Lezione 49
Abdia e Giona
IL LIBRO di Abdia è il più breve delle Scritture Ebraiche. È troppo breve per giustificare una divisione in capitoli, ma è semplicemente diviso in ventuno versetti. Le prime parole, che costituiscono una specie di titolo per il libro, nominano il profeta di cui Geova si servì per pronunciare e registrare le sue profezie: “Visione di Abdia”. E con questa netta dichiarazione termina ogni attendibile informazione circa Abdia. Il suo nome significa “servitore di Jah”. V’è un certo numero di altri personaggi biblici chiamati in tal modo, ma nessuno è identico a questo, che è elencato come il quarto dei profeti minori. Fin dalla più remota antichità v’è gran numero di opinioni sull’identità di Abdia, ma la stessa diversità tra loro e le notevoli discordanze sono la più chiara prova della loro inconsistenza. Comunque, ciò che conta non è l’identificazione dell’individuo, ma la profezia che Geova gli fece pronunciare e scrivere.
Quando si tenta di determinare il tempo in cui Abdia visse e scrisse sorge ulteriore incertezza. Le Scritture non indicano esattamente il tempo, ma dal contenuto del libro stesso appare molto probabile che fosse scritto poco dopo la resa a Babilonia di Gerusalemme. Nella sua profezia di rovina contro Edom, Abdia rammentò loro il tempo in cui avevano assistito, rallegrandosene, alla caduta di Gerusalemme e alla deportazione di tutti i suoi abitanti in cattività. Inoltre, avevano preso parte al saccheggio delle sostanze dei Giudei e tagliato la strada a quelli che fuggivano. (Abdia 11-14; si veda anche Salmo 137:7; Lamentazioni 4:21, 22; Ezechiele 35:1-15) Abdia potrebbe essersi riferito ad avvenimenti che accaddero al tempo della cattività babilonese nel 607 a.C., e poi aver predetto la rovina che attendeva Edom, e che più tardi piombò sopra l’Edom tipico in maniera così letterale che quella nazione scomparve per sempre. Vi è notevole analogia tra le parole di Abdia nei versetti 1-9 e quelle di Geremia 49:7-22. È senz’altro possibile che verso lo stesso periodo di tempo Geova abbia doppiamente assicurato della fine di Edom per bocca di questi due testimoni.
Il libro di Abdia è una continua accusa contro Edom e un messaggio di giudizio che dichiara la sua totale distruzione. Da Geova proviene l’invito a radunarsi: “Levatevi! Leviamoci contro Edom a combattere!” Benché contro Edom siano chiamati i pagani, è chiaro che Geova è colui che provvede perché esso sia abbassato fin nella polvere della terra. Il suo orgoglio l’ha soltanto ingannato lasciandogli credere che la sua esaltata dimora sia un luogo d’irraggiungibile altezza e sicurezza. Geova scoprirà le sue iniquità lungamente celate e lo distruggerà finché non ne rimanga alcuna traccia! I suoi precedenti alleati si volgeranno contro di lui. La presunta saggezza dei suoi savi e la forza dei suoi prodi danno luogo alla costernazione; il massacro si estende su tutto il monte d’Esaù finché non vi rimane alcun abitante. La calamità è grande! — 1-9.
I versetti 10-16 ne dicono il perché. “A cagione della violenza fatta al tuo fratello Giacobbe, tu sarai coperto d’onta e sarai sterminato per sempre”. Indi il profeta ricorda come gli Edomiti avessero promosso l’afflizione sopra Giuda e Gerusalemme nel giorno della cattività, come è stato menzionato precedentemente in questa lezione. La giustizia retributiva di Geova li condurrà alla loro eterna fine. Gli ultimi cinque versetti contrappongono alla visione della triste fine di Edom la profezia delle glorie future che verranno sopra la casa di Giacobbe. In contrasto con la desolazione di Edom, un ritorno dalla cattività e il rientro in possesso delle terre sono previsti per la casa di Giacobbe. Dei salvatori appariranno sul Monte Sion e “il regno sarà dell’Eterno”.
La profezia di Abdia fu adempiuta letteralmente su piccola scala. Prova di ciò è la capitale di Edom, Petra, città scavata nella roccia viva. Essa è oggi un disabitato rudere del lontano passato. Il tipico Edom è stato distrutto per sempre. Il suo sterminio cominciò con l’invasione dell’esercito di Nabucodonosor, circa cinque anni dopo la caduta di Gerusalemme. L’adempimento maggiore di questa profezia è in corso in questi “ultimi giorni” contro l’Edom antitipico e si avvicina decisamente al suo culmine. Tutto questo prova la canonicità del libro di Abdia.
GIONA
La strana avventura di Giona nel ventre di un enorme pesce per tre giorni e tre notti è una delle storie più note della Bibbia. Essa ha suscitato le più diffuse supposizioni circa la specie di pesce che operò il suo trasporto sottomarino, ed è stato oggetto di accesi dibattiti contro la veridicità del racconto. Non c’è nulla nel racconto che permetta di considerarlo come una leggenda allegorica. La sua consistenza storica è provata dal riferimento di Cristo Gesù agli avvenimenti del libro, il quale manifesta come l’intera narrazione esponga un importante dramma profetico. (Matt. 12:38-41) Alcune fantastiche teorie inventate dai teologi per togliere al racconto il suo carattere miracoloso non potrebbero essere accettate nemmeno dai più creduli. La fede nella Parola di Dio e la fede nell’illimitato potere del Creatore concordano nello stabilire nelle menti fedeli l’integrità del racconto così come Geova lo fece scrivere.
