Che cosa significa fare il pompiere in una grande città
Narrato a uno scrittore della redazione di “Svegliatevi!”
ALCUNI mi hanno detto: “Dev’essere emozionante fare il pompiere”. Ritengono che salire sulle scale a pioli, salvare le persone e combattere le fiamme sia un lavoro affascinante. Per cui rimangono sorpresi quando do loro un’impressione del tutto diversa.
Nei diciotto anni che ho fatto il pompiere nella città di New York son corso a spegnere migliaia d’incendi. Son balzato giù dall’autopompa, precipitandomi in centinaia di edifici in fiamme. Comunque, dentro, in una camera o in un corridoio pieno di fumo — dove gli altri non vedono — non c’è né fascino né eccitazione. Lì il pompiere lotta per la sua vita e forse per la vita di altri.
Lavoro duro e pericoloso
Il fumo è spesso così denso che non si vede niente, e una forte luce a pochi metri può essere appena visibile. Si deve fare tutto a tastoni. È un senso d’impotenza, brancolare alla cieca in un edificio sconosciuto.
In fretta il pompiere raggiunge una parete e striscia vicino ad essa. Tasta per trovare corpi e cerca una finestra da poter rompere per far uscire il fumo velenoso. Tossendo e respirando a fatica, lotta per trovare l’aria. A volte deve tenere la faccia a pochi centimetri da terra per respirare. A ciascun penoso respiro assorbe altro fumo irritante saturo di micidiale ossido di carbonio e altri gas tossici. Gli bruciano gli occhi. La temperatura corporea sale mentre il soffocante calore gli fa venir meno le forze.
Talvolta i pompieri sono sopraffatti dal fumo e dal calore. Allora devono essere trascinati o trasportati al sicuro. Ma alcuni non sono così fortunati: circa otto pompieri muoiono ogni anno nella città di New York nell’adempimento del loro dovere. Gli altri vanno incontro alla prospettiva di una vita abbreviata a causa dei prodotti tossici della combustione che aspirano settimana dopo settimana. Giacché anche la normale aria inquinata delle città è un rischio per la salute, potete immaginare il danno subìto dai pompieri che ripetutamente entrano in edifici così pieni di fumo da oscurare perfino la vista!
Ma oltre ai rischi personali, c’è il senso di depressione e impotenza che si prova quando è troppo tardi per essere d’aiuto. Ho visto vittime così gravemente ustionate che mi cadevano praticamente a pezzi nelle braccia. Non c’è fascino nella morte, né a vedere madri singhiozzanti che si aggrappano istericamente ai resti dei loro figli. Né è eccitante vedere la tristezza sui visi di quelli che hanno perso tutto quanto possedevano. Ho visto ripetutamente queste cose, e c’è da disperarsi.
Quello che può fare il fuoco
Credo che i pompieri considerino il fuoco e i suoi pericoli in maniera del tutto diversa dagli altri cittadini. Non sappiamo quello che può fare il fuoco, quanto può essere imprevedibile. Ho visto il fuoco covare per ore sotto le ceneri e le fiamme e sprigionarsi all’improvviso avvolgendo una stanza. Ho visto incendi che pochi minuti dopo essere scoppiati si erano propagati in un edificio di parecchi piani. Ho visto come le esalazioni di un materasso che bruciava senza fiamma possono uccidere. Anche persone che si trovavano molti piani più in alto del luogo dov’era scoppiato l’effettivo incendio sono morte per avere aspirato il fumo!
Vorrei darvi un’idea di quello che può fare il fuoco — non con l’intento di spaventarvi o impressionarvi — ma perché prendiate misure per proteggere voi e i vostri cari. Pensate: Gli incendi fanno 12.000 vittime all’anno solo negli Stati Uniti! Pensate anche alle decine di migliaia di quelli che sopravvivono ma che sono penosamente ustionati, alcuni mutilati per tutta la vita.
