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  • ‘Ti abbiamo amato ancor prima che nascessi’
    Svegliatevi! 1984 | 8 maggio
    • ‘Ti abbiamo amato ancor prima che nascessi’

      I giornali di tutta Italia hanno parlato di Giuseppe e Consiglia Oneda, due genitori rinchiusi in carcere dopo che la loro figlioletta era morta per una incurabile forma di anemia. Alcuni pertanto si sono chiesti: ‘I testimoni di Geova sono forse genitori privi d’amore?’ Nel rispondere alla domanda, vediamo che effetto hanno avuto i loro insegnamenti biblici su una normale famiglia italiana. Considereremo poi come il caso Oneda può influire sui vostri diritti, nonché sulla vita e sulla salute della vostra famiglia.

      LUIGI e Antonella, di nove e undici anni, tornano a casa. “Com’è andata a scuola?”, chiede premurosa la madre, Fiorella, accogliendoli con un affettuoso abbraccio. La conversazione continua mentre i ragazzi si lavano e si cambiano preparandosi per il pranzo. Fiorella dice una breve preghiera, dopo di che si mettono a mangiare con appetito. Manca Carlo, il padre, che tornerà in serata dopo il lavoro. Ma essi lo menzionano ripetutamente con affetto. Al suo ritorno avranno tante cose da dirgli.

      Pensate che questo bel quadretto familiare sia la scena di un tempo che fu? Potrebbe sembrare così, poiché la realtà della famiglia odierna è di solito ben diversa. (Si noti il quadro). È chiaro che l’ambiente domestico — in cui il bambino trascorre la maggior parte del suo tempo — sta peggiorando.

      Col dilagare dei divorzi e delle separazioni, è in aumento il fenomeno dei “bambini con la valigia”, spediti da un genitore all’altro come un pacco postale. Altri ragazzi che vivono con entrambi i genitori devono assistere a penose liti familiari, quando non vengono essi stessi maltrattati. Un ambiente familiare cattivo conduce spesso alla droga e alla delinquenza minorile.

      Le Nazioni Unite proclamarono il 1979 “Anno Internazionale del Bambino”. Ma “ci vuol altro che l’Anno del Bambino a porre rimedio” alla situazione, scriveva Fabrizio Dentice sull’Espresso del 28 gennaio 1979, e aggiungeva: “Bisognerebbe cambiare il tipo di vita che fa di noi quello che siamo”.

      Eppure si sa che non è facile cambiare il tipo di vita e migliorare l’ambiente familiare. Ma è ciò che Carlo e Fiorella hanno fatto alcuni anni fa, dopo aver studiato la Bibbia con i testimoni di Geova. Decisero infatti di applicare i princìpi biblici nella loro famiglia. Ora la loro vita domestica è governata dall’amore, e i loro figli sono felici.

      Come cambiare il tipo di vita?

      Conoscete senza dubbio altre famiglie che potrebbero star meglio cambiando il loro modo di vivere e migliorando l’ambiente domestico. Come si può far questo? Si tratta di modificare la propria concezione della vita. La maggioranza delle persone vive egoisticamente per soddisfare i propri capricci e le proprie ambizioni. Molti spendono le loro migliori energie nel far carriera o nei piaceri. Quando sono stanchi del coniuge, lo cambiano.

      Se vogliamo che per noi le cose siano diverse, dobbiamo mettere al primo posto nella vita valori più essenziali e duraturi. Questo vuol dire far posto a Dio e ai princìpi della sua Parola, la Sacra Bibbia. In tal modo possiamo appagare le nostre necessità spirituali, com’è avvenuto nel caso di Carlo e Fiorella. Saremo anche pronti ad aiutare altri, poiché la Bibbia insegna: “Devi amare il tuo prossimo come te stesso” e: “Vi è più felicità nel dare che nel ricevere”. — Matteo 22:39; Atti 20:35.

      Come influirà questo sulla nostra relazione con i figli? Anziché essere oggetti ingombranti che intralciano i genitori, saranno dei soggetti. Sia che fossero desiderati o no, li apprezzeremo come individui verso i quali noi genitori siamo responsabili e che possono diventare una benedizione se trasmettiamo loro un patrimonio di affetto e di valori spirituali. Questi valori costituiscono un elemento stabilizzatore in qualsiasi famiglia.