Giona scrisse il libro che porta il suo nome e in cui egli figura personalmente in modo così rilevante. Il suo nome significa “colomba”. Egli era un profeta, figlio di Amittai, Galileo della tribù di Zabulon. Questa informazione è desunta dalla considerazione di Giona 1:1 e di 2 Re 14:25. E da quest’ultimo passo si capisce che Giona profetizzò durante o prima del regno di Geroboamo II, il quale ascese al trono del regno delle dieci tribù nell’852 a.C. Molto probabilmente egli conobbe il profeta Eliseo e fu in contatto con lui.
Per contrapporre la mancanza di fede del popolo del Suo patto alla fede di un popolo pagano “la parola dell’Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo di Amittai, in questi termini: ‘Lèvati, va a Ninive, la gran città, e predica contro di lei; perché la loro malvagità è salita nel mio cospetto’”. Ma Giona, sottraendosi al suo incarico di andare come missionario dai pagani del lontano oriente, si recò al porto di Giaffa per imbarcarsi su una nave diretta a Tarsis nel più lontano occidente, sulla costa meridionale della Spagna. — 1:1-3.
Una tremenda tempesta fu suscitata da Dio, e minacciava di far naufragare la nave. Tutti i marinai invocarono i loro dèi; ma Giona dormiva nella stiva della nave. Il capitano svegliò il dormiente e lo esortò ad invocare il suo Dio. Tirando a sorte Giona fu individuato come la causa della loro situazione. Furiose ondate impedivano alla sbattuta nave d’entrare in porto o di toccare terra. Allora i marinai terrorizzati, dietro insistenza di Giona pieno di rimorso, lo gettarono nel mare tempestoso, che subito cessò d’infuriare. Ma Geova aveva lavoro per il suo profeta. Egli fece sì che un enorme pesce fosse pronto a inghiottire Giona e a salvarlo dalla tomba acquea. Dopo parte di tre giorni, di cui si parla come di tre giorni e tre notti, e le ferventi supplicazioni di Giona, Geova indusse il pesce a vomitare Giona sulla spiaggia. Ingiuntogli per la seconda volta di recarsi nella capitale, Ninive, Giona non osò disubbidire ancora. Andò a Ninive e pubblicamente proclamò: “Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta!” Un’ondata di pentimento scosse la gran città; re e popolazione digiunarono e si umiliarono con abiti di sacco e sulla cenere. Geova pietosamente risparmiò la città. — 1:4–3:10.
Deluso e contrariato perché la sua predizione non si era avverata e perché era stata accordata grazia a una nazione pagana, Giona si ritirò fuori della città in una baracca, imbronciato, aspettando invano di vedere l’esecuzione del giudizio che aveva proclamato. Allora, con un’obiettiva lezione di misericordia e compassione, Geova biasimò il crucciato profeta. Dio fece spuntare un ricino per riparare dal caldo l’osservatore imbronciato; la sua ombra fu assai gradita. Ma il giorno seguente Dio fece sì che un verme rodesse il ricino e in luogo del suo refrigerio vennero un ardente vento orientale e un sole bruciante. Nell’angoscia il profeta desiderò morire. Era irritato perché il ricino non c’era più. Gli ultimi due versetti del libro rivelano Geova in atto di mostrare l’inconsistenza di Giona rispetto alla misericordia. Il profeta voleva misericordia per il ricino affinché vivesse, servisse allo scopo pietoso di ripararlo dal caldo; egli però non mostrava interesse per la misericordia usata verso i pentiti Niniviti. — 4:1-11.
Sotto la direttiva di Geova, Giona recitò bene la sua parte nel dramma profetico. Poi registrò il dramma fedelmente, non risparmiando se stesso. Si può presumere che ritornò in Israele e rimase fedele a Geova. Certo la condotta di pentimento della pagana Ninive costituì un rimprovero per Israele, che a quel tempo aveva infranto il patto con Geova e si era dato al demonismo.
[Domande per lo studio]
1. Chi era Abdia?
2. Qual è il probabile tempo dell’opera profetica di Abdia, e perché date tale risposta?
3. Quale grave calamità è dichiarata nei primi nove versetti della profezia?
4. Perché è dichiarata?
5. Che cosa mette in luce la fine del libro?
6. In che modo sosterreste voi la canonicità del libro?
7. Che cosa stabilisce che gli avvenimenti narrati nel libro di Giona ebbero effettivamente luogo?
8. Che cosa è riferito circa Giona e il tempo in cui scrisse?
9. Come da principio Giona si oppose al suo mandato?
10. Quali avvenimenti lo indussero poi ad adempierlo?
11. Quale fu il comportamento di Giona quando Geova mostrò misericordia a Ninive?
12. In quale senso si può dire che Giona servì Dio fedelmente?