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  • Un clamore che non si placherà
    Svegliatevi! 1983 | 22 maggio
    • Un clamore che non si placherà

      DUE umili genitori di Sarroch, un centro della provincia di Cagliari, sono divenuti il punto focale di un clamore che è stato sollevato in tutta Italia da cittadini imparziali. E anche in molte altre nazioni gli amanti della libertà hanno espresso la loro preoccupazione.

      Probabilmente conoscete già alcuni particolari sulla triste vicenda di cui sono protagonisti Giuseppe e Consiglia Oneda, messi in prigione dopo che la loro diletta figlia era morta mentre i medici le facevano una trasfusione di sangue. Forse avete anche letto nei giornali quale reazione ha suscitato il recente processo d’appello a loro carico, che minaccia di lasciarli a marcire per anni in prigione.

      La Stampa del 10 dicembre 1982 lo ha definito “uno dei processi più clamorosi e ricchi di sfaccettature morali degli ultimi tempi”. “Una vicenda delicata e complessa che ha appassionato i cittadini”, ha scritto La Nuova Sardegna del 13 dicembre 1982. Il Messaggero del 14 dicembre 1982 ha affermato che il caso ha diviso gli italiani “tra innocentisti e colpevolisti”.

      Ma il processo è stato celebrato lo scorso dicembre. Perché allora la questione è ancora aperta? E perché voi dovreste preoccuparvene? “Il processo contro i coniugi Oneda”, risponde la Gazzetta di Mantova del 10 dicembre 1982, “è il primo del genere nella storia processuale italiana. Il clamore suscitato da questa vicenda non si placherà all’indomani della sentenza”.

      Qualunque sia la vostra opinione sul caso Oneda, esso ha implicazioni morali e religiose che non potete trascurare.

      Perché noti giuristi e altri ne hanno parlato tanto?

      Che conseguenze potrebbe avere per voi personalmente e per i vostri diritti costituzionali?

      È stata fatta realmente giustizia?

      Oppure i sentimenti e il pregiudizio hanno ostacolato il cammino della giustizia in modo tale da mettere a repentaglio la vostra libertà di religione?

  • Perché sono in prigione?
    Svegliatevi! 1983 | 22 maggio
    • Perché sono in prigione?

      Come la piccola Ester, che ha una ragione speciale per fare questa domanda, anche noi dovremmo chiederci: Perché i suoi genitori sono in prigione?

      POCO dopo la nascita di Ester, la sua sorellina maggiore Isabella morì di talassemia major. Per quanto la cosa possa apparire sorprendente, le autorità hanno ritenuto i suoi devoti genitori, Giuseppe e Consiglia Oneda, responsabili della sua morte e li hanno fatti mettere immediatamente in prigione. Sono stati poi processati per omicidio, ricevendo una lunga condanna.

      Ester è ora affidata ad amici di famiglia i quali si prendono buona cura di lei; ciò nonostante per tre anni è stata privata delle cure e della vicinanza dei genitori che sono così importanti per i bambini. Essa può vedere i genitori solo una volta la settimana, per una ventina di minuti. Esiste qualche ragione valida per dividere una famiglia cristiana, per privare gli amorevoli genitori della libertà e per negare a questi genitori e alla loro bambina di stare insieme com’è naturale? Tutti noi abbiamo buone ragioni per chiedere: PERCHÉ?

      Talassemia major: un male inguaribile

      Ester è nata sana, ma non fu così per la sua sorellina. Poco tempo dopo la sua nascita nel paese di Sarroch, Isabella fu trovata affetta da una grave forma di talassemia major.

      Forse sapete di questa temuta malattia ereditaria da cui sono affetti molti abitanti dei paesi mediterranei. I bambini che hanno questa malattia vengono curati con periodiche trasfusioni di sangue, nonostante le trasfusioni stesse siano molto rischiose, come ha scritto il professor Alfred Katz: “Nella migliore delle ipotesi la terapia trasfusionale è soltanto una misura di sostegno, ed è potenzialmente pericolosa”. (Minuti dell’ottobre 1981) Per qualche tempo gli Oneda portarono Isabella alla II Clinica Pediatrica dell’Università di Cagliari dove i medici le facevano trasfusioni. I medici però sapevano che questa terapia non avrebbe mai potuto sanare Isabella dalla sua malattia, che secondo la franca ammissione degli specialisti è inguaribile e a decorso fatale.