      Questo modo di pensare può influire anche su come i genitori considerano i figli prima che nascano. Possiamo capire meglio questo fatto prendendo ulteriormente in considerazione il caso di Carlo e Fiorella.

      Prima che nascano, e dopo

      “I figli sono un’eredità da Geova”. Con queste parole il Salmo 127:3 indica che i figli sono qualcosa di prezioso, di cui avere la massima cura. Coloro che sanno di ereditare un bene di solito fanno i piani per riceverlo e custodirlo.

      Questo è ciò che è avvenuto nel caso di Carlo e Fiorella. Prima di studiare la Bibbia con i testimoni di Geova non avevano mai pensato che seguendo i princìpi biblici si potesse influire positivamente perfino su un nascituro. Per esempio, la Bibbia sostiene la necessità di purificarsi da ogni cosa che contamini fisicamente la persona. (II Corinti 7:1) Pertanto i testimoni di Geova non danneggiano il loro corpo facendo uso di tabacco o di droga. Ma è dimostrato che questo è un bene anche per la salute del nascituro. Perciò, quando Fiorella rimase nuovamente incinta, la conoscenza che ora aveva della Bibbia le diede un’ulteriore ragione per evitare qualsiasi cosa potesse danneggiare il bambino che portava in grembo. Seguendo una dieta adeguata ed essendo cauta nell’uso di farmaci mostrò di considerare il suo nascituro come una preziosa “eredità”.

      Ovviamente, però, per qualsiasi genitore questo è solo l’inizio! Dopo la nascita c’è infatti da provvedere al bambino cibi nutrienti, vestiti adatti e cure mediche. Pensate a ciò che questo può significare per la famiglia. Ad esempio, anche se alcuni genitori potrebbero spesso accontentarsi di una cena sbrigativa per essere poi liberi di andare a ballare o al cinema, devono tener conto dei bisogni dei loro figli. Per i ragazzi che crescono, pasti sani e adeguati sono particolarmente importanti. Quindi, anche se ogni tanto è necessario accontentarsi di pasti meno elaborati, i genitori amorevoli normalmente faranno in modo che le loro attività non ostacolino la sana alimentazione dei loro figli. I testimoni di Geova si sforzano in tal senso.

      Ma è chiaro che l’aver cura dei figli non implica solo l’aspetto materiale. Essi hanno bisogno dell’affetto dei genitori, del loro tempo e della loro amicizia. Occorre appagarne i bisogni emotivi avendo “tenera cura” di loro. — I Tessalonicesi 2:7.

      Carlo e Fiorella hanno appreso che Gesù disse: “L’uomo non deve vivere solo di pane”. (Matteo 4:4) Gli amorevoli genitori cristiani che riconoscono tale verità provvedono ai figli la necessaria educazione spirituale. Fiorella e Carlo ne avevano avuto un esempio pratico quando avevano cominciato ad assistere alle adunanze cristiane dei testimoni di Geova. Non si trattava di raduni deprimenti a cui partecipavano solo persone anziane, ma erano presenti molti bambini, bambini che con la loro serenità e felicità riflettevano l’amore e le cure che i genitori Testimoni hanno per i figli.

      Forse non sapevate che i Testimoni danno tanto risalto alla cura della famiglia. In effetti è così. Molte delle loro pubblicazioni trattano le responsabilità dei genitori cristiani.a Le loro adunanze molto spesso sottolineano il fatto che i veri cristiani rispecchiano le qualità di Geova Dio, “il Padre delle tenere misericordie e l’Iddio d’ogni conforto”. Così tutti i presenti sono esortati ad avere tenera cura dei figli e amore per il prossimo. — II Corinti 1:3.

      Alcuni osservatori hanno notato le eccellenti qualità dei genitori Testimoni. Un giornale italiano ha fatto questi commenti: “Constatiamo che hanno un senso morale elevatissimo, addirittura un rigorismo, tendente a salvaguardare veri valori, come quello della famiglia. Riguardo alla vita in comune coniugale ed in vista dei figli, per i Testimoni di Geova non c’è tolleranza per procedure irresponsabili di separazione e di divorzio”. — La Nazione, 31 luglio 1979.

