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  • Perché sono in prigione?
  • Svegliatevi! 1983
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  • Talassemia major: un male inguaribile
  • In prigione
Svegliatevi! 1983
g83 22/5 pp. 4-6

Perché sono in prigione?

Come la piccola Ester, che ha una ragione speciale per fare questa domanda, anche noi dovremmo chiederci: Perché i suoi genitori sono in prigione?

POCO dopo la nascita di Ester, la sua sorellina maggiore Isabella morì di talassemia major. Per quanto la cosa possa apparire sorprendente, le autorità hanno ritenuto i suoi devoti genitori, Giuseppe e Consiglia Oneda, responsabili della sua morte e li hanno fatti mettere immediatamente in prigione. Sono stati poi processati per omicidio, ricevendo una lunga condanna.

Ester è ora affidata ad amici di famiglia i quali si prendono buona cura di lei; ciò nonostante per tre anni è stata privata delle cure e della vicinanza dei genitori che sono così importanti per i bambini. Essa può vedere i genitori solo una volta la settimana, per una ventina di minuti. Esiste qualche ragione valida per dividere una famiglia cristiana, per privare gli amorevoli genitori della libertà e per negare a questi genitori e alla loro bambina di stare insieme com’è naturale? Tutti noi abbiamo buone ragioni per chiedere: PERCHÉ?

Talassemia major: un male inguaribile

Ester è nata sana, ma non fu così per la sua sorellina. Poco tempo dopo la sua nascita nel paese di Sarroch, Isabella fu trovata affetta da una grave forma di talassemia major.

Forse sapete di questa temuta malattia ereditaria da cui sono affetti molti abitanti dei paesi mediterranei. I bambini che hanno questa malattia vengono curati con periodiche trasfusioni di sangue, nonostante le trasfusioni stesse siano molto rischiose, come ha scritto il professor Alfred Katz: “Nella migliore delle ipotesi la terapia trasfusionale è soltanto una misura di sostegno, ed è potenzialmente pericolosa”. (Minuti dell’ottobre 1981) Per qualche tempo gli Oneda portarono Isabella alla II Clinica Pediatrica dell’Università di Cagliari dove i medici le facevano trasfusioni. I medici però sapevano che questa terapia non avrebbe mai potuto sanare Isabella dalla sua malattia, che secondo la franca ammissione degli specialisti è inguaribile e a decorso fatale.

Mentre la scienza medica non era in grado di offrire a Isabella la speranza di una guarigione definitiva, Giuseppe e Consiglia cominciarono a trarre conforto e speranza dallo studio della Parola di Dio, la Bibbia, insieme ai componenti della locale congregazione dei cristiani testimoni di Geova. Appresero dalla Bibbia molte cose nuove, incluso il fatto che il Creatore dice che il sangue è sacro, dato che rappresenta la vita stessa. Nella Parola di Dio gli Oneda lessero che il primo concilio cristiano (a cui parteciparono gli apostoli di Gesù) comandò ai cristiani di ‘astenersi dal sangue’. (Atti 15:28, 29) Quando si resero conto che la Bibbia vieta di sostentare la vita mangiando o prendendo sangue, gli Oneda informarono i medici che avrebbero accettato (e anche cercato) cure alternative per la loro diletta bambina, ma che per motivi di coscienza non potevano più acconsentire alle trasfusioni di sangue.

In conseguenza di ciò i medici si rivolsero al Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Il Tribunale minorile impose allora la cura emotrasfusionale. E poiché i genitori non avrebbero portato di loro iniziativa la figlia per questa terapia contraria alla loro coscienza, lo stesso Tribunale dispose che la Clinica, i Carabinieri e i vigili urbani collaborassero insieme per trasportare e curare la piccola con le trasfusioni di sangue. A seguito di questa e di analoghe ordinanze emanate dal tribunale dal 28 giugno 1979 al 3 marzo 1980, le forze dell’ordine portarono molte volte Isabella alla Clinica, dove venne sottoposta coattivamente a trasfusioni di sangue. Questo però non fece migliorare le condizioni della piccola che purtroppo peggiorò.