      Mentre la scienza medica non era in grado di offrire a Isabella la speranza di una guarigione definitiva, Giuseppe e Consiglia cominciarono a trarre conforto e speranza dallo studio della Parola di Dio, la Bibbia, insieme ai componenti della locale congregazione dei cristiani testimoni di Geova. Appresero dalla Bibbia molte cose nuove, incluso il fatto che il Creatore dice che il sangue è sacro, dato che rappresenta la vita stessa. Nella Parola di Dio gli Oneda lessero che il primo concilio cristiano (a cui parteciparono gli apostoli di Gesù) comandò ai cristiani di ‘astenersi dal sangue’. (Atti 15:28, 29) Quando si resero conto che la Bibbia vieta di sostentare la vita mangiando o prendendo sangue, gli Oneda informarono i medici che avrebbero accettato (e anche cercato) cure alternative per la loro diletta bambina, ma che per motivi di coscienza non potevano più acconsentire alle trasfusioni di sangue.

      In conseguenza di ciò i medici si rivolsero al Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Il Tribunale minorile impose allora la cura emotrasfusionale. E poiché i genitori non avrebbero portato di loro iniziativa la figlia per questa terapia contraria alla loro coscienza, lo stesso Tribunale dispose che la Clinica, i Carabinieri e i vigili urbani collaborassero insieme per trasportare e curare la piccola con le trasfusioni di sangue. A seguito di questa e di analoghe ordinanze emanate dal tribunale dal 28 giugno 1979 al 3 marzo 1980, le forze dell’ordine portarono molte volte Isabella alla Clinica, dove venne sottoposta coattivamente a trasfusioni di sangue. Questo però non fece migliorare le condizioni della piccola che purtroppo peggiorò.

      Nel frattempo gli Oneda facevano scrupolosamente tutto il possibile per aver cura della loro bambina malata. Le procuravano i cibi migliori e cercavano altre terapie che potevano alleviarle le sofferenze o ritardare il progresso della malattia. Le mostrarono anche tutto il loro affetto di genitori nella buona atmosfera di una casa cristiana.

      In prigione

      Per qualche tempo i medici della Clinica assolsero la responsabilità affidata loro dal Tribunale: fecero in modo che Isabella venisse regolarmente trasportata alla Clinica per le trasfusioni che a loro dire erano necessarie. Ma poi nel 1980, per diversi mesi, i medici trascurarono questa loro responsabilità. Durante questo periodo Isabella, nonostante la grave malattia, stava discretamente. Infatti in giugno era anche in grado di giocare all’aperto.

      Nelle sue ultime settimane di vita fu colpita da una bronchite e i genitori la curarono per questa complicazione. All’improvviso le sue condizioni si aggravarono. È possibile che questo sia stato causato proprio dall’affezione bronchiale? Possibilissimo! Gli stessi periti nominati dal Tribunale hanno dichiarato che l’anemia mediterranea può evolversi e portare alla morte “per un’influenza, una broncopolmonite o un’altra infezione”. In altre parole, queste complicazioni possono accelerare e provocare la morte di un bambino affetto da quel terribile morbo che è la talassemia major.

      Il 2 luglio 1980, dopo essere stata portata alla Clinica dai vigili urbani, Isabella morì mentre le veniva somministrata un’altra trasfusione di sangue.

      Due giorni dopo ci fu l’intervento della magistratura. Sia il direttore della Clinica che gli Oneda furono incriminati per omicidio colposo (questo è il reato di chi causa la morte di qualcuno involontariamente). Ma stranamente il 5 luglio l’imputazione contro l’eminente medico scompare e gli umili genitori vengono accusati di omicidio volontario! A questo punto i genitori venivano accusati di avere causato la morte di Isabella.

      Pertanto furono arrestati e messi in prigione mentre l’altra figlia, Ester, aveva meno di due mesi. Sono rimasti in carcere per quasi due anni. Poi, il 10 marzo 1982, dopo il processo celebrato davanti alla Corte d’Assise, sono stati condannati a 14 anni di reclusione. Forse lo sapevate già, poiché di questa dura condanna hanno parlato i giornali di tutta Italia, suscitando molte proteste fra i cittadini.

