Riferimenti per Guida per l’adunanza Vita e ministero
1º-7 OTTOBRE
TESORI DELLA PAROLA DI DIO | GIOVANNI 9-10
“Gesù ha cura delle sue pecore”
(Giovanni 10:1-3) “In verità, sì, in verità vi dico: chi non entra nell’ovile dalla porta ma passando da qualche altra parte è un ladro e un delinquente. 2 Chi invece entra dalla porta è il pastore delle pecore. 3 È a lui che apre il guardiano, e le pecore ascoltano la sua voce. Lui chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori.
(Giovanni 10:11) Io sono il pastore eccellente. Il pastore eccellente cede la vita per le pecore.
(Giovanni 10:14) Io sono il pastore eccellente. Conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me,
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Ovile
L’ovile era un recinto in cui i pastori radunavano il gregge per proteggerlo da ladri e animali predatori. Il gregge vi restava al sicuro durante la notte. Nei tempi biblici gli ovili erano recinti senza tetto, di forme e grandezze diverse, spesso costituiti da muretti di pietra con un unico ingresso (Nu 32:16; 1Sa 24:3; Sof 2:6). Giovanni menziona la “porta” da cui si entrava nell’ovile e il “guardiano” che la sorvegliava (Gv 10:1, 3). Alcuni ovili erano condivisi da più pastori, che vi tenevano insieme le greggi durante la notte, mentre un guardiano rimaneva lì a proteggerle. Quando al mattino il guardiano apriva la porta, ogni pastore chiamava le proprie pecore; queste riconoscevano la voce del loro pastore e lo seguivano (Gv 10:3-5). Gesù fece riferimento a queste scene di vita quotidiana per esemplificare il tipo di cura che lui aveva per i suoi discepoli (Gv 10:7-14).
(Giovanni 10:16) “E ho altre pecore, che non sono di questo ovile; anche quelle devo guidare, e loro ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge con un solo pastore.
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guidare Il verbo greco originale (àgo) usato qui può significare “guidare”, “condurre” o “raccogliere” a seconda del contesto. Un manoscritto in greco datato intorno al 200 E.V. usa un termine con la stessa radice (synàgo) che viene spesso tradotto “radunare”. Quale Pastore eccellente, Gesù raduna, guida, protegge e nutre sia le pecore che appartengono a questo ovile (chiamate anche “piccolo gregge” in Lu 12:32) sia le sue altre pecore. Insieme diventano un solo gregge con un solo pastore. Questa immagine sottolinea l’unità di cui i suoi discepoli avrebbero goduto.
Scaviamo per trovare gemme spirituali
(Giovanni 9:38) L’uomo esclamò: “Ripongo fede in lui, Signore!” E gli rese omaggio.
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gli rese omaggio O “gli si inchinò”, “si prostrò a lui”, “lo ossequiò”. Quando il verbo greco proskynèo è usato nel senso di venerare un dio o una divinità viene tradotto “adorare” (Mt 4:10; Lu 4:8). Ma in questo contesto l’uomo cieco dalla nascita che era stato guarito riconobbe che Gesù era un rappresentante di Dio e per questo gli rese omaggio. Vedeva in lui non Dio, o una divinità, ma il predetto “Figlio dell’uomo”, il Messia investito di autorità divina (Gv 9:35). Quando si inchinò a Gesù, lo fece evidentemente alla maniera delle persone menzionate nelle Scritture Ebraiche, le quali si inginocchiavano o prostravano davanti a profeti, re o altri rappresentanti di Dio (1Sa 25:23, 24; 2Sa 14:4-7; 1Re 1:16; 2Re 4:36, 37). In molte occasioni coloro che resero omaggio a Gesù vollero esprimere gratitudine per una rivelazione divina o riconoscere il favore divino di cui lui godeva (Mt 2:2; 8:2; 14:33; 15:25).