      Cure amorevoli e assistenza medica

      Alcuni tuttavia dicono: “Se voi testimoni di Geova desiderate tanto essere dei bravi genitori, perché rifiutate le trasfusioni di sangue per i vostri figli? Non è omicidio?” Avete sentito commenti del genere o vi siete fatti voi stessi domande simili?

      Questi commenti, però, riguardano un problema che non interessa solo i testimoni di Geova e che ha fatto notizia. Si tratta di questo: Come abbiamo già detto, da dei genitori amorevoli ci si aspetta che abbiano cura del benessere dei figli, e questo ovviamente include anche l’aspetto medico. Ma fino a che punto genitori premurosi hanno voce in capitolo quando si tratta di prendere decisioni che riguardano la salute dei loro figli?

      Questo è un problema che riguarda tutti i genitori, non solo i testimoni di Geova. Ma sempre tenendo presenti i Testimoni, pensate di nuovo a genitori devoti come Carlo e Fiorella, che amano a tal punto i loro figli da essere pronti a morire per loro. (Giovanni 15:13) I giornali hanno riferito che genitori come loro si sono rifiutati di permettere che venissero fatte ai loro figli trasfusioni di sangue prescritte dai medici. Perché? Non certo per insensibilità, poiché sono genitori amorevoli.

      In varie occasioni, i tribunali sono stati chiamati a occuparsi di casi del genere, nei quali sono implicati i diritti dei genitori. Questo può influire su come vi prenderete cura dei figli che forse avete, figli che avete amato ancor prima che nascessero.

      [Nota in calce]

      a Vedi Come ottenere il meglio dalla tua giovinezza; Come rendere felice la vita familiare; Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca, editi dalla Watchtower Bible and Tract Society of New York.

      [Riquadro a pagina 3]

      Vittime innocenti

      ◻ Italia: 5.000 all’anno i bambini gravemente percossi

      ◻ Stati Uniti: 23.000.000 di bambini lasciati con la sola compagnia del telefono in attesa del ritorno dei genitori

      ◻ Gran Bretagna: 100.000 bambini abbandonati dai genitori

      ◻ Germania Occidentale: 1.000 bambini muoiono ogni anno in seguito ai maltrattamenti

  • Genitori amorevoli o privi di cuore?
    Svegliatevi! 1984 | 8 maggio
    • Genitori amorevoli o privi di cuore?

      ANCHE se il problema dei diritti dei genitori in merito all’assistenza medica dei figli si è verificato in diversi paesi, un caso successo in Italia merita particolare attenzione. È quello di Giuseppe e Consiglia Oneda, due genitori di Sarroch, una località nei pressi di Cagliari.

      Forse sapete qualcosa della loro triste vicenda, che ha fatto il giro del mondo. I mezzi di informazione di diversi paesi, compresa questa rivista,a ne hanno parlato assai diffusamente.

      Una malattia inesorabile

      Isabella, la figlioletta degli Oneda, era affetta da talassemia major, una temuta malattia ereditaria del sangue di cui non si conosce cura. È una malattia a decorso fatale. In alcuni casi la morte può essere ritardata di alcuni anni con le trasfusioni di sangue, ma gli specialisti ammettono che con esse non si guarisce. Un testo di medicina (Principles of Internal Medicine di Harrison, ediz. 1980) osserva: “I soggetti affetti da betatalassemia major hanno una probabilità di vita limitata. È raro che un soggetto affetto dalla forma più grave della malattia raggiunga l’età adulta”. Nei casi gravi, come quello di Isabella, la morte sopravviene spesso nei primi due o tre anni di vita. Che fareste se aveste un figlio affetto dalla stessa malattia di Isabella?

      Benché Giuseppe e Consiglia Oneda sapessero che la morte di Isabella era inevitabile, la portavano regolarmente a una clinica di Cagliari dove veniva sottoposta a periodiche trasfusioni di sangue, che potevano recarle un sollievo temporaneo, ma che presentavano anche problemi. Perché? Perché le trasfusioni provocano sovraccarico di ferro. Un’opera di ematologia (Clinical Hematology di Wintrobe, 1981) dice che ‘la maggioranza di coloro che sono affetti da talassemia major’ e che sono regolarmente trasfusi ‘muoiono per complicazioni di sovraccarico di ferro’. Questo testo di medicina ammette che “molti dei sussidi terapeutici descritti non sono pratici per applicazioni su vasta scala. Il costo attuale [di quello più efficace] per un singolo paziente si aggira sui 5.000 dollari [8 milioni e mezzo di lire] all’anno”.