Le statistiche sono fredde e senza vita. Ma quando si è personalmente coinvolti, l’impressione è indelebile. Ho molti ricordi che forniscono un quadro di ciò che può fare il fuoco molto più significativo che non qualsiasi statistica.
Può spezzarvi il cuore
Alcuni anni fa risposi a una chiamata e arrivai in un appartamento di Brooklyn dove tutto sembrava sotto controllo. L’incendio era stato spento. Il segno quasi unico che aveva lasciato era una tenda parzialmente bruciata. La bambina di circa sette anni, però, aveva riportato delle lesioni. Ella aveva appiccato il fuoco alla tenda, e cercando evidentemente di spegnerlo aveva tirato giù la tenda, incendiandosi il vestito. I genitori avevano spento le fiamme.
Pareva non si accorgessero che la bambina si era gravemente bruciata. Ma quando la guardai attentamente, il mio cuore mancò. Tutta la parte interna delle gambe era gravemente ustionata, come pure parte della schiena. Era in stato di shock, quindi non sentiva nessun effetto sfavorevole. Infatti, appariva normale. Era seduta, e dietro sua richiesta era stata accesa la TV per farle vedere il suo programma preferito. Mi sentii così impotente mentre aspettavo l’arrivo dell’ambulanza, così goffo e inutile. La mattina dopo telefonai all’ospedale. La bambina era morta durante la notte.
Non ci vuole molto fuoco, un attimo di disattenzione e in pochi secondi si può essere mortalmente feriti. Accade regolarmente! La persona media non si rende proprio conto di quanto sia pericoloso il fuoco, di quanto si propaghi in fretta.
In un’altra occasione eravamo seduti per fare colazione nella caserma dei pompieri quando ricevemmo l’allarme. Una casa di due piani a Brooklyn era in fiamme. Quando arrivammo, il fuoco si era esteso alla cucina e a tutto il primo piano. Poiché eravamo in pieno giorno, supponemmo che tutti ne fossero usciti. Ma dopo avere domato il fuoco, scoprimmo il corpo di un ragazzo nella cucina. E alcuni attimi dopo, dietro la cucina, nella camera da letto piena di fumo, inciampai quasi in un altro bambino, morto. Com’erano stati sopraffatti in fretta!
La madre aveva punito il bambino e l’aveva mandato nella sua camera da letto. In qualche modo l’incendio era cominciato lì, ma ella non se n’era accorta finché non aveva visto le fiamme e il figlio era corso fuori. La sua prima reazione fu salire di sopra per aiutare a scendere un invalido che abitava con loro. Quando l’ebbe fatto uscire, il primo piano era in fiamme. Ella suppose che i suoi bambini, di circa otto e cinque anni, fossero pure usciti. Li cercava. Ma evidentemente essi avevano esitato troppo a lungo o erano stati presi dal panico.
Raccolsi il ragazzo che era in cucina e lo portai all’ospedale che era dall’altra parte della strada. Era così gravemente ustionato che non stava quasi insieme. La madre fu presa da una crisi isterica. Il medico guardò i resti carbonizzati e subito scosse il capo sgomento.
Verso quell’ora i bambini venivano a casa da scuola per il pranzo. Alcuni dicevano eccitati: “Guarda, c’è stato un incendio laggiù!” E mentre si avvicinavano: “È nel mio isolato!” Quindi potei udirne uno che con tono del tutto diverso e ansioso diceva: “Oh, è casa mia”. Questo mi colpì realmente. Poiché un ragazzo stava per apprendere che i suoi fratelli minori avevano fatto un’orribile morte. Non dimenticherò mai la disperazione che provai.
Quello che mi fa male quando vedo queste tragedie è che non dovevano accadere. Si potevano evitare. Talvolta si tratta semplicemente di un atto stolto, di una trascuratezza. Mi viene in mente un esempio che è effettivamente piuttosto comune.