(Giovanni 10:22) In quel periodo si teneva a Gerusalemme la Festa della Dedicazione. Era inverno,
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Festa della Dedicazione Il nome ebraico di questa festività è Hanukkah (chanukkàh), che significa “inaugurazione”, “dedicazione”. Durava 8 giorni, a partire dal 25º giorno del mese di chislev, in prossimità del solstizio d’inverno. (Vedi l’approfondimento inverno in questo versetto e App. B15.) Celebrava la ridedicazione del tempio di Gerusalemme avvenuta nel 165 a.E.V. Antioco IV Epifane, re di Siria, aveva dato prova di grande disprezzo per Geova, il Dio degli ebrei, profanando il Suo tempio. Ad esempio, aveva fatto costruire un altare sopra il grande altare, dove in precedenza si immolava l’olocausto giornaliero. Il 25 chislev del 168 a.E.V., come estremo gesto di oltraggio verso il tempio di Geova, Antioco immolò carne suina sull’altare e ne fece un brodo che fu spruzzato per tutto il tempio. Bruciò le porte del tempio, abbatté le stanze dei sacerdoti e asportò l’altare d’oro, la tavola del pane di presentazione e il candelabro d’oro. Dopodiché dedicò il tempio di Geova al pagano Zeus Olimpio. Due anni dopo, Giuda Maccabeo riconquistò la città e il tempio. Il tempio venne quindi purificato, e il 25 chislev del 165 a.E.V. ebbe luogo la ridedicazione, esattamente tre anni dopo il ripugnante sacrificio che Antioco aveva fatto sull’altare in onore di Zeus. Inoltre furono ripristinati gli olocausti giornalieri che venivano offerti a Geova. Le Scritture ispirate non dicono espressamente che sia stato Geova a dare la vittoria a Giuda Maccabeo o che sia stato lui a comandargli di restaurare il tempio. Comunque, se Geova ha usato uomini di altre nazioni, come Ciro di Persia, per raggiungere certi obiettivi relativi alla Sua adorazione (Isa 45:1), è ragionevole concludere che abbia potuto usare un uomo appartenente al Suo popolo dedicato per realizzare la Sua volontà. In più le Scritture mostrano che il tempio doveva essere in piedi e operativo affinché si adempissero le profezie relative al Messia, al suo ministero e al suo sacrificio. Ed era necessario che i sacrifici levitici venissero offerti fino a quando il Messia non avrebbe offerto il sacrificio più grande, la sua vita a favore dell’umanità (Da 9:27; Gv 2:17; Eb 9:11-14). Ai discepoli di Gesù non era stato comandato di celebrare la Festa della Dedicazione (Col 2:16, 17), ma non è scritto da nessuna parte che Gesù o i suoi discepoli abbiano condannato la celebrazione di questa festività.
8-14 OTTOBRE
TESORI DELLA PAROLA DI DIO | GIOVANNI 11-12
“Imitiamo la compassione di Gesù”
(Giovanni 11:23-26) Gesù le disse: “Tuo fratello risorgerà”. 24 Marta gli rispose: “So che risorgerà nella risurrezione, nell’ultimo giorno”. 25 Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi esercita fede in me, anche se muore, tornerà a vivere; 26 e chiunque vive ed esercita fede in me non morirà mai. Tu ci credi?”
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So che risorgerà Marta pensava che Gesù stesse parlando della risurrezione futura, nell’ultimo giorno. (Vedi approfondimento a Gv 6:39.) La fede che lei riponeva in quella dottrina era eccezionale. Alcuni capi religiosi dell’epoca, detti sadducei, negavano che ci sarebbe stata una risurrezione, malgrado questo fosse un chiaro insegnamento delle Scritture ispirate (Da 12:13; Mr 12:18). Quanto ai farisei, credevano nell’immortalità dell’anima. Marta, tuttavia, sapeva che Gesù insegnava la speranza nella risurrezione e che aveva perfino compiuto risurrezioni, anche se nessuno di quelli che aveva risuscitato era morto da così tanto tempo come Lazzaro.
Io sono la risurrezione e la vita La morte e la risurrezione di Gesù offrirono la possibilità a chi è morto di tornare in vita. Dopo che Gesù fu risuscitato, Geova gli diede il potere non solo di risuscitare i morti ma anche di concedere la vita eterna. (Vedi approfondimento a Gv 5:26.) In Ri 1:18 Gesù definisce sé stesso “il vivente”, colui che ha “le chiavi della morte e della Tomba”. Perciò Gesù è la speranza sia dei vivi che dei morti. E ha promesso di aprire le tombe per dare vita ai morti, o nei cieli ai suoi coregnanti o sulla nuova terra ai sudditi del suo governo celeste (Gv 5:28, 29; 2Pt 3:13).