      Alcuni medici presentano un quadro roseo delle possibilità di dare ai bambini talassemici una vita normale e prolungata. Questo non sorprende. Infatti, a chi piace ammettere che non c’è speranza, specie se si tratta di un medico a cui i malati si rivolgono in cerca di una speranza? Eppure sappiamo tutti che alcuni mali sono incurabili. L’anemia mediterranea (talassemia major) è uno di questi. Per cui vi sono opinioni contrastanti circa la “migliore” terapia e anche circa i risultati dei diversi trattamenti, benché nessuno offra la guarigione.

      Né la scienza medica può garantire che un bambino gravemente malato come lo era la piccola Isabella vivrà per molti anni anche se sottoposto a terapia trasfusionale. Le statistiche relative alla talassemia major rivelano la dura realtà e queste statistiche non si possono negare. La rivista Minerva Medica (72, 1981, pagine 662-670) riporta dati elaborati dall’ISTAT (l’Istituto Centrale di Statistica italiano) indicanti che, su 147 bambini morti nel 1976 per questa malattia, il 23,8 per cento sono deceduti entro i primi quattro anni di vita.

      Perché definire “assassini” degli amorevoli genitori?

      Nel precedente articolo abbiamo visto come una coppia italiana ha reso più felice la propria vita familiare studiando la Bibbia con i testimoni di Geova. Giuseppe e Consiglia Oneda avevano avuto un’esperienza simile, e per di più avevano appreso della promessa di Gesù che chi ha l’approvazione di Dio, “benché muoia, tornerà in vita”. (Giovanni 11:25) I medici non potevano assicurare a Isabella una discreta salute e la vita, ma il Figlio di Dio sì.

      Quando nell’estate del 1979 gli Oneda decisero di diventare testimoni di Geova, informarono i sanitari della II Clinica Pediatrica di Cagliari che non potevano più sottoporre Isabella alla terapia emotrasfusionale. Avevano appreso dalle Scritture che Dio comandò agli apostoli e a tutti i fedeli cristiani di ‘astenersi dal sangue’. (Atti 15:28, 29; confronta Genesi 9:3, 4). A questo punto i sanitari chiesero l’intervento del Tribunale dei Minorenni, che ingiunse ai genitori di lasciar trasfondere la figlia e affidò ai medici l’iniziativa di fare in modo che le trasfusioni di sangue fossero somministrate regolarmente.

      In quel periodo, mentre gli Oneda consultavano altri medici alla ricerca di cure alternative, la figlia veniva trasfusa coattivamente. Ma la malattia continuava il suo corso inesorabile con il progressivo degrado degli organi vitali. Nel marzo del 1980 i sanitari interruppero la terapia trasfusionale; per alcuni mesi non mandarono a prendere Isabella per trasfonderla. Perché non assolsero l’impegno che era stato affidato loro dal tribunale? Questo è un mistero, che i magistrati non hanno mai approfondito.

      Nei mesi successivi gli Oneda fecero tutto il possibile per la loro figlia diletta, procurandosi medicine che potevano somministrare a casa e, malgrado le loro limitate possibilità economiche, nutrendola coi cibi migliori che potevano trovare. Fino all’ultimo non cessarono di sperare, rivolgendosi perfino a specialisti in Germania, Francia e Svizzera.

      A fine giugno Isabella improvvisamente si aggravò, probabilmente a causa di un’infezione bronchiale, che, nei bambini talassemici, può avere un effetto letale. A questo punto Isabella fu accompagnata da un vigile urbano alla clinica, dove morì mentre le veniva praticata una trasfusione coatta.

      Riuscite a immaginare la tristezza e il vuoto che provarono gli Oneda quel 2 luglio, anche se sapevano che la loro bambina di due anni e mezzo aveva un male incurabile? Ma al loro dolore doveva aggiungersene un altro. Verso le 17 del 5 luglio 1980, mentre gli Oneda erano a casa di amici, due carabinieri andarono a prelevarli. Fecero appena in tempo a raccomandare Ester, la secondogenita di tre mesi, ai loro amici.

