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  • I miei dieci anni nelle carceri militari spagnole

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  • I miei dieci anni nelle carceri militari spagnole
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1985
  • Sottotitoli
  • Vedi anche
  • La mia prima grossa prova
  • In isolamento
  • Cosa rischiai per leggere la Bibbia
  • Una congregazione nel carcere
  • Attraverso la porta di un armadio
  • Amnistia e libertà
  • Ho trovato la libertà in prigione!
    Svegliatevi! 1987
  • Realizzato il mio desiderio di allevare una famiglia cristiana
    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1980
  • Da attivista politico a cristiano neutrale
    Svegliatevi! 2002
  • Risposta a domande
    Ministero del Regno 1974
Altro
La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1985
w85 1/12 pp. 26-30

I miei dieci anni nelle carceri militari spagnole

Narrato da Fernando Marín

DIECI anni di carcere nella Spagna franchista: dieci anni che hanno arricchito la mia vita. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma nel mio caso è stato proprio così. Non perché durante quegli anni abbia avuto grandi agi. Al contrario, ho provato tutta la crudele realtà di un carcere militare. Insieme a tutto questo, però, c’è stata anche la prova concreta, a volte sorprendente, della protezione divina. Riesco a ricordare quegli avvenimenti come se fosse ieri.

Ricevetti un’educazione cattolica, e studiai nelle scuole cattoliche di Barcellona. Crescendo, avevo il timore morboso delle pene dell’inferno di fuoco e del purgatorio. Poi, a 16 anni, studiai la Bibbia con i testimoni di Geova e quei terribili insegnamenti furono cancellati dalla mia mente. Dalla Bibbia compresi chiaramente che non esiste un’anima immortale. Pertanto, come potevano esistere luoghi per il tormento e la purificazione delle anime? — Ezechiele 18:4, 20; Ecclesiaste 9:5, 6, 10.

Nel 1961, a 18 anni, simboleggiai la mia dedicazione a Dio battezzandomi a Parigi durante il primo grande congresso al quale assistetti. Facevo parte del piccolo gruppo di spagnoli che era riuscito ad andare in Francia nonostante la misera condizione economica e la proscrizione dei testimoni di Geova in vigore a quel tempo in Spagna. La nostra opera di predicazione si svolse clandestinamente per la maggior parte del periodo franchista (1939-75).

Ero così grato di conoscere Geova e la sua verità tramite Cristo Gesù che la mia dedicazione fu senza riserve. Volevo essere un ministro pioniere a tempo pieno. Il mio desiderio si realizzò nel febbraio del 1962. Da allora sono rimasto in questo servizio, anche mentre ero in prigione. Ma per quale motivo dovetti andare in prigione?

La mia prima grossa prova

Nel febbraio del 1964, a 21 anni, fui chiamato alle armi. Ero preparato per quello che doveva accadere. Per anni, come altri miei coetanei della congregazione, mi ero proposto due mete nella vita: essere un ministro pioniere a tempo pieno e rimanere integro nella questione della neutralità cristiana. — Giovanni 17:16; 18:36.

Quando partii da casa per andare in caserma, avevo una sensazione di aspettativa, con una specie di freddo nervosismo, ma con convinzioni molto chiare nella mia mente. Giunto nella caserma locale, spiegai la mia posizione di obiettore di coscienza, un’espressione che a quel tempo in Spagna difficilmente era compresa e certamente non tollerata. Mi fu dato un lasciapassare per il viaggio e mi fu detto di presentarmi alla caserma dell’isola di Tenerife (nelle Canarie) a oltre 1.600 chilometri da casa mia nella Catalogna.

A Tenerife le autorità militari pensarono fossi pazzo. Quale persona sana di mente avrebbe mai rifiutato di prestare servizio militare in una dittatura fascista? Fui inviato in un ospedale psichiatrico. Fui visitato da un dottore che conosceva i Testimoni e così mi fu risparmiato un trattamento che avrebbe potuto procurarmi danni permanenti. Ben presto mi rinchiusero in un carcere militare. Per quanto tempo vi sarei rimasto? Non ne avevo idea, dato che a quel tempo non c’era una pena prestabilita per gli obiettori di coscienza.

