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  • La torre di Pisa perché pende?

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  • La torre di Pisa perché pende?
  • Svegliatevi! 1980
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  • Dentro la torre
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Svegliatevi! 1980
g80 22/1 pp. 16-19

La torre di Pisa perché pende?

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Italia

CI SONO al mondo città celebri che debbono la propria notorietà a qualche aspetto singolare della loro urbanistica o a qualche opera d’arte assegnatagli dalla storia quasi per caso. Questo può dirsi della città italiana di Pisa. Il nome di questa antica repubblica marinara sarebbe ai più oggi quasi sconosciuto se non fosse per la celebre torre pendente che la onora della sua presenza da ormai più di 700 anni.

Visitare la torre di Pisa è un’esperienza unica nel suo genere; se poi vi capiterà di farlo in compagnia dell’“esperto” che quella volta accompagnò me, potrebbe essere ancor più piacevole. Ma lasciate che vi racconti.

La prima impressione

In tutta sincerità, debbo dire che nel mio viaggio attraverso l’Italia centrale mi fermai a Pisa solo per vedere la torre. (I pisani non me ne vogliano). Ma ora, con altrettanta sincerità, posso dire che la città merita di essere visitata per tanti altri motivi.

La torre troneggia al centro di una grande piazza, con una tale arditezza di stile che la pendenza sembra esserle stata data di proposito per sfidare le leggi naturali dell’equilibrio. Il primo colpo d’occhio è affascinante e si ha l’impressione di stare davanti a un gigante immobile, in equilibrio su una gamba sola. Mi avvicinai attraversando la piazza, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Guardandola così da vicino, dal basso verso l’alto, specialmente dalla parte inclinata, sembra che debba caderti addosso da un momento all’altro. Tanto è vero che dopo un attimo, guardandomi in giro per assicurarmi di non essere osservato, le camminai attorno, con la massima disinvoltura, fino a portarmi dal lato opposto. Ora mi sentivo di ammirarla con più distensione.

La guida

Ero intento alle prime considerazioni, più di ordine geometrico che artistico, quando mi distolse una voce dal caratteristico accento toscano.

“Cinquantaquattro metri e sei centimetri”.

Mi voltai ringraziando. Era un ragazzotto sulla quindicina, paffutello e dall’aria straordinariamente sveglia. Fu guardando la sua espressione evidentemente compiaciuta che mi resi conto di aver ricevuto la risposta ad una domanda che mi ero posto solo nella mente e proprio in quell’istante.

“Generalmente, dopo trenta secondi che la gente la guarda si chiede quanto è alta. Lei è perfettamente nella media”, fu la risposta che mi lasciò senza parole. “Vuole che le faccia da guida per visitare la torre?”

Non dissi né sì né no; alzai solo gli occhi verso la sommità, e forse sarà stata la nuova posizione di osservazione oppure quell’invito a salire, ma ora mi sembrava più pendente.

“Ho capito, lei ha paura!”

Forse era vero, o forse avrei solo voluto essere rassicurato. Sembrò capire anche questo; e fu così che cominciò a snocciolarmi un mare di notizie storiche che, dalla lettura di una guida della città, mi risultarono veramente accurate. Credo proprio volesse convincermi che se la torre stava lì, in piedi, da tanto tempo, era estremamente difficile che cadesse proprio ora.

Venni così a sapere che la torre nient’altro è che il campanile del vicino duomo e del battistero. Fondata il 9 agosto 1173 con la posa della prima pietra, è opera di Bonanno Pisano. Dopo varie interruzioni dei lavori, fu completata verso il 1370 da Tommaso di Andrea Pisano, e pare che già nel 1298 le cronache parlassero della sua pendenza. La nota rassicurante è che fino ad oggi pare abbia resistito a più di 100 terremoti e agli effetti, di gran lunga più dannosi, della seconda guerra mondiale che con i suoi pesanti bombardamenti ha colpito le zone vicine, mentre alcune cannonate hanno strappato qualche colonna.