Una madre che abitava in un edificio di un complesso residenziale della città andò al negozio e chiuse a chiave nell’appartamento i suoi due figli di età prescolastica. Senza dubbio lo aveva fatto molte altre volte. Ma questa volta scoppiò un incendio; probabilmente uno dei piccoli giocava con i fiammiferi. Quando arrivammo, usciva solo un po’ di fumo. Corremmo su per le scale fino all’appartamento, ma la porta incombustibile chiusa a chiave ci fece perdere tempo.
Dentro, c’era denso fumo. Non ci si vedeva nulla. Dovemmo dunque abbassarci e strisciare, avanzando a tastoni. La maggior parte delle volte il pompiere trova qualcuno inciampandovi, o a tasto. Trovammo i due ragazzi, e li portammo fuori in fretta.
Uno era morto, ucciso dal fumo. L’altro pareva desse qualche segno di vita. Così cominciai immediatamente la respirazione a bocca a bocca. Quindi portarono dall’autopompa il dispositivo per la respirazione artificiale. Lavorammo finché arrivò l’ambulanza, ma anche questo bambino morì.
Verso quell’ora tornò la madre. Potete immaginare come si sentì, specialmente sapendo che ne era in parte responsabile, avendo lasciato soli i suoi figli. Quando un pompiere vede queste cose, può solo augurarsi che le persone usino miglior giudizio. Non c’è semplicemente nessuna ragione perché gli incendi tolgano ogni anno la vita a 12.000 Americani.
Come essere previdenti
Ho fatto molti discorsi a studenti ad altri gruppi su come proteggersi dal fuoco. Cercavo di mettermi sul loro stesso piano, dicendo esplicitamente: “La ragione per cui sono qui è di cercar di salvarvi, di aiutarvi a sapere che cosa fare in caso di incendio. Un po’ di previdenza, l’avere un piano da seguire, può significare la differenza tra vivere e morire”.
Ogni volta che vado in un edificio, automaticamente penso: “Come uscirei di qui in caso d’incendio?” Questo si dovrebbe pensare specialmente riguardo alla propria casa. Conoscete ogni via d’uscita da casa vostra? Che dire delle uscite di altri edifici in cui vi recate? In caso di emergenza quasi invariabilmente la gente cerca di uscire per la via per cui è entrata, con il risultato che si forma un ingorgo. Nel disastro avvenuto molti anni fa nel Teatro Iroquois di Chicago, di dieci uscite che c’erano, ne vennero usate solo tre: 575 persone perirono!
La previdenza è essenziale, poiché di solito gli incendi scoppiano di notte quando le persone, svegliate all’improvviso, possono essere alquanto disorientate. Se sono indecise, non sapendo esattamente che cosa fare, possono lasciarsi prendere dal panico. Possono rimanere immobili, infilarsi sotto un letto, correre in un armadio a muro o fare qualche altra cosa stolta. Questo accade spesso, e costa molte vite. È interessante, comunque, che negli allarmi d’incendio nelle città durante la seconda guerra mondiale non c’era quasi nessun segno di panico, poiché tutti sapevano quello che dovevano fare.
Per incoraggiarli a fare piani, chiedevo ai gruppi: “Che cosa fareste questa notte se scoppiasse un incendio? Come uscireste? Dove andreste? Supponete che la porta della vostra camera da letto sia chiusa e che toccando la maniglia della porta vi accorgiate che è calda. Uscireste da quella porta?”
Sarebbe la peggior cosa da farsi. Aprendo la porta fareste entrare ossigeno alimentando il fuoco e probabilmente lo fareste propagare alla stanza prima di poterne fuggire. Quindi non aprite mai una porta calda.
In genere è pure pericoloso andare verso le scale. Questo perché il calore e le fiamme salgono, e ascenderanno rapidamente su per le scale. Se un padre e suo figlio che alcuni anni fa tirai fuori da un incendio si fossero resi conto di questo fatto si sarebbero salvati.