Negli anni seguenti, conobbi il vuoto interiore provocato dalla solitudine e la bassezza morale di compagni di cella degradati. Affrontai situazioni in cui la mia vita fu in pericolo, e mi furono fatte offerte allettanti perché violassi la mia integrità e la mia neutralità. A poco a poco finii per capire che anche una piccola cella può divenire un universo quando si ha un’intima relazione con Dio. Acquistai una sconfinata fiducia in Geova quale mio Dio. — Salmo 23.

In isolamento

Da Tenerife fui inviato nel temuto carcere militare di San Francisco del Risco, a Las Palmas de Gran Canaria, carcere temuto per via della reputazione del suo comandante: un uomo basso, tarchiato e sadico che si divertiva a picchiare di persona i detenuti. Era soprannominato Pisamondongo (Schiacciabudella).

Mi misero in cella di isolamento e mi fu tolto tutto ciò che avevo, compresa la Bibbia. Mi era concesso di uscire solo per un poco la sera, per svuotare la latrina e per prendere una scodella di minestra. Eppure, in tutti quei mesi trascorsi in cella di isolamento non fui mai veramente solo. (Salmo 145:18) Come il missionario Harold King, che in Cina rimase per anni in cella d’isolamento, coltivavo la mia relazione con Geova. (Vedi La Torre di Guardia, 1964, pagine 21-6).

Una domenica nel mio pranzo c’era anche una fetta di limone. Spremendolo sul riso, alcune gocce caddero sulle piastrelle rosse del pavimento della cella, lasciando una leggera macchia. Mi venne così l’idea di usare il succo di limone per scrivere una frase sul pavimento della cella. Una volta la settimana il pranzo includeva una fetta di limone. Perciò, a poco a poco, riuscii a scrivere sul pavimento della cella la frase: “El nombre de mi Dios es Jehová” (“Il nome del mio Dio è Geova”). Quelle parole mi rammentavano di continuo che non ero completamente solo. Questa semplice verità sotto i miei piedi induceva la mia mente a ricordare verità più profonde sulla relazione tra l’uomo e Dio. In seguito, usando la cera di una candela, lucidai tutto il pavimento della mia cella finché non fu liscio e splendente come uno specchio.

Cosa rischiai per leggere la Bibbia

I fratelli detenuti a El Aaiún, nel Sahara, avevano saputo del mio isolamento e del fatto che non mi era permesso avere una Bibbia o letteratura biblica. Tramite un altro detenuto che doveva essere trasferito, disposero di mandarmi alcune pagine della rivista Torre di Guardia e una copia di uno dei Vangeli. Il problema stava nel farmele avere mentre mi trovavo in cella d’isolamento.

Quella sera, quando andai a svuotare la latrina, un pacchetto mi fu lanciato da oltre il muro del bagno. Lo afferrai come un uomo affamato afferra del pane. Rientrato in cella, passai la notte a leggere e a rileggere quelle pagine. Erano le prime pubblicazioni che parlavano di Geova che avessi visto in un anno! Venne l’alba. Con quanto trasporto avevo divorato quegli articoli e le confortanti parole di Gesù contenute nel Vangelo!

La sera seguente, mentre rientravo in cella tenendo in mano la scodella di minestra, vidi il comandante del carcere, don Gregorio, che mi aspettava. Aveva uno sguardo minaccioso e il suo tozzo collo taurino era gonfio dalla rabbia. Aveva in mano le pagine della mia rivista. Aveva scoperto dove nascondevo la mia preziosa letteratura biblica! Mi chiamò, con pesanti insulti nei confronti del nome di Geova e con minacce di morte. Subito pregai Geova intensamente e in silenzio, chiedendogli di aiutarmi a sopportare ciò che sarebbe accaduto, con la dignità di un vero cristiano.