      Comprensibilmente contro questa severa condanna si è fatto ricorso alla Corte d’Assise d’Appello di Cagliari. Ma ci si poteva aspettare un giudizio imparziale nella stessa città dove la bambina era morta, nella stessa località dov’erano il medico e la clinica, nello stesso tribunale dove altri magistrati avevano lasciato cadere le accuse contro il medico e condannato i genitori a quattordici anni di reclusione? Che ne pensate?

      Il 13 dicembre 1982 la corte d’appello emise la sentenza. Venne riconfermata la condanna per omicidio volontario. Tuttavia la corte d’appello ha ridotto la pena a nove anni di reclusione, riconoscendo come attenuante ‘la motivazione religiosa degli Oneda’.

      Pensate che la cosa debba silenziosamente finire qui, e che questa giovane coppia debba languire in prigione per altri sei anni? È giusto che Ester sia privata dall’amorevole vicinanza dei genitori e cresca chiedendosi: Perché i miei genitori sono in prigione?

      Giustamente i legali che hanno assistito la giovane coppia hanno presentato ricorso in Cassazione. Potrete capire meglio quanto ciò sia appropriato considerando alcune reazioni del pubblico alla sentenza dello scorso dicembre.

      [Immagine a pagina 5]

      Giuseppe Oneda spiega alla Corte d’Appello i motivi di coscienza che lo spinsero a cercare cure alternative per la sua diletta figlia

  • Le reazioni del pubblico
    Svegliatevi! 1983 | 22 maggio
    • Le reazioni del pubblico

      Un conflitto con la libertà di coscienza — IL TEMPO

      una sentenza ingiusta e persecutoria

      Sarà in ogni caso una sentenza che farà discutere — LA NUOVA Sardegna

      Sulla condanna dei coniugi testimoni di Geova interrogazione in parlamento

      Testimoni di Geova: la legge e gli abusi

      Genitori assassini o una libera scelta religiosa? — PAESE SERA

      “UNA SENTENZA INGIUSTA E PERSECUTORIA”: così ha definito la sentenza della corte d’appello il periodico Com—Nuovi Tempi del 26 dicembre 1982.

      Parole forti, ma sono state forse un’eccezione? Come si sono espressi altri giornalisti? Quali sono stati i commenti di professori, giuristi e altri che si sono occupati del caso? Dovete saperlo.

      Tre aspetti fondamentali

      Forse avete notato che la stampa ha dato risalto a tre aspetti fondamentali: (1) Non acconsentendo alle trasfusioni di sangue, Giuseppe e Consiglia Oneda intendevano deliberatamente causare la morte di Isabella? (2) È stato stabilito che la bambina è morta non per la malattia ma perché negli ultimi mesi di vita non le sono state praticate le trasfusioni di sangue? (3) Il fatto che non abbia ricevuto sangue si può attribuire unicamente ai suoi genitori cristiani anziché ai medici?

      Omicidio volontario?

      Rammenterete che l’accusa contro gli Oneda, da quella di avere involontariamente contribuito alla morte di Isabella fu cambiata in un’accusa molto più grave, quella di omicidio volontario. In base a ciò che sapete di questi genitori e degli sforzi che hanno fatto per curare la loro bambina affetta dall’inguaribile talassemia major, direste che siano omicidi volontari?

      Un magistrato a riposo ha scritto: “Ritengo del tutto aberranti tanto l’accusa che la sentenza. Ma come si fa a ritenere quei due genitori responsabili di omicidio volontario e cioè di avere volontariamente cagionato, essi, la morte della loro creaturina? La bambina è sicuramente morta per malattia”. (Il Resto del Carlino di Bologna del 21 dicembre 1982) Analogamente, Gianni Pennacchi ha scritto su Stampa Sera del 13 dicembre 1982: “Com’è possibile condannare per omicidio volontario due genitori che amavano la figlia e pregavano costantemente Iddio di guarirla?” Cosa rispondereste voi?

      Il giornale cattolico Avvenire del 15 dicembre 1982 ha scritto: “I due testimoni di Geova non hanno in alcun modo voluto la morte della loro figlia, non l’hanno provocata direttamente”.