(Giovanni 11:33-35) Gesù, vedendola piangere, e vedendo piangere i giudei venuti con lei, si commosse profondamente e si turbò. 34 “Dove l’avete deposto?”, chiese. Gli risposero: “Signore, vieni a vedere”. 35 Gesù cedette alle lacrime,
nwtsty approfondimenti a Gv 11:33-35
piangere Il verbo greco reso “piangere” spesso indica un pianto udibile. Questo stesso verbo viene usato in riferimento a Gesù nell’occasione in cui predisse la distruzione di Gerusalemme (Lu 19:41).
si commosse [...] e si turbò L’accostamento di questi due verbi nel testo originale dà un’idea dell’intensità delle emozioni provate da Gesù in questo frangente. Il verbo reso “si commosse” (embrimàomai) in generale descrive sentimenti molto intensi, ma qui nello specifico indica che Gesù fu così scosso che arrivò a esternare i suoi sentimenti gemendo. Il termine greco reso “si turbò” (taràsso) indica propriamente uno stato di agitazione. Uno studioso spiega che in questo contesto indica “un tumulto interiore, [...] grande dolore o sconforto”. In Gv 13:21 viene usato lo stesso verbo per descrivere la reazione di Gesù al pensiero che sarebbe stato tradito da Giuda. (Vedi approfondimento a Gv 11:35.)
profondamente Lett. “nello spirito”. Qui con la parola greca pnèuma si intende a quanto pare una forza che scaturisce dal cuore simbolico e spinge a dire e a fare le cose in un certo modo. (Vedi Glossario, “spirito”.)
cedette alle lacrime Il verbo greco usato qui (dakrỳo) ha la stessa radice della parola greca per “lacrima” che compare in passi come Lu 7:38; At 20:19, 31; Eb 5:7; Ri 7:17; 21:4. Questo verbo sembra concentrarsi più sull’idea di versare lacrime in un pianto silenzioso che su quella di piangere in modo udibile. Nelle Scritture Greche Cristiane viene usato solo qui, ed è diverso da quello usato in Gv 11:33 (vedi approfondimento) per descrivere il pianto di Maria e dei giudei. Gesù sapeva che stava per risuscitare Lazzaro, ma ciò che lo rattristava così profondamente era vedere i suoi cari amici sopraffatti dal dolore. Mosso dall’amore e dalla compassione che provava per loro, Gesù versò lacrime davanti a tutti. Questo racconto ci fa capire che Gesù prova empatia per chi ha perso i propri cari a causa della morte ereditata da Adamo.
Scaviamo per trovare gemme spirituali
(Giovanni 11:49) Ma uno di loro, Caiafa, che quell’anno era sommo sacerdote, disse: “Voi non capite niente!
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sommo sacerdote Fintanto che Israele fu una nazione indipendente, quella del sommo sacerdote era una carica a vita (Nu 35:25). Ma sotto l’occupazione romana erano i governanti scelti da Roma a nominare o destituire il sommo sacerdote. (Vedi Glossario, “sommo sacerdote”.) Caiafa, che era stato nominato dai romani, conservò l’incarico più a lungo di tutti gli immediati predecessori grazie alla sua abile diplomazia. Fu nominato intorno al 18 E.V. e rimase in carica fino al 36 circa. Specificando che Caiafa era sommo sacerdote quell’anno, cioè il 33, Giovanni a quanto pare intendeva dire che il periodo della sua carica incluse l’anno memorabile in cui Gesù fu messo a morte. (Per la possibile ubicazione della casa di Caiafa, vedi App. B12.)
(Giovanni 12:42) Molti però, pure tra i capi, riposero fede in lui, ma a causa dei farisei non lo dicevano apertamente per non essere espulsi dalla sinagoga,
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i capi Qui la parola greca tradotta “capi” sembra riferirsi ai membri del Sinedrio, la corte suprema giudaica. Il termine è usato anche in Gv 3:1 in riferimento a Nicodemo, membro di tale corte. (Vedi approfondimento a Gv 3:1.)
espulsi dalla sinagoga O “scomunicati”, “esclusi dalla sinagoga”. L’aggettivo greco aposynàgogos viene usato solo in Gv 9:22; 12:42; 16:2. Chi veniva espulso era disprezzato e tagliato fuori dalla comunità. Questa emarginazione poteva comportare gravi conseguenze economiche per una famiglia ebraica. Le sinagoghe, usate primariamente come luogo di istruzione, erano utilizzate in certi casi come sedi di tribunali locali che avevano l’autorità di infliggere pene come la flagellazione e la scomunica (Mt 10:17).