      Furono portati nel carcere, la casa circondariale di Cagliari chiamata “Il Buon Cammino” (che ironia!), una delle più tristi prigioni d’Italia, dove vennero separati e rinchiusi in celle di due diverse sezioni della prigione.

      Com’era possibile condannarli come assassini?

      Per venti mesi questa umile coppia rimase in prigione. Infine, il 10 marzo 1982, fu celebrato il processo e la Corte d’Assise di Cagliari emise il terribile verdetto: Giuseppe e Consiglia Oneda erano ritenuti colpevoli di omicidio volontario. La pena: quattordici anni di reclusione, più di quanti ne vengano dati a molti terroristi!

      Capirete perché questa sentenza suscitò vivo scalpore in tutto il paese e fu criticata anche da molti giuristi. Si fece ricorso in appello, ma il 13 dicembre 1982 la Corte d’Assise d’Appello di Cagliari confermò la precedente condanna. La pena venne però ridotta a nove anni, con la motivazione che agli Oneda veniva riconosciuta l’attenuante di ‘avere agito per motivi di particolare valore morale’.

      Rimaneva un’unica possibilità, un’ultima speranza nella giustizia umana, il ricorso alla Corte Suprema di Cassazione. L’8 luglio 1983 Giuseppe Oneda veniva posto in libertà provvisoria a causa delle sue precarie condizioni di salute determinate da tre anni di dure sofferenze nel carcere. Ma Consiglia rimaneva in carcere.

      La Suprema Corte di Cassazione

      Questa corte, che ha sede a Roma, è il supremo organo della giustizia italiana. Giudica sulle questioni di diritto in relazione alla corretta applicazione e interpretazione della legge, riesaminando le sentenze delle corti inferiori, quando ne sia fatto ricorso. Se riscontra l’inosservanza o l’erronea applicazione di una legge, la Corte Suprema annulla la precedente sentenza e rinvia l’esame della causa a un’altra corte. L’udienza per la causa degli Oneda fu fissata per il 13 dicembre 1983.

      Non accade di frequente che la Corte Suprema annulli una sentenza sottoposta al suo esame, e i due precedenti verdetti sfavorevoli avevano un peso determinante. Gli Oneda avevano dunque qualche speranza di essere considerati genitori amorevoli e premurosi quali essi erano?

      Colpo di scena!

      Permetteteci di descrivere ciò che è avvenuto quel giorno in Cassazione.

      Dopo l’introduzione illustrativa del caso da parte del giudice relatore, uno dei cinque giudici, ha preso la parola il pubblico ministero.

      Il suo intervento è particolarmente temuto dagli avvocati difensori perché è difficile annullare le sue richieste. E in questo caso si trattava di un magistrato molto esperto, che ha svolto il suo ruolo in numerosi processi celebri. Come si sarebbe espresso?

      Egli ha chiesto: “C’è stato mai un momento nei fatti di causa in cui la madre e il padre hanno mostrato di volere la morte della figlia?” “Ha risposto la sentenza di Cagliari a questa domanda in maniera appagante?” “Il Tribunale per i Minorenni, badate”, ha aggiunto, “lascia la bimba al padre e alla madre perché si rende conto che vogliono bene alla bambina e che la famiglia è l’ambiente più giusto”. Quindi ha osservato che ‘i giudici, gli esperti e i sociologi interessati erano i più indicati per stabilire che si trattava di genitori che si meritavano la potestà’.

      Che dire dell’asserzione che gli Oneda avessero deliberatamente causato la morte della loro bambina? Il pubblico ministero ha proseguito: “Non c’è nessun comportamento, nessun elemento probatorio efficace, sufficiente, intenso, che possa portare serenamente a parlare di dolo. . . . Ecco quindi signori della Corte che noi riteniamo che a queste domande i giudici [di Cagliari] non abbiano ben risposto”.

      Ecco quindi la sorprendente richiesta del pubblico ministero: “È per questo che vi chiedo che venga annullata la sentenza in ordine all’elemento dolo”.