Il problema della pendenza

Dinanzi a tanta accuratezza di particolari, mi riusciva solo di assentire col capo. Alla fine mi feci coraggio ed esordii con una domanda che, lì per lì, mi parve anche piuttosto banale: “Ma . . . fu costruita pendente o si inclinò col tempo?”

Attesi con un attimo di trepidazione la reazione del mio interlocutore. La sua espressione assorta invece mi rassicurò.

“Effettivamente, questo è proprio il principale interrogativo che da secoli gli studiosi si pongono. Qualcuno asserisce che fu fatta pendente per darle una nota di originalità. La maggioranza però sostiene che fu il terreno argilloso, impregnato d’acque sorgive, che cedette a costruzione iniziata e si continuò poi in pendenza, con le precauzioni del caso. Ma nessuno, con precisione, sa come andarono veramente le cose . . . solo lei”, disse guardando la torre, “ma non può parlare per raccontarcelo”.

Mi narrò poi di alcune leggendarie versioni formulate col trascorrere dei secoli a favore dell’una e dell’altra tesi: che fu fatta così perché un gobbo la volle a sua immagine; che si inclinò per la forza dei venti. C’è chi ha detto, e questo in pieno ottocento, che la torre non era inclinata, e che la pendenza era dovuta a un effetto ottico.

La mia guida parlava di queste cose con l’aria di chi le ripete per la centesima volta, e anche con una certa sufficienza. Mi sarebbe proprio piaciuto riuscire a trovare una domanda a cui non sapesse rispondere. Tentai: “Sai quanto pesa?”

“Quattordicimilacinquecento tonnellate”, e, incalzante, “ha una pendenza di quattro metri e trentun centimetri, alla sommità, che progredisce di sette o otto decimillimetri all’anno”.

Anche questa volta era riuscito a rispondermi. Feci un ultimo tentativo. “E quando dovrebbe crollare?” chiesi, credo, con tono pungente.

“È ovvio! Quando il suo baricentro cadrà fuori della base. Al di là di una certa inclinazione, i pesi . . .”

Decisi di rinunciare a combattere contro quell’enciclopedia ambulante e conclusi che era meglio avvalersene: “Ma non si può proprio fare nulla per bloccarne la pendenza?”

“Ne hanno fatte e pensate tante! Nel 1933 le fecero persino 361 iniezioni . . .”

“Che cosa?” chiesi sbalordito.

“Ma che ha capito . . . iniezioni di cemento . . . tutt’attorno; ben 93 tonnellate”.

Era ovvio; e ci rimasi un po’ male. Comunque, per fargli vedere che non ero poi uno sprovveduto gli dissi di aver letto che nel 1966 era stato fatto un appello mondiale per arrestare la pendenza della torre, questa grande ammalata, e che gli esperti generalmente concordano di intervenire per stabilizzare il terreno circostante. Alcuni hanno suggerito di vietare il prelievo dell’acqua dal suolo per un raggio di un chilometro e mezzo; secondo altri l’inclinazione continua solo quando lo strato freatico si abbassa al di sotto dei cinquanta metri e quindi la malattia, per così dire, si curerebbe immettendo o togliendo l’acqua dal sottosuolo attraverso un sistema di pompe.

Il ragazzo, che mostrò di conoscere anche quei particolari, continuando nella spiegazione, disse: “Ci sono poi le trovate bizzarre, che qualche tipo un po’ strano inventa ogni tanto”.

“E cioè?”

“Una volta un tale propose di fermarla legandola con dei cavi di acciaio, e un altro di scavarle una galleria nelle fondamenta . . .”

“A che scopo?”

“Be’ . . . non so bene . . .”

Finalmente qualche cosa che non sapeva! Ma quel ragazzino cominciava a diventarmi simpatico. Ormai sarei anche stato disposto a salire lassù in sua compagnia se me lo avesse chiesto di nuovo.