Nel frattempo gli Oneda facevano scrupolosamente tutto il possibile per aver cura della loro bambina malata. Le procuravano i cibi migliori e cercavano altre terapie che potevano alleviarle le sofferenze o ritardare il progresso della malattia. Le mostrarono anche tutto il loro affetto di genitori nella buona atmosfera di una casa cristiana.

In prigione

Per qualche tempo i medici della Clinica assolsero la responsabilità affidata loro dal Tribunale: fecero in modo che Isabella venisse regolarmente trasportata alla Clinica per le trasfusioni che a loro dire erano necessarie. Ma poi nel 1980, per diversi mesi, i medici trascurarono questa loro responsabilità. Durante questo periodo Isabella, nonostante la grave malattia, stava discretamente. Infatti in giugno era anche in grado di giocare all’aperto.

Nelle sue ultime settimane di vita fu colpita da una bronchite e i genitori la curarono per questa complicazione. All’improvviso le sue condizioni si aggravarono. È possibile che questo sia stato causato proprio dall’affezione bronchiale? Possibilissimo! Gli stessi periti nominati dal Tribunale hanno dichiarato che l’anemia mediterranea può evolversi e portare alla morte “per un’influenza, una broncopolmonite o un’altra infezione”. In altre parole, queste complicazioni possono accelerare e provocare la morte di un bambino affetto da quel terribile morbo che è la talassemia major.

Il 2 luglio 1980, dopo essere stata portata alla Clinica dai vigili urbani, Isabella morì mentre le veniva somministrata un’altra trasfusione di sangue.

Due giorni dopo ci fu l’intervento della magistratura. Sia il direttore della Clinica che gli Oneda furono incriminati per omicidio colposo (questo è il reato di chi causa la morte di qualcuno involontariamente). Ma stranamente il 5 luglio l’imputazione contro l’eminente medico scompare e gli umili genitori vengono accusati di omicidio volontario! A questo punto i genitori venivano accusati di avere causato la morte di Isabella.

Pertanto furono arrestati e messi in prigione mentre l’altra figlia, Ester, aveva meno di due mesi. Sono rimasti in carcere per quasi due anni. Poi, il 10 marzo 1982, dopo il processo celebrato davanti alla Corte d’Assise, sono stati condannati a 14 anni di reclusione. Forse lo sapevate già, poiché di questa dura condanna hanno parlato i giornali di tutta Italia, suscitando molte proteste fra i cittadini.

Comprensibilmente contro questa severa condanna si è fatto ricorso alla Corte d’Assise d’Appello di Cagliari. Ma ci si poteva aspettare un giudizio imparziale nella stessa città dove la bambina era morta, nella stessa località dov’erano il medico e la clinica, nello stesso tribunale dove altri magistrati avevano lasciato cadere le accuse contro il medico e condannato i genitori a quattordici anni di reclusione? Che ne pensate?

Il 13 dicembre 1982 la corte d’appello emise la sentenza. Venne riconfermata la condanna per omicidio volontario. Tuttavia la corte d’appello ha ridotto la pena a nove anni di reclusione, riconoscendo come attenuante ‘la motivazione religiosa degli Oneda’.

Pensate che la cosa debba silenziosamente finire qui, e che questa giovane coppia debba languire in prigione per altri sei anni? È giusto che Ester sia privata dall’amorevole vicinanza dei genitori e cresca chiedendosi: Perché i miei genitori sono in prigione?

Giustamente i legali che hanno assistito la giovane coppia hanno presentato ricorso in Cassazione. Potrete capire meglio quanto ciò sia appropriato considerando alcune reazioni del pubblico alla sentenza dello scorso dicembre.

[Immagine a pagina 5]

Giuseppe Oneda spiega alla Corte d’Appello i motivi di coscienza che lo spinsero a cercare cure alternative per la sua diletta figlia

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