      “Nel caso degli Oneda”, ha affermato il professor Francesco Finocchiaro, “è altamente improbabile che vi sia stato dolo, ossia la previsione della morte della figlia e la volontà di determinarla, quando la stessa sentenza ha accertato che gli imputati intimamente non volevano, né desideravano la morte della figlia”. — Il Tempo del 5 ottobre 1982.

      Un medico di Trieste ha scritto: “Manca del tutto nel comportamento dei coniugi Oneda una volontà omicida . . . Durante il loro interrogatorio è emerso, sempre ed in maniera inequivocabile, un grande attaccamento per la figlia malata che volevano non morisse ma soltanto fosse curata diversamente”. — Il Piccolo del 22 dicembre 1982.

      Qual è stata la causa della morte?

      Forse sapete che per considerare una persona colpevole di omicidio volontario bisogna stabilire che con le sue azioni ha causato la morte di qualcuno. È ciò che si chiama ‘nesso di causalità materiale’.

      Il medico appena citato ha scritto: “Questa sentenza . . . mi spinge, anche se cattolico praticante, a fare diverse considerazioni. Innanzi tutto la scienza medica, purtroppo, ci insegna che la malattia, cui era affetta la piccola Isabella, soprattutto perché manifestatasi in tenerissima età, porta colui che viene colpito a sicura morte entro brevissimo tempo, risultando vano ogni tentativo terapeutico. Ne consegue che . . . manca a questo punto . . . il nesso di causalità”.

      Il professor Mauro Barni, presidente dell’Associazione Italiana di Medicina Legale, ha spiegato: “Ed un altro momento della sentenza lascia perplesso il medico legale: la frettolosa analisi, cioè, del nesso di causalità tra mancata trasfusione e morte della bambina”. La professoressa Renata Gaddini, presidente dell’Associazione Italiana per la prevenzione dell’abuso all’Infanzia, osserva: “Ci ha sconcertati la dura sentenza, specie in quanto non vi erano state perizie del tutto conclusive sulla morte di Isabella . . . Ciò che sconcerta nella sentenza del Tribunale di Cagliari è . . . il nesso tra morte di Isabella e responsabilità dei genitori”. — Il Tempo del 14 e 17 settembre 1982.

      Riflettete sul significato di tali affermazioni. Perché qualcuno possa essere ritenuto colpevole del reato imputato agli Oneda, dev’essere provato il nesso fra le azioni di quell’individuo e la morte avvenuta. Tuttavia la stampa ha citato osservatori qualificati i quali si rendono conto che nel caso degli Oneda tale nesso non è stato stabilito. Perché allora sono stati condannati?

      Di chi la responsabilità?

      Si ricordi che quando i medici chiesero l’intervento delle autorità, il tribunale attribuì alla clinica la responsabilità di accertarsi che qualcuno andasse a prendere Isabella perché venisse sottoposta alla terapia. Il fatto è che, pur avendovi provveduto per un certo tempo, negli ultimi mesi di vita della bambina la clinica non la mandò più a prendere.

      A questo proposito Gregorio Donato ha scritto: “Posto e non concesso che causa del decesso siano le mancate trasfusioni, responsabilità di questo non è dei genitori, ma della seconda clinica pediatrica dell’Università di Cagliari, come stabilito da apposita ordinanza del Tribunale dei minori”.

      “Ad un certo punto la clinica — diciamo così — dimenticò l’ordinanza del Tribunale dei minori. Isabella si aggravò. Ricoverata d’urgenza il 2 luglio dell’80, durante una trasfusione, Isabella morì. Il 4 luglio il magistrato incriminò per omicidio colposo il prof. Antonio Cao. . . . Ventiquattrore dopo, questa incriminazione scomparve. Il prof. Cao fu frettolosamente scagionato senza neanche essere ascoltato . . . Per lo stesso reato (omicidio colposo) erano stati incriminati gli Oneda. Ma con altrettanta fretta la loro imputazione fu cambiata in omicidio volontario aggravato; (una imputazione che prevede una pena fino all’ergastolo). La logica di tale mutamento era chiara; se si lasciava l’imputazione per omicidio colposo, si dovevano incriminare tutti coloro, che, senza volontà, ma omettendo atti di ufficio, avevano contribuito al decesso della piccola”. — Com—Nuovi Tempi del 26 dicembre 1982.