“Allora, vuol salire lassù con me?”

Era più che normale che me lo chiedesse in quel preciso istante, e fu come se me lo aspettassi. “Va bene, accompagnami lassù”, risposi senza esitare.

Dentro la torre

Non era nient’altro che la cavità di un enorme cilindro; un po’ scheletrica rispetto all’eleganza esterna di quelle 207 colonne, armoniosamente distribuite su sette ordini o piani oltre alla cella campanaria, che la fanno assomigliare ad un merletto.

La mia guida s’arrampicava con agilità sulle ripide scale ricavate nel muro. Sette piani; per ciascuno di essi una sosta e un giro tutt’attorno, con un panorama che si apriva verticalmente a ventaglio, prima sulla larga piazza; poi sugli edifici all’intorno, imponenti ma non soffocanti, quindi sull’orlatura bassa delle case e delle mura più in distanza. E alla fine, sulla sommità, una vista stupenda: a nord, la pianura pisana delimitata dai monti di S. Giuliano, oltre i quali è Lucca; ad est, i Monti Pisani e la valle dell’Arno; a sud, le Colline Pisane e ad ovest, in quella magnifica giornata piena di sole, il mare, con Livorno e le vaste pinete di S. Rossore.

Alla mia giovane ma dotta guida brillavano gli occhi mentre mi indicava col braccio teso le località all’intorno. Ora la sua non era più cultura enciclopedica, ma amore per la sua terra e forse anche per quello stupefacente monumento, che dalla sommità gli consentiva di spaziare così lontano. Poi all’improvviso si trasformò di nuovo in cicerone:

“È da quassù che Galileo Galilei, nato qui a Pisa, faceva cadere gli oggetti per fare esperimenti sulla caduta dei gravi. Questa invece è la cella campanaria della torre, con le sue sette campane che pesano complessivamente 9.500 chilogrammi. Non vengono mai suonate a distesa per non causare, col loro movimento, vibrazioni pericolose per la torre. Ciascuna ha il suo proprio nome . . .”

Ed elencò sette strani appellativi, ma non lo stavo più ad ascoltare. Mi divertiva guardarlo così assorto, senza distrazioni, investito del suo ruolo ufficiale.

Durante la discesa gli chiesi ancora qualche informazione circa eventuali significati simbolici legati alla forma della torre e ai suoi fregi ornamentali, ma fu abilmente elusivo. Più tardi lessi in un articolo dello studioso Dezzi Bardeschi (Psicon 1976) questa curiosa spiegazione: “I sette livelli [della torre] rappresentano le sette vie di Cristo, e le sette fasi della vita, le sette sfere armoniche per le quali l’anima deve passare (con l’aiuto dei sette doni dello spirito santo) per giungere a Dio”. Evidentemente dottrine filosofiche medioevali, strettamente legate e confuse con la cultura cosiddetta ‘cristiana’ e imbevuta di credenze orientali.

La mia visita non si concluse con la torre. Avevo letto che anche i monumenti adiacenti, la cattedrale e il battistero, bellissimi all’esterno, contenevano dei capolavori. Ma qui la mia giovane guida era meno preparata. Mentre li osservavo, notai che il ragazzo dava segni d’impazienza. Era tempo di congedarmi e quindi uscimmo all’aria aperta, sotto il sole che faceva brillare il manto verde dell’erba rasata. Lo salutai offrendogli un piccolo dono, invero meritato, dopo di che lo vidi scomparire mentre, saltellando, si confondeva tra la folla.

Rimasto solo, diedi un ultimo sguardo all’agile torre pendente e pensai che, come molti altri bei monumenti dell’antichità, è una testimonianza dell’ingegno umano, dote che, giustamente usata, può lodare il Creatore assai più dei rintocchi di qualsiasi campana.

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