15-21 OTTOBRE
TESORI DELLA PAROLA DI DIO | GIOVANNI 13-14
“Vi ho dato l’esempio”
(Giovanni 13:5) Poi mise dell’acqua in un catino e cominciò a lavare i piedi ai discepoli e ad asciugarli con il telo che si era messo attorno alla vita.
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lavare i piedi ai discepoli Nell’antico Israele i sandali erano le calzature più comuni. Consistevano semplicemente in una suola legata al piede e alla caviglia con dei lacci. Dato che le strade e i campi erano polverosi e fangosi, era inevitabile che i piedi di chi li indossava si sporcassero. Esisteva perciò la consuetudine di togliersi i sandali quando si entrava in casa di qualcuno, e l’ospitalità richiedeva che il padrone di casa si assicurasse che i piedi dell’ospite venissero lavati. La Bibbia fa più volte riferimento a tale abitudine (Ge 18:4, 5; 24:32; 1Sa 25:41; Lu 7:37, 38, 44). Lavando i piedi ai suoi discepoli secondo questa usanza, Gesù diede una dimostrazione pratica di cosa sia l’umiltà e di cosa significhi servire gli altri.
(Giovanni 13:12-14) Dopo aver lavato loro i piedi e aver indossato nuovamente il manto, Gesù si rimise a tavola e chiese loro: “Capite quello che vi ho fatto? 13 Voi mi chiamate ‘Maestro’ e ‘Signore’, e a ragione, perché lo sono. 14 Perciò, se io che sono il Signore e il Maestro vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri.
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dovete O “siete tenuti”. Il verbo greco originale viene spesso usato in un’accezione economica, con il significato fondamentale di essere debitore a qualcuno, avere debiti con qualcuno (Mt 18:28, 30, 34; Lu 16:5, 7). Qui e in altri contesti viene usato in senso più ampio per dare l’idea di avere l’obbligo di fare qualcosa (1Gv 3:16; 4:11; 3Gv 8).
Scaviamo per trovare gemme spirituali
(Giovanni 14:6) Gesù rispose: “Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno arriva al Padre se non tramite me.
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Io sono la via e la verità e la vita Gesù è la via perché è l’unico attraverso il quale è possibile avvicinarsi a Dio in preghiera. È anche “la via” tramite la quale gli esseri umani possono riconciliarsi con Dio (Gv 16:23; Ro 5:8). Gesù è la verità perché parlò e visse in armonia con la verità. Inoltre adempì decine di profezie che permettono di comprendere il suo ruolo fondamentale nell’adempimento del proposito di Dio (Gv 1:14; Ri 19:10). Queste profezie “sono state ‘sì’ [si sono adempiute] mediante lui” (2Co 1:20). Gesù è la vita perché, tramite il riscatto, ha reso accessibile agli esseri umani “la vera vita”, cioè “la vita eterna” (1Tm 6:12, 19; Ef 1:7; 1Gv 1:7). E in futuro dimostrerà di essere “la vita” per i milioni di morti che verranno risuscitati e avranno la prospettiva di vivere per sempre nel Paradiso (Gv 5:28, 29).
(Giovanni 14:12) In verità, sì, in verità vi dico: chi esercita fede in me farà anche lui le opere che faccio io; anzi, farà opere più grandi di queste, perché io vado dal Padre.
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opere più grandi di queste Gesù non stava parlando di opere miracolose, e non stava dicendo che i miracoli compiuti dai suoi discepoli sarebbero stati più grandi dei suoi. Stava piuttosto riconoscendo umilmente che la portata della loro opera di predicazione e insegnamento sarebbe stata maggiore. I suoi discepoli avrebbero coperto un territorio più vasto, raggiunto più persone e predicato per un periodo di tempo più lungo. Dalle parole di Gesù si evince chiaramente che lui si aspettava che i suoi discepoli avrebbero portato avanti la sua opera.
22-28 OTTOBRE
TESORI DELLA PAROLA DI DIO | GIOVANNI 15-17
“Voi non fate parte del mondo”
(Giovanni 15:19) Se faceste parte del mondo, il mondo amerebbe ciò che gli appartiene. Voi però non fate parte del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, ed è per questo che il mondo vi odia.