      Nessun elemento che possa provare l’esistenza del dolo! Questo significa che gli Oneda non sono degli assassini! Perfino il pubblico ministero chiedeva l’annullamento del precedente giudizio!

      Hanno quindi parlato gli avvocati difensori, legali molto noti e stimati in tutta la nazione. Con grande efficacia e competenza hanno fatto rilevare le palesi contraddizioni in cui erano incorse le precedenti Corti e l’assurdità dei giudizi da esse emessi.

      Ascoltati gli avvocati difensori, la Corte si è ritirata in camera di consiglio, dopo di che il Presidente ha letto il dispositivo: annullata la sentenza con giudizio rinviato alla Corte d’Assise d’Appello di Roma.

      La motivazione della sentenza della Corte Suprema ha messo in luce tra l’altro le gravi mancanze della Clinica Pediatrica e delle altre strutture pubbliche: ‘Indubbiamente . . . vi è stata una grave carenza delle pubbliche strutture che dopo l’iniziale attivismo . . . si sono completamente disinteressate nonostante la espressa richiesta di un provvedimento che risolvesse, in via definitiva e permanente, il problema della professione ideologica degli imputati’. — Sentenza della Corte Suprema di Cassazione, pagina 30.

      Finalmente riuniti!

      Consiglia Oneda è stata rilasciata per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva, con obbligo di soggiorno in un piccolo centro in provincia di Cagliari. Dopo tre anni e mezzo di dure prove finalmente questa famiglia ha potuto riunirsi. Giuseppe e Consiglia hanno la gioia di essere di nuovo insieme per poter donare il loro affetto alla piccola Ester. Lasciamo ora che essi stessi narrino la loro vicenda:

      Una vicenda commovente

      Giuseppe: “Ci siamo sposati nel 1976 e dopo un anno ci è nata Isabella, la primogenita tanto desiderata. Poco tempo dopo la sua nascita ci siamo accorti che era malata. Era molto pallida e sofferente. All’età di sei mesi le venne diagnosticato il terribile male di cui sarebbe poi morta. È inutile dire quanto dolore provammo quando i medici ci comunicarono quella diagnosi infausta”.

      Consiglia: “Ci attaccammo ancora di più alla nostra bimba. Penso che ogni genitore reagisca in questo modo nei confronti di un figlio che soffre, indifeso e condannato a morte certa. Isabella venne subito curata presso la Clinica Pediatrica con trasfusioni di sangue. Tuttavia continuava a peggiorare. Ricordo che dopo un anno di trasfusioni aveva già una pancia enorme per l’ingrossamento del fegato e della milza. Quanto soffriva quando dovevano farle la trasfusione! Una volta ci volle un’ora ai medici per trovarle la vena, e la bimba strillava per il dolore”.

      Giuseppe: “In quel periodo così triste, lo studio della Bibbia ci fu di vero conforto. Fummo molto colpiti dalla promessa di Rivelazione 21:4, che presto Dio asciugherà le lacrime di dolore dagli occhi di coloro che soffrono ed eliminerà per sempre la morte”.

      Consiglia: “Questo significava per noi che avremmo potuto riavere Isabella sana insieme a noi mediante la risurrezione se anche fosse morta, ciò che purtroppo sembrava inevitabile. Quando poi apprendemmo dalle Sacre Scritture che Dio comanda di ‘astenersi dal sangue’ (Atti 15:20; 21:25), prendemmo una decisione . . .”

      Giuseppe: “. . . quella di attenerci ai princìpi biblici. Era per noi l’unica possibilità di vivere con Isabella risanata nel giorno in cui Dio potrà risuscitarla dai morti. Noi vedevamo che le trasfusioni non riuscivano ad arrestare la malattia. Sapevamo di numerosi bimbi che in Sardegna muoiono in tenera età a causa della stessa malattia di Isabella nonostante siano trasfusi. Sapevamo anche di genitori che dopo mesi di trasfusioni senza risultati preferivano curare a casa i figli con mezzi meno dolorosi e scioccanti”.

      Consiglia: “Come potevamo respingere l’unica prospettiva di riavere sana Isabella, una prospettiva basata sulla promessa di Dio? Da ciò che avevamo letto sui risultati di questa terapia, ci convincemmo che le trasfusioni non sono una buona cura. Apprendemmo che spesso causano danni mortali”.