L’incendio era scoppiato nella casa a tre piani dove abitavano molte famiglie. Aveva avuto inizio al primo piano. Quando il fumo cominciò a riempire il loro appartamento, la madre prese un bambino e si mise in salvo scavalcando la finestra della camera da letto. Ma il padre afferrò suo figlio e corse fuori della porta. Poiché le fiamme tagliavano fuori l’ingresso principale, corse su verso il tetto. Quando alcuni attimi dopo entrai dal tetto, trovai l’uomo e suo figlio presso la cima delle scale, entrambi morti. Il caldo e le esalazioni li avevano sopraffatti prima che potessero mettersi in salvo.
Esercitazioni antincendio in casa
In un caso di emergenza è necessario sapere che cosa fare automaticamente, altrimenti è probabile una mossa sbagliata, forse mortale. Ho dunque raccomandato a gruppi di studenti di fare esercitazioni antincendio in casa. Fanno esercitazioni antincendio a scuola, quindi perché non farle a casa dove un numero di persone di gran lunga maggiore restano ferite e perdono la vita negli incendi?
Spesso una finestra è il miglior posto da cui fuggire, specialmente quando ci si sveglia di notte. Ma ci vuole pratica, poiché in una camera piena di fumo non ci si vede più, il senso dell’orizzontamento scompare, e si deve fare tutto a tastoni. Può esservi difficile capire com’è se non l’avete provato. Di solito è meglio trovare una parete e seguirla fino a una finestra. Esortavo gli studenti: “Quando stasera andate nella vostra stanza, chiudete gli occhi o mettetevi una benda e cercate di farvi strada fino alla finestra. Poi vedete se riuscite ad aprirla”.
È sorprendente quanto ciò sia difficile, specialmente se ci sono controfinestre o telai. Ma sapendo come aprirle in fretta potete salvarvi la vita. Suggerivo pure di procurare una scala di corda da gettare giù, facendo esercitare i bambini nell’uso di essa, e di tenerla dove si poteva prendere in fretta se sorgeva un caso di emergenza.
Oggi migliaia di vittime sarebbero in vita se avessero fatto questo genere di esercitazioni. Solo recentemente in Jamaica Estates, sobborgo della città di New York, scoppiò un incendio al primo piano dopo che la famiglia era andata a letto al secondo piano. Il padre, un avvocato, corse nella camera da letto dei bambini nel tentativo di salvarli e come risultato tutti morirono. Se ciascuno fosse uscito dalla propria finestra, sarebbero tutti in vita. Anche dal primo piano si può fuggire appendendosi con le mani ai davanzali e lasciandosi cadere. Le ferite che si possono riportare nella caduta sono preferibili alla morte quasi sicura!
È pure importante che le famiglie abbiano un punto dove incontrarsi fuori, dopo essere fuggite di casa. Spesso andiamo a domare incendi, e i genitori gridano: “Mio figlio è là dentro. Tiratelo fuori! Tiratelo fuori!” Spesso il bambino è già uscito, ma noi corriamo dentro a cercarlo. Abbiamo perduto uomini in questo modo. Nella primavera dell’anno scorso il capitano dei pompieri John Dunne si fece strada lottando fra le fiamme fino a un appartamento al terzo piano in Brooklyn. Gli fu detto che c’erano quattro bambini là dentro, mentre in effetti erano fuggiti prima. Dunne fu preso in trappola dalle fiamme e perì.
Un’altra cosa che spesso metto in risalto è di non tornare in un edificio in fiamme a prendere roba. Così si sono perdute molte vite. Ricordo un edificio commerciale da cui tutti i dipendenti erano usciti. Quindi, allorché sembrò che le fiamme non fossero così intense, tornarono indietro di corsa a prendere alcune cose, e perirono.
In simili circostanze la maggioranza non capisce il pericolo del fumo; esso è assai velenoso. Di rado il fuoco stesso li uccide, è il fumo. E gli effetti sono cumulativi, abbreviando le probabilità di vita del pompiere che vi è ripetutamente esposto.