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mondo In questo contesto la parola greca kòsmos si riferisce all’umanità intesa come ingiusta società che si è allontanata da Dio, tutti gli esseri umani tranne i suoi servitori. Giovanni è l’unico evangelista a citare le parole di Gesù secondo cui i suoi discepoli non fanno parte del mondo, ovvero non gli appartengono. Questo stesso concetto compare altre due volte nell’ultima preghiera che Gesù pronunciò insieme ai suoi apostoli fedeli (Gv 17:14, 16).
(Giovanni 15:21) Ma faranno tutte queste cose contro di voi a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.
nwtsty approfondimento a Gv 15:21
a causa del mio nome Nella Bibbia il termine “nome” a volte viene usato per indicare chi lo porta, la sua reputazione e tutto ciò che egli rappresenta (Mt 6:9). Nel caso di Gesù, il suo nome rappresenta anche l’autorità e la posizione che suo Padre gli ha conferito (Mt 28:18; Flp 2:9, 10; Eb 1:3, 4). Gesù qui spiega il motivo per cui le persone del mondo avrebbero agito contro i suoi discepoli: non conoscono colui che mi ha mandato. Conoscere Dio le avrebbe aiutate a comprendere e riconoscere ciò che il nome di Gesù rappresenta (At 4:12). E questo “nome” avrebbe incluso la sua posizione quale Re scelto da Dio, il Re dei re, colui al quale tutti devono inchinarsi in segno di sottomissione per avere la vita (Gv 17:3; Ri 19:11-16; confronta Sl 2:7-12).
Scaviamo per trovare gemme spirituali
(Giovanni 17:21-23) affinché siano tutti uno, come tu, Padre, sei unito a me e io sono unito a te: anche loro siano uniti a noi, così che il mondo creda che tu mi hai mandato. 22 Ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, in modo che siano uno come noi siamo uno: 23 io unito a loro e tu unito a me, così che possano raggiungere perfetta unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
nwtsty approfondimenti a Gv 17:21-23
uno O “in unità”, “uniti”. Gesù pregò che i suoi veri discepoli fossero “uno”, che lavorassero insieme accomunati dallo stesso obiettivo, proprio come lui e il Padre sono “uno”, dando prova di cooperazione e unità di intenti (Gv 17:22). In 1Co 3:6-9 Paolo descrive proprio questo tipo di unità, l’unità esistente fra ministri cristiani che collaborano tra loro e con Dio. (Vedi 1Co 3:8 e approfondimenti a Gv 10:30; 17:11.)
raggiungere perfetta unità O “essere completamente uniti”. In questo versetto Gesù collega la perfetta unità con l’essere amati dal Padre, il che è coerente con quanto si legge dell’amore in Col 3:14: “È un legame che unisce perfettamente”. Questa perfetta unità è relativa. Non significa che vengano annullate tutte le differenze di personalità, come capacità personali, abitudini e coscienza. Significa piuttosto che i discepoli di Gesù sono contraddistinti da unità di azione, di credo e di insegnamento (Ro 15:5, 6; 1Co 1:10; Ef 4:3; Flp 1:27).
(Giovanni 17:24) Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano con me, dove sono io, perché contemplino la mia gloria, che tu mi hai dato: tu infatti mi hai amato prima della fondazione del mondo.
nwtsty approfondimento a Gv 17:24
fondazione del mondo Il termine greco originale, qui reso “fondazione”, in Eb 11:11 viene tradotto “concepire” ed è legato a “discendente”. Qui in Gv 17:24, dove compare nell’espressione “fondazione del mondo”, sembra riferirsi a quando ad Adamo ed Eva nacquero dei figli. Gesù collega la “fondazione del mondo” ad Abele, a quanto pare il primo essere umano considerato degno di redenzione e il primo il cui nome fu scritto “a partire dalla fondazione del mondo [...] nel rotolo della vita” (Lu 11:50, 51; Ri 17:8). Queste parole che Gesù pronunciò pregando suo Padre confermano inoltre che Dio ha amato il suo Figlio unigenito da un tempo molto lontano, ovvero da prima che Adamo ed Eva concepissero dei figli.
