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  • g72 22/6 pp. 10-13
  • Quali soluzioni offrono?

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  • Quali soluzioni offrono?
  • Svegliatevi! 1972
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  • Più severità o più clemenza?
  • Discusse le prigioni stesse
  • C’è dell’altro
  • Le prigioni conseguono i loro scopi?
    Svegliatevi! 1972
  • Che cosa accade alle prigioni?
    Svegliatevi! 1972
  • Il problema delle prigioni: Come risolverlo?
    Svegliatevi! 1977
  • La soluzione aggrava il problema?
    Svegliatevi! 2001
Altro
Svegliatevi! 1972
g72 22/6 pp. 10-13

Quali soluzioni offrono?

GIACCHÉ le prigioni in genere non emendano i delinquenti e non scoraggiano certo l’estendersi della delinquenza, che si deve fare ora? Che si dovrebbe fare di quelli che commettono delitti?

Le risposte date da funzionari, dalla polizia e dall’uomo comune sono contrastanti. Non c’è coerenza. Gli esperti stessi si contraddicono fra loro.

Più severità o più clemenza?

Una corrente di pensiero è di smettere di “coccolare” i detenuti. Quelli che si attengono a questa veduta dicono che la punizione dovrebbe essere molto peggiore, che le condanne alla prigione dovrebbero essere più severe.

Il Times di Londra osserva che il Police Review inglese dice che è venuto il tempo di appendere, fustigare, affamare o fare varie cose a certi criminali perché soffrano”. Esso dice che le persone “sono stufe” dell’indulgenza mostrata ai criminali.

Perfino alcuni detenuti convengono sull’impiego della punizione fisica, purché significhi abbreviare le condanne. Uno che era stato ad Alcatraz disse al funzionario di una prigione: “Le ragioni per cui gli uomini sono mandati in prigione sono tre. Per punizione, per riabilitazione e per proteggere il pubblico. Talvolta, penso che le ultime due siano perse di vista quando vengono inflitte le condanne. Se un uomo passa tre o cinque o dieci anni lontano dalla famiglia e dagli amici, con un trattamento equo, ma repressivo, chiuso dentro una cella, privato di ogni piacere della vita normale e costretto a seguire un monotono programma, non è troppo?

Che cosa raccomanda egli? Questo detenuto disse: “Credo che la maggioranza dei detenuti direbbe di no alla riforma carceraria; direbbe: ‘Avanti, rendete dure le prigioni, rendetele realmente severe, perfino brutali, ma la condanna sia breve e facciamola finita’. Nessuno penserebbe di frustare un uomo, giorno dopo giorno, mese dopo mese, per lo stesso reato. Ma anni di prigione sono peggio”.

Tuttavia altri dicono esattamente l’opposto. Dicono che la vita nelle prigioni è già troppo brutale. Vorrebbero che si usasse più denaro delle tasse per farne luoghi piacevoli dove i detenuti potessero condurre una vita decente e svolgere un lavoro produttivo e interessante. Vogliono rendere più facile e più felice la sorte del detenuto.

Ovviamente, non c’è accordo in merito. Ma c’è una cosa che non dovrebbe sfuggire alla nostra attenzione. Nei recenti secoli si è provato quasi tutto in relazione alle prigioni. Ciò che ora alcuni raccomandano in quanto a maggiore brutalità o minore brutalità, condanne più lunghe o condanne più brevi, riforme o non riforme è già stato provato. E in genere non hanno avuto successo. Sembra ragionevole tornare indietro e provare di nuovo ciò che in passato non ha avuto successo?

Discusse le prigioni stesse

Questa è la ragione per cui alcuni esperti cominciano ora a discutere l’intero concetto delle prigioni. Si chiedono se la stragrande maggioranza di quelli che vi si trovano dovrebbero esserci.

Il libro The Ethics of Punishment dice: “Dopo più di 150 anni di riforme carcerarie, l’aspetto notevole dell’attuale movimento è il suo scetticismo verso le prigioni nel complesso e la ricerca di nuovi e più adeguati metodi di trattamento fuori delle mura della prigione”.

L’ex direttore delle prigioni federali negli U.S.A., James Bennett, disse della vita nelle prigioni: “Toglie gli uomini alla famiglia e agli amici per periodi assai lunghi. Imprime un marchio che rimarrà per tutta la vita. Li isola su pochi tristi ettari e li costringe a rispettare un monotono programma preciso come un orologio. Li veste di uniformi a buon mercato da cui è stata cancellata l’individualità. Distrugge la loro intimità e li raggruppa insieme a individui che potrebbero aborrire. Li priva di normali relazioni sessuali e impone la tentazione dell’omosessualità. Una condanna alla prigione equivale nella peggiore delle ipotesi a una raffinata tortura molto più severa della punizione corporale”.

Altri sono d’accordo. Un avvocato presente a un raduno di amministratori carcerari scrive questo riguardo alle loro vedute:

“Ciascuno dirigeva un maggiore istituto carcerario; erano tutti veterani nel ramo; nessuno era un ‘cuore tenero’, ‘dolce’ verso la delinquenza o ingenuo rispetto ai criminali.

