, cipressi, eucaliptus, carrubi, fichi, alberi del pepe, ulivi selvatici, aranci e limoni e varie piante di cactus. Quasi tutta questa ricca vegetazione cresce sul lato occidentale. La parete orientale e quella settentrionale del promontorio sono nude e a picco.

Le persone di Gibilterra hanno la fortuna d’avere un clima mite ma non troppo caldo che favorisce l’attività all’aperto. D’estate quasi tutti amano trascorrere tempo sulle spiagge. Molte famiglie preparano da mangiare la sera prima per arrivare sulla spiaggia di prima mattina. Alcuni giovani si dedicano alla pesca subacquea e spesso tornano con piccoli polipi o altri bocconcini di mare.

D’altronde, molti vanno volentieri in cima al promontorio con i nuovi vagoncini della teleferica. Questi effettuano il percorso nel giro di alcuni minuti. Di lì si possono vedere i monti Rif del Marocco e, guardando dall’altra parte, la Costa del Sol spagnola. Che spettacolo!

All’interno del promontorio

Alcune delle più sorprendenti attrazioni di Gibilterra sono dentro il promontorio stesso, dove si trovano molte caverne naturali. La caverna di S. Michele è stata talvolta usata come auditorio in cui fino a seicento spettatori hanno assistito a esecuzioni musicali. È entusiasmante osservare le stalattiti e le stalagmiti che assumono diverse sfumature allorché vengono proiettate su di loro luci colorate.

Ma oltre alle caverne naturali, il promontorio è letteralmente pieno di gallerie e di enormi fosse impiegate come serbatoi. Durante la seconda guerra mondiale gli Inglesi scavarono cinquanta chilometri di passaggi sotterranei con le mine. Lì avevano ospedali, caserme, depositi di munizioni, laboratori, una vera e propria città! Recentemente la mia famiglia e io facemmo un giro dentro il promontorio.

La guida ci mostrò parecchi serbatoi, spiegando: “Ciascuno è profondo sei metri e il fondo è a oltre cento metri sopra il livello del mare. Sono stati tutti scavati nella solida roccia con le mine”. Complessivamente, ci sono tredici serbatoi, apprendemmo, con una capacità totale di sessanta milioni e cinquecentomila litri d’acqua. Per darci una migliore idea della loro grandezza, la guida disse che uno di essi era stato impiegato come caserma a tre piani per ospitare quattrocento soldati durante la guerra!

Quando facemmo il giro non pioveva da parecchi mesi, per cui alcuni serbatoi erano vuoti, pronti a ricevere le piogge previste. “Venticinque millimetri di precipitazioni”. spiegò la guida, “producono due milioni e ottocentomila litri d’acqua, che durano solo tre giorni”. Per integrare la provvista d’acqua della colonia sono stati scavati pozzi d’acqua dolce, e sono stati anche installati un paio di impianti di distillazione per ricavare acqua dolce dall’acqua di mare.

Alla fine uscimmo dalla galleria sulla parete orientale, proprio all’estremità dell’immensa area di presa d’acqua. Lì 72.000 fogli di lamiera ondulata che coprono una superficie di quattordici ettari raccolgono la pioggia e l’incanalano nei serbatoi. Così anche la nuda superficie della parete orientale è bene utilizzata.

Mentre ritornavamo sui nostri passi nella galleria, era ovvio che Gibilterra non è in realtà così forte come si potrebbe pensare. Non è di granito, ma di pietra calcarea. E certo non è solida, con tutte le caverne, i serbatoi e le gallerie che ci sono. Ma, inoltre, Gibilterra è assai più che un simbolo, è la dimora di migliaia di persone.

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