29 OTTOBRE – 4 NOVEMBRE
TESORI DELLA PAROLA DI DIO | GIOVANNI 18-19
“Gesù rese testimonianza riguardo alla verità”
(Giovanni 18:37) Perciò Pilato gli chiese: “Insomma, sei re?” Gesù rispose: “Tu stesso dici che io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza riguardo alla verità. Chiunque è dalla parte della verità ascolta la mia voce”.
nwtsty approfondimenti a Gv 18:37
rendere testimonianza Per come vengono usati nelle Scritture Greche Cristiane, i termini greci solitamente tradotti “rendere testimonianza” (martyrèo), “testimonianza” (martyrìa) e “testimone” (màrtys) hanno un significato ampio. Di base sono usati con il senso di testimoniare fatti a cui si è assistito o di cui si ha conoscenza diretta, ma potrebbero includere anche l’idea di dichiarare, comprovare, parlare bene di qualcuno o qualcosa. Oltre a testimoniare e a proclamare verità di cui era convinto, Gesù visse in modo tale da sostenere la verità delle profezie e delle promesse di suo Padre (2Co 1:20). Il proposito di Dio relativo al Regno e al Re messianico era stato predetto nei dettagli. L’intera vita umana di Gesù, che culminò nella sua morte in sacrificio, adempì tutte le profezie che lo riguardavano, fra cui le ombre, o modelli, contenute nel patto della Legge (Col 2:16, 17; Eb 10:1). Perciò si può ben dire che Gesù, con quello che disse e fece, rese “testimonianza riguardo alla verità”.
verità Qui Gesù si riferiva non alla verità in generale ma alla verità relativa ai propositi di Dio. Un punto fondamentale del proposito divino è che Gesù, il “figlio di Davide”, serve in qualità di Sommo Sacerdote e Re del Regno di Dio (Mt 1:1). Gesù spiegò che la ragione principale per cui venne “nel mondo” (cioè fra gli esseri umani), visse sulla terra e svolse il suo ministero era dichiarare la verità riguardo a quel Regno. Gli angeli annunciarono un messaggio simile subito prima e subito dopo la nascita di Gesù a Betlemme di Giudea, città natale di Davide (Lu 1:32, 33; 2:10-14).
(Giovanni 18:38a) Pilato replicò: “Che cos’è la verità?”
nwtsty approfondimento a Gv 18:38a
Che cos’è la verità? Sembra che la domanda di Pilato vertesse sulla verità in generale, e non sulla “verità” di cui aveva appena parlato Gesù (Gv 18:37). Se fosse stata una domanda sincera, Gesù gli avrebbe senz’altro risposto. Quella di Pilato però era una domanda retorica fatta con cinico scetticismo; era come se Pilato volesse dire: “La verità?! E che cos’è? La verità non esiste!” E in effetti non aspettò neanche la risposta, ma si voltò e tornò fuori dai giudei.
Scaviamo per trovare gemme spirituali
(Giovanni 19:30) Dopo aver preso il vino aspro, Gesù disse: “È compiuto!” E, chinata la testa, spirò.
nwtsty approfondimento a Gv 19:30
spirò O “rese lo spirito”, “smise di respirare”. Il termine tradotto “spirito” (pnèuma) qui può essere inteso nel senso di “respiro” o “forza vitale”. Questo è confermato dal fatto che nei racconti paralleli di Mr 15:37 e Lu 23:46 viene usato il verbo greco ekpnèo (che letteralmente significa “espirare”, ma che potrebbe essere reso anche “esalare l’ultimo respiro”). Secondo alcuni, l’espressione originale resa “spirò”, che alla lettera significa “consegnò lo spirito”, indica che Gesù smise volontariamente di lottare per restare in vita, dato che tutto era compiuto. Volontariamente “[versò] la sua vita alla morte” (Isa 53:12; Gv 10:11).
(Giovanni 19:31) Dato che era il giorno della Preparazione, i giudei volevano evitare che i corpi rimanessero sui pali di tortura il Sabato (e quel Sabato era un grande Sabato), perciò chiesero a Pilato di far rompere le gambe ai condannati e far rimuovere i corpi.
nwtsty approfondimento a Gv 19:31
quel Sabato era un grande Sabato Il 15 nisan, il giorno dopo la Pasqua, era sempre un Sabato, indipendentemente dal giorno della settimana in cui cadeva (Le 23:5-7). Quando però questo Sabato speciale coincideva con un vero Sabato (il settimo giorno della settimana ebraica, che andava dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato), allora era considerato “un grande Sabato”. Gesù era morto di venerdì, perciò il giorno successivo era “un grande Sabato”. Tra il 29 e il 35 E.V. ci fu un solo anno in cui il 14 nisan cadde di venerdì: il 33. Pertanto questo conferma che Gesù morì il 14 nisan del 33.