Il comandante aprì la porta della mia cella. Mi rifugiai nell’angolo della cella cercando di coprirmi le parti vulnerabili dall’assalto furioso che mi aspettavo. Furibondo, con gli occhi iniettati di sangue, si avventò contro di me urlando. Il pavimento era lucidatissimo. Scivolò e cadde bocconi. Nero per la rabbia, cercò di alzarsi. Nel farlo, vide le parole scritte sul pavimento: “El nombre de mi Dios es Jehová”. Era molto superstizioso. Appena vide il nome di Dio, non credendo ai suoi occhi disse a voce bassa: “Geova!” Poi, alzando la voce si mise a gridare più e più volte: “Geova! Geova! . . .” Quindi, praticamente a quattro zampe, scappò via dalla cella! Sfuggii alle percosse e il comandante non mi disturbò mai più.

Questa esperienza rafforzò la mia fiducia nella mano protettiva di Geova. Eccomi completamente solo, eppure non abbandonato. Perseguitato, ma non distrutto. — II Corinti 4:7-10.

Una congregazione nel carcere

In seguito fui trasferito nel carcere di Santa Catalina, a Cadice, dove ben presto ci furono circa cento fratelli. Ci organizzammo come congregazione, una delle più grandi in Spagna a quel tempo! Seguivamo il nostro programma di adunanze e di studio personale, e addirittura ripetevamo il programma delle assemblee di circoscrizione e di distretto proprio all’interno del carcere.

Sarebbe stato semplice drammatizzare la nostra situazione, ma anche la lealtà e la neutralità dei fratelli e delle sorelle all’esterno venivano messe ogni giorno alla prova, e a volte si trattava di prove che in carcere noi non avevamo. Perlomeno non ci sentivamo separati da Geova e dalla sua organizzazione. Per noi i suoi princìpi erano importantissimi, in particolare quando ci sentivamo psicologicamente stanchi e mentre i giorni, che sembravano interminabili, si succedevano come i colpi inesorabili di un martello che frantumava il fiore della nostra gioventù. Ma non lasciavamo che la disperazione avesse il sopravvento su di noi. — Salmo 71.

Nel nostro ambiente ristretto dovevamo mantenere un buono spirito di coesistenza cristiana, il che non era sempre facile. Nelle celle comuni non ci era possibile avere un po’ di intimità, anche se eravamo separati da altri detenuti militari. Purtroppo uno di noi si rese colpevole di un grave peccato di natura morale. Fu necessario agire per mantenere pura la nostra congregazione. Fu disassociato. Tuttavia, doveva continuare a vivere con noi: non potevamo farlo uscire dal carcere, né volevamo chiedere che fosse trasferito insieme ai detenuti comuni, a causa del biasimo che ciò avrebbe gettato su Geova e sul resto di noi. Non sapevamo come risolvere questa situazione imbarazzante. La risposta venne da una fonte inattesa.

Attraverso la porta di un armadio

Verso quell’epoca Grant Suiter, membro del Corpo Direttivo, ci fece una visita molto gradita. Gli venne permesso di incontrare un solo detenuto nel parlatorio. Tutti però volevamo vederlo e ascoltarlo. Come sarebbe stato possibile? Nel laboratorio avevamo scoperto una porta non utilizzata che comunicava col nostro dormitorio. Era nascosta dalla carta da parati. Decidemmo di camuffarla completamente coprendola con un armadio senza il fondo. In tal modo uno poteva entrare nell’armadio, aprire la porta . . . e ritrovarsi in un labirinto di letti a castello a tre piani, stretti uno vicino all’altro!

Allorché il fratello Suiter rimase da solo con me nel parlatorio, lo invitai nel laboratorio col pretesto di mostrargli i nostri lavori. Immaginate la sua sorpresa quando gli fu chiesto di entrare nell’armadio, per trovarsi poi in un dormitorio dove più di un centinaio di fratelli lo aspettava! Fu un rischio ma, per noi che desideravamo moltissimo la compagnia dei fratelli di fuori, ne valse la pena. A stento riuscivamo a credere che un membro del Corpo Direttivo fosse realmente insieme a noi.