“Chiesi all’agente di custodia seduto accanto a me quale percentuale di quelli che erano sotto la sua sorveglianza doveva essere in prigione. ‘Secondo quali norme?’ chiese. ‘Per proteggere la società dal danno personale’, risposi. ‘Dal 10 al 15 per cento circa’, disse. Interrogammo gli altri agenti di custodia nella sala; nessuno espresse disaccordo.

“Da allora, nelle visite a numerose prigioni del paese e all’estero, ho sempre fatto la stessa domanda. Non ho mai ricevuto una risposta diversa”.

Ramsey Clark, ex procuratore generale degli Stati Uniti, ha pressappoco la stessa veduta. Egli mette in risalto “la filosofia di evitare la detenzione ovunque sia possibile mediante sforzi preventivi, trattamento nella comunità e libertà vigilata”.

Pertanto, dopo anni di prove e fallimenti, ora un crescente numero di funzionari pervengono alla conclusione che le prigioni non scoraggino la delinquenza né correggano i trasgressori. Semplicemente non fanno quanto si era previsto, e ci vuole qualche altra cosa. Ma in quanto alla norma da seguire per stabilire qualcosa in sostituzione, non sono d’accordo. Invece, c’è un’anarchia di idee.

C’è dell’altro

Comunque, non si dovrebbe affrettatamente pervenire alla conclusione che l’insuccesso delle prigioni in generale sia la causa fondamentale dell’esplosione della delinquenza. Non è così, benché l’insuccesso delle prigioni effettivamente faccia peggiorare una situazione già cattiva.

Si tratta di qualcosa di più fondamentale. C’è un male basilare che pervade l’umanità in genere. La crescente popolazione delle prigioni riflette semplicemente questo male della società.

Per lungo tempo, specialmente dalla prima guerra mondiale, le nazioni sono state saturate di influenze negative. Ci sono state violenza e distruzione in massa nelle guerre, pregiudizi razziali, crescenti bassifondi, ghetti, povertà, egoismo e ipocrisia nelle più alte sfere della vita politica, religiosa ed economica. Gli insegnamenti permissivi riguardo alla morale hanno ulteriormente eroso gli alti princìpi e incoraggiato le tendenze alla criminalità.

Si miete quello che si semina, dice appropriatamente la Bibbia. Poiché tali influenze negative hanno bombardato le menti per oltre mezzo secolo, in realtà non dovrebbe sorprendere che si mieta una gigantesca messe di trasgressori della legge.

Inoltre, una relazione pubblicata dal Dipartimento statunitense della Giustizia osserva “che il 75% di tutte le persone arrestate per rapina avevano meno di 25 anni”. Essa mostra che, di esse, “il 33% erano minorenni”. Perciò, molti giovani commettono reati ancora prima di aver visto l’interno di una prigione. Non si può dunque dare alla vita nella prigione la colpa di gran parte dell’aumento della delinquenza. Sono i difetti della società a generarla.

Né sono poche le persone implicate nei delitti e che sostengono la delinquenza. La responsabilità grava su un notevole settore della popolazione. L’ex consulente presidenziale sul delitto organizzato, Ralph Salerno, parlando a un uditorio canadese disse:

“Quelli che scommettono e chiedono beni e servizi ai rappresentanti della malavita organizzata sono gli stessi che dicono ai vostri raccoglitori di dati statistici e ai miei che vogliono legge e ordine e giustizia.

“Volete far cessare domani mattina alle 8 la Delinquenza Organizzata? Inducete ogni Canadese e io indurrò ogni Americano a smettere di sostenere le sue attività illegali e la Delinquenza Organizzata cesserà di operare. Non avete bisogno di poliziotti. Avete bisogno di cittadini onesti. Dovete attaccare l’ipocrisia”.

Pertanto, gli sforzi di riforma all’interno delle prigioni falliscono per la medesima ragione per cui i criminali vengono prodotti fuori della prigione: gli insegnamenti, gli atteggiamenti e le azioni del mondo operano contro la creazione di menti sane. Non ci si può realisticamente aspettare che le riforme carcerarie portino risultati, o che la delinquenza diminuisca, se si considera come le persone alimentano la loro mente. Qual è il rimedio? Che cosa si può fare riguardo alle prigioni stesse? Si farà mai qualche cosa circa le condizioni che producono i trasgressori della legge?

[Riquadro a pagina 11]

ALCUNE PRINCIPALI CAUSE DI DELITTI

Violenza in massa nella guerra, pregiudizi razziali, bassifondi e ghetti, povertà, ipocrisia politica e religiosa e insegnamenti permissivi.

[Riquadro a pagina 12]

LA PROTEZIONE CONTRO LA DELINQUENZA È COSTOSA

Gli Stati Uniti hanno circa 500.000 poliziotti. Il costo annuo complessivo supera i 2.300 miliardi di lire, non includendo le paghe di giudici, personale di custodia o il costo degli edifici e degli impianti. In molte città il salario iniziale del singolo poliziotto è ora di circa 5.000.000 di lire.

[Immagine a pagina 11]

L’ex direttore delle prigioni federali dice: “Una condanna alla prigione equivale nella peggiore delle ipotesi a una raffinata tortura molto più severa della punizione corporale”

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