Il carico di lavoro e le molestie fanno disperare
Alcune cose rendono specialmente disperato l’accresciuto carico di lavoro che il vigile del fuoco di una grande città deve portare. È incredibile! Quando cominciai il servizio quasi vent’anni fa ero con una delle dieci compagnie più occupate della città, la Scala 17, South Bronx. Avevamo circa 1.800 chiamate all’anno. Ora alcune compagnie rispondono a quasi 10.000 allarmi all’anno! Solo dal 1966 al 1968 il totale degli allarmi in città salì del 44 per cento, senza nessun essenziale aumento di personale o di mezzi per combattere gli incendi.
È vero che molti allarmi — circa uno su tre — sono falsi. Ma non sappiamo se è falso finché non rispondiamo. Spesso, quindi, significa praticamente andare sempre di corsa, senza avere quasi un momento per mangiare un boccone. Per otto anni sono stato a Bronsville, Brooklyn, ma lì il lavoro stava diventando troppo pesante, ed è realmente solo per un giovane. Fortunatamente ho potuto ottenere il trasferimento in una zona dove c’è meno lavoro, la Scala 143 di Queens.
Ora Brownsville ha lo strabiliante ritmo di 10.000 allarmi per miglio quadrato all’anno! Sono incendi, incendi, incendi un giorno dopo l’altro. Spesso un uomo deve domare parecchi incendi in un giorno. Penso che un’esperienza del vigile del fuoco Bob Daily mostri quanto sono divenuti comuni gli incendi qui.
Era scoppiato un incendio in un appartamento di un caseggiato e Bob andò alla porta accanto per vedere se si era propagato anche in quell’appartamento. La porta era chiusa a chiave, e presumendo che le persone ne fossero uscite, abbatté la porta per entrare. Lì nella stanza piena di fumo c’era una donna anziana. Si scusò profondamente, chiedendole perché non avesse aperto la porta. “Oh”, disse, “ci sono tanti incendi qui intorno, che non ci presto più molta attenzione”.
A volte quasi l’intera zona è in fiamme, letteralmente! Non dimenticherò mai quando fu ucciso Martin Luther King. La notte del suo funerale, le compagnie di tutta la città furono chiamate a Brownsville. Ricordo che ero in cima all’edificio di una fabbrica a versare acqua sul fuoco. E potevo vedere scoppiare incendi in tutta la zona, da ogni parte guardassi.
Ma questa non è più una situazione insolita. Da allora si è verificata più volte. Per esempio, è successo nella primavera dell’anno scorso quando la città ha ridotto il pagamento dell’assistenza sociale. I giornali dissero che a Brownsville c’erano stati più di 120 incendi quel giorno! A volte sono anche affissi avvisi indicanti il giorno in cui un settore prenderà fuoco, e succede. Di conseguenza, Brownsville, South Bronx e altri rioni di New York somigliano alle città bombardate e annerite d’Europa dopo la seconda guerra mondiale.
È già una disperazione combattere tanti incendi, ma ora noi vigili del fuoco dobbiamo anche difenderci da quelli che provocano incendi dolosi. In alcune zone lanci di sassi e bottiglie sono regolarmente diretti contro i pompieri che cercano di domare le fiamme. Due anni fa ci furono oltre 800 incidenti in cui vennero attaccati i pompieri della città, e 343 rimasero feriti.
Perché avviene questo? Ebbene, la gente meno privilegiata di queste zone è completamente frustrata. I loro edifici sono vecchi e in rovina, e vedono pochi miglioramenti nonostante le promesse di rinnovamenti urbanistici. Credo dunque che sfoghino la loro ira, incendiando gli edifici vuoti e condannati, con la speranza di indurre ad agire più in fretta. E poiché impediamo loro di far ciò, essi ci attaccano. Penso pure che ci combattano perché ci associano all’“Istituzione” che odiano.
Forse alcuni provano antipatia per i vigili del fuoco medesimi. So della frequente lamentela che siamo cattivi, che danneggiamo le case non necessariamente. Ma la ragione per cui alcuni la pensano così è che in realtà non capiscono i pericoli del fuoco, come si può propagare, il modo in cui sono costruiti gli edifici. Lasciate che ve lo spieghi.