      Ci si chiede se in questo caso degli umili, comuni cittadini siano perseguiti perché è più facile e meno imbarazzante che perseguire dei funzionari pubblici, come i medici in questione.

      Stampa Sera del 6 dicembre 1982 riferiva che il noto giurista torinese Giangiulio Ambrosini, rispondendo alla domanda “Si tratta di persecuzione religiosa?”, ha detto “di sì, ‘perché non sono state rispettate le libertà fondamentali che la Costituzione riconosce ad un gruppo religioso’”.

      È appropriato rivolgere l’attenzione alla Costituzione Italiana, poiché in questo caso essa viene immancabilmente chiamata in causa. Anche voi dovreste essere interessati alle sue implicazioni, poiché la vostra vita e i vostri diritti costituzionali potrebbero soffrirne. In che modo?

  • I vostri diritti e i loro alla luce della Costituzione
    Svegliatevi! 1983 | 22 maggio
    • I vostri diritti e i loro alla luce della Costituzione

      Valérie, una quattordicenne francese, affetta da una grave forma di leucemia, per la quale i medici le avevano prescritto certi trattamenti. Ma il 3 dicembre scorso la Corte d’Appello di Nancy (Francia) ha riconosciuto ai genitori di Valérie il diritto di rifiutare tale terapia, che causava gravi e penosi effetti collaterali e il cui esito era incerto. Critichereste i genitori e i giudici della corte?

      PROBABILMENTE sapete che le nazioni illuminate riconoscono l’importanza dei diritti umani, inclusa la libertà di coscienza.

      È dunque con buone ragioni che la Costituzione vi garantisce il diritto di avere convinzioni personali, assicurando ampio spazio all’esercizio della vostra coscienza. Per esempio, sarebbe una violazione dei vostri diritti che un funzionario o un medico pretendesse di disporre in assoluto del vostro corpo o di quello di un vostro familiare nel caso voi o lui foste malati. I vostri diritti non devono essere calpestati solo perché un altro individuo la pensa diversamente.

      Nel processo e nella sentenza a carico degli Oneda è stato ripetutamente messo l’accento sull’articolo 30 della Costituzione che dice: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Comprendiamo tutti che si tratta di una norma ragionevole. Ma la Corte ha ignorato il successivo comma dell’articolo 30, che aggiunge: “Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”.

      Questi due commi della Costituzione riguardano tutti coloro che compongono una famiglia. Vediamo cosa voleva stabilire la Corte nel caso Oneda citando solo il primo comma. Riflettiamo anche sul secondo comma, poiché è ugualmente importante per i nostri diritti, diritti che potrebbero essere minacciati da ciò che è accaduto agli Oneda.

      Nei casi di “incapacità” dei genitori

      Durante il processo Oneda come durante il successivo appello la Corte si è limitata a quella parte della Costituzione che menziona il dovere dei genitori di “mantenere” i figli. Perché? La Corte ha sostenuto che, avendo la clinica trascurato il compito attribuitole dal Tribunale di mandare a prendere Isabella per la terapia, i genitori avevano l’obbligo di provvedere a ciò malgrado le loro convinzioni. A prima vista questo può sembrare ragionevole. Ma pensate . . .

      L’articolo 30 riconosce pure che possono esserci casi di “incapacità” dei genitori. Ovviamente, se un genitore si trovasse in condizioni di “incapacità” essendo costretto a letto o paralizzato, potrebbe non essere in grado di fare per il figlio cose che altri genitori fanno. Ma l’“incapacità” va oltre l’essere fisicamente impossibilitati.

      Il professor Vezio Crisafulli, eminente giurista, ha spiegato che questa “incapacità” è da ‘intendersi in senso lato’. Egli ha detto che sarebbero inclusi “tutti i possibili casi in cui, per ragioni economiche, di salute, di ambiente, i genitori non siano in grado di far fronte agli obblighi loro derivanti dal primo comma” dell’articolo 30. Poi egli ha fatto questa importante precisazione: “Tra questi casi rientra . . . anche quello che qui si esamina, del conflitto di doveri che può determinarsi nella loro coscienza”. (Dalla rivista Diritto e Società, N. 3, del 1982) In altri termini la Costituzione ha previsto che lo Stato intervenga quando i genitori sono ‘incapaci’, il che include il caso in cui la coscienza impedisce loro di fare qualcosa.