Cogliemmo l’opportunità per spiegargli il nostro problema relativo alla disassociazione. La sua risposta fu chiara: L’organizzazione e i princìpi di Geova non possono essere cambiati da norme e regolamenti umani. ‘L’organizzazione non è in prigione!’, disse. Poi suggerì: ‘Perché non parlate al comandante chiedendogli di far trasferire il trasgressore?’

Il comandante, un tipo sarcastico, di solito ci prendeva in giro. Gli spiegai: ‘Non ammettiamo che fra di noi ci siano trasgressori. Dobbiamo mantenere pura la nostra organizzazione’. Quale fu la sua reazione? Come se avesse compreso qualche principio eterno che pensavo fosse al di là della sua portata, cercò di consolarmi! Fui sbalordito! Disse che avrebbe ordinato che il trasgressore fosse trasferito e che non sarebbe stato riammesso tra noi finché non lo avesse richiesto il nostro comitato giudiziario. Egli addirittura lodò la nostra lealtà e il nostro rispetto per princìpi elevati.

Amnistia e libertà

In carcere la nostra prova non consisteva soltanto nei lunghissimi anni di prigionia, ma anche nell’incertezza: non sapevamo quando, e se mai, saremmo tornati liberi. Perché no? Perché ogni volta che la condanna era espiata, venivamo nuovamente processati e condannati a una pena ancora più dura. A un fratello furono dati complessivamente 26 anni di carcere: tutto per aver rifiutato di fare 18 mesi di servizio militare! Cosa ci sosteneva durante questa lunga prova? La preghiera era uno dei pilastri della nostra integrità.

Da verso il 1972 correva voce che il governo spagnolo avrebbe potuto concedere l’amnistia agli obiettori di coscienza che erano da tanto tempo in carcere. Alcuni giorni prima che l’amnistia fosse applicata, 70 dei 100 che stavano per essere liberati fecero domanda per iniziare il servizio di pioniere a tempo pieno! Questo dà un’idea dell’alto senso di responsabilità cristiana che avevamo coltivato nel corso degli anni trascorsi in carcere. Per noi la ritrovata libertà non era un pretesto per goderci la vita e riacquistare tutto ciò che in apparenza avevamo perduto. Volevamo invece mostrare la nostra gratitudine a Geova per averci protetto nel corso degli anni. E non fu una reazione passeggera o emotiva: molti di quei fratelli sono ancora pionieri! Più di dieci sono nell’opera di circoscrizione e di distretto, o prestano servizio alla Betel, come faccio io insieme a mia moglie Conchita.

In carcere ho sprecato forse dieci anni della mia vita? L’integrità non è mai sprecata. Il fatto che nell’insieme centinaia di fratelli spagnoli abbiano mantenuto l’integrità in prigione ha fatto sì che il nome di Geova raggiungesse le più alte sfere del governo, del parlamento e della Chiesa Cattolica. Persino il generale Franco dovette riconoscere questo insolito gruppo di cristiani risoluti. Nel 1970 il suo governo concesse ai testimoni di Geova il riconoscimento legale.

Nelle carceri spagnole abbiamo superato una lunga prova di pazienza e perseveranza. Ma ci ha dato la straordinaria opportunità di studiare profondamente la Bibbia e di coltivare un’intima relazione con Geova. Non abbiamo sprecato quegli anni preziosi. Per questo tanti di noi sono usciti di prigione spiritualmente più forti di quando vi erano entrati. Certo, per molti anni ‘siamo stati perseguitati, ma non abbandonati; siamo stati abbattuti, ma non distrutti’. — II Corinti 4:9.

[Testo in evidenza a pagina 27]

Pur in isolamento, una cosa mi rammentava di continuo che non ero solo

[Immagine a pagina 29]

Il defunto Grant Suiter (al centro), membro del Corpo Direttivo dei testimoni di Geova, fece visita al carcere militare di Cadice (a sinistra, il traduttore, Bernard Backhouse; a destra, Fernando Marín)

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