Come si fa a estinguere un incendio
Quando giungiamo presso un casamento, diciamo, di sei o sette piani, ciascun uomo conosce il suo compito e corre a eseguirlo. Si rende conto che la vita dei suoi compagni può dipendere dall’adempierlo. Un uomo raggiunge subito il tetto aprendo la porta d’accesso ad esso, togliendo i lucernari, facendo qualsiasi cosa per ventilare l’edificio così che le esalazioni tossiche possano uscire dai corridoi interni e dalle scale. Scende quindi da un’uscita di sicurezza, aprendo le finestre per consentire ulteriore ventilazione.
Nel frattempo due uomini afferrano un estintore e corrono a localizzare il fuoco stesso. In una stanza piena di fumo la loro vita e quella di chiunque altro sia ancora lì sono in pericolo. Come potete dunque capire, non c’è tempo per aprire delicatamente le finestre. Quando le trovano, sono frantumate con qualsiasi cosa abbiano a portata di mano, facendo entrare un soffio di aria vivificante. Spesso riusciamo a tirar fuori vivi bambini nonché altri che possono essere stati presi in trappola o sopraffatti dal fumo velenoso.
Questo lavoro per consentire la ventilazione permette pure agli uomini che seguono di trascinare fino all’incendio le loro pesanti maniche per l’acqua. Se il fumo non può uscire da nessuna parte, quando è spinto dal getto d’acqua, si comprime sempre più in una stanza o in un corridoio. Quindi esso può tornare indietro, passando sopra la testa degli uomini che portano i tubi, appiccando il fuoco dietro di loro. Allora essi sarebbero seriamente nei guai, tutto perché gli uomini addetti alla ventilazione non hanno aperto il tetto e le finestre abbastanza in fretta.
Tuttavia alcuni obiettano che il loro soffitto o le pareti sono fatti a pezzi quando il loro appartamento è a una certa distanza dall’incendio. Ma c’è una ragione anche per questo. I pompieri conoscono la strada che l’incendio può seguire. Si rendono conto che può percorrere lunghe distanze senza essere visto. Anni fa alcune scintille partite da una taglierina causarono un incendio in uno stabilimento metallurgico. I dipendenti lo estinsero completamente — pensarono — servendosi della manica per l’acqua verticale dello stabilimento. Ma circa trenta minuti più tardi le fiamme, che si erano propagate attraverso i muri cavi, spuntarono dal tetto. Fu una catastrofe.
I pompieri conoscono il fuoco, per cui lo cercano nelle stanze e negli appartamenti adiacenti. Mi tolgo il guanto e tasto la parete; se è calda, può esserci il fuoco. Si deve dunque fare un buco nella parete per scoprirlo. Il fuoco può specialmente farsi strada in senso orizzontale senza essere scoperto. Se togliamo il soffitto in un appartamento e c’è anche il minimo segno di fuoco, non ci sentiamo sicuri finché non abbiamo tirato via il soffitto nell’appartamento accanto per accertarci che non sia andato oltre. Quindi si possono provocare danni in un appartamento quando il fuoco non l’ha neppure raggiunto. Ma non si fa per cattiveria, come possono supporre alcuni, bensì per proteggere la gente.
Malintesi, molestie, l’accresciuto carico del lavoro, frequenti inalazioni di fumo, ricerca di vittime in trappola, la disperazione negli occhi delle vittime che hanno perso tutto, veder morire compagni di lavoro e altri, tutto ciò è la disperazione del pompiere di una grande città. Il nostro lavoro è duro e rischioso. Tuttavia abbiamo una ricompensa che si riceve di rado in qualsiasi altra occupazione. È quella di potere assistere la gente in difficoltà, d’essere presenti per fare qualche cosa quando gridano aiuto. Questo mi compensa di tutta la disperazione.