      Anche altri competenti osservatori sono d’accordo su questo fatto. Il professor Franco Modugno, noto costituzionalista, ha dichiarato: ‘Non vi è dubbio che una simile incapacità di fatto ricorre per ragioni economiche, di salute e di ambiente; perché mai poi non anche nel caso di conflitto di doveri che può determinarsi nella coscienza di un genitore?’ (Il Tempo, 23 dicembre 1982) Il professor Ferrando Mantovani, noto docente di diritto penale, parlando a un convegno tenuto presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha menzionato l’“inidoneità dei genitori . . . quando vengono a trovarsi di fronte al dilemma di tenere un comportamento contrastante con la professata fede religiosa”.

      Credendo, com’essi credono, nella legge di Dio, Giuseppe e Consiglia Oneda si trovavano nell’impossibilità di portare la loro bambina perché fosse sottoposta a trasfusioni di sangue. Naturalmente, esiste una limitazione solo riguardo a questa terapia. I testimoni di Geova sono conosciuti in tutto il mondo come genitori amorevoli che si interessano diligentemente del benessere materiale, fisico, emotivo e spirituale dei loro figli, e non vogliono scaricare su altri questa responsabilità. La clinica e le autorità si erano rese conto del conflitto di coscienza degli Oneda. È per questo che i medici avevano chiesto l’intervento delle autorità, in seguito a cui la clinica aveva ricevuto ordine di mandare a prendere Isabella per sottoporla alla terapia. Come possono dunque gli Oneda essere ritenuti responsabili della morte di Isabella?

      I vostri diritti e i loro: c’è motivo di sperare

      Attualmente gli Oneda si trovano in prigione, ma contro la sentenza si è fatto ricorso in Cassazione. C’è dunque motivo di sperare che la giustizia trionferà e che i loro e i nostri diritti costituzionali — inclusa la libertà di religione, la libertà di coscienza e la libertà di provvedere alla propria famiglia — saranno difesi. Perché c’è motivo di sperarlo?

      Molti sono pervenuti alla conclusione che le sentenze emesse a Cagliari, dove sono stati celebrati entrambi i processi, possono essere state influenzate dal pregiudizio religioso e dalla riluttanza ad accertare la responsabilità di altri. Il gesuita e giurista Salvatore Lener ha scritto: “Uno Stato civile, che ha in concreto gli organi e le istituzioni a ciò necessarie, non può, quando questi organi e queste istituzioni non abbiano assolto il loro doveroso compito, addossare ai genitori . . . la responsabilità penale della morte del minore non da loro direttamente provocata”. Lener ha aggiunto: “La severissima condanna dei coniugi Oneda . . . a noi pare un alibi della società, con il quale si è attribuito ad altri la responsabilità d’un doloroso evento, che solo i suoi organi avrebbero potuto e dovuto evitare”. — La Civiltà Cattolica del 16 ottobre 1982.

      Sullo stesso tono è la dichiarazione del vescovo di Cagliari, citata da Stampa Sera (9 dicembre 1982): “Comprendo in pieno il rifiuto dei due genitori alle trasfusioni di sangue, perché violano un loro precetto religioso. L’irriducibilità della loro fede merita rispetto, mentre non lo merita affatto la fuga delle strutture pubbliche dalle proprie responsabilità”.

      La nostra speranza, quindi, è che quando la causa sarà dibattuta a Roma, lontano dai pregiudizi locali, ciò che è accaduto sarà esaminato a fondo. Certo gli alti magistrati di questa Corte vorranno sostenere le libertà e i diritti che la Costituzione garantisce a tutti noi. Possa la giustizia trionfare e sia dato a Giuseppe e Consiglia Oneda di riabbracciare la loro amata figlia Ester in pace e liberi.

      [Immagine a pagina 11]

      Il Palazzo di Giustizia di Roma, dove ha sede la Corte Suprema di Cassazione che esaminerà il caso Oneda

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