      Giuseppe: “Quando comunicammo la nostra decisione ai medici successero i fatti che ormai sono noti”.

      Consiglia: “Isabella era molto sensibile, affettuosa e intelligente . . .”

      Giuseppe: “. . . aveva poco più di due anni e già stava imparando a conoscere molte cose dal libro Racconti biblici. Conosceva il nome di Dio, Geova. Era già in grado di riconoscere alcune figure e quando le chiedevamo cosa rappresentavano sapeva dare la risposta”.

      Consiglia: “Per una madre è un grande dolore dire a una figlia: ‘Non ti ho potuto dare un corpo sano per vivere’. In Ester rivedo Isabella. Il mio desiderio è di dare alla bambina sana anche l’affetto che avrei voluto continuare a dare a Isabella. Ora sono felice di essere nuovamente con la mia famiglia e con i fratelli cristiani che ci vogliono tanto bene. Tuttavia difficilmente dimenticherò i tre anni e mezzo trascorsi in prigione e il giorno in cui riuscii a impedire il suicidio a una compagna di cella. Anche se è stato un brutto periodo, questa esperienza mi ha aiutato a confidare sempre di più in Geova Dio”.

      Giuseppe: “Sopportare per tre anni la violenza, l’omosessualità e la corruzione dei compagni di cella che attentavano alla mia integrità è stata per me una prova molto grande. La mia più grande preoccupazione era di non cedere per non perdere la possibilità di vivere una vita felice nel nuovo ordine che Dio porterà. In certi momenti mi sono sentito disperato, come quando la Corte d’Appello ha riconfermato la condanna; in certi momenti avrei preferito non essere mai nato. Ma mi hanno tanto confortato Geova Dio e la fervida preghiera. Ringrazio anche che abbia fatto includere nella Bibbia il libro di Giobbe perché sento che la sua esperienza è così simile alla mia. Naturalmente Dio esaudì Giobbe dandogli la forza di sopportare la prova e fornendogli ‘la via d’uscita’. — I Corinti 10:13.

      “Anche nei momenti più tristi nel buio tunnel della prigione Geova è stato il mio costante riferimento. (I Giovanni 1:5) Sono stato molto incoraggiato anche dai conservi cristiani dai quali ho ricevuto innumerevoli lettere da vari paesi. Il loro amorevole interessamento è stato la conferma che Dio non ci abbandonerà mai. Scritture come quelle di Romani 1:12 e Marco 13:13 mi hanno aiutato a perseverare nella prova sino in fondo. Sono uscito dal carcere ‘abbattuto’, come dice l’apostolo Paolo, ‘ma non distrutto’”. — II Corinti 4:9.

      Consiglia: “Non so se Giuseppe ed io saremo assolti con formula piena quando la vicenda giudiziaria sarà conclusa. Comunque siamo grati a tutti coloro che hanno contribuito e contribuiranno ancora a toglierci il marchio di assassini di nostra figlia, la più terribile accusa per un genitore”.

      Giuseppe: “Siamo lieti di non odiare nessuno per ciò che abbiamo dovuto sopportare. L’amore verso Dio e verso il prossimo ci aiuterà certamente ad apprezzare le tante cose belle che abbiamo: una famiglia, dei fratelli spirituali, una fede e una speranza”.

      Forse siete d’accordo che questa umile coppia di Sarroch è stata ingiustamente accusata e probabilmente siete solidali con loro per le sofferenze che hanno dovuto subire. Tuttavia il soggetto della responsabilità dei genitori per quanto riguarda le cure sanitarie dei figli farà sorgere in voi delle domande. Questo è senza dubbio un problema che può interessare direttamente sia noi che i nostri parenti e amici.

      [Nota in calce]

      a Svegliatevi! dell’8 novembre 1982 e del 22 maggio 1983.

      [Riquadro a pagina 10]

      Che faranno i genitori di “Baby Jane Doe”?

      Genitori amorevoli devono prendere a volte penose decisioni riguardanti la salute dei figli. Mettetevi nei panni dei genitori della bambina che i giornali hanno chiamato “Baby Jane Doe”. Il New York Times (1º novembre 1983) riferiva:

      “Tre settimane fa una coppia di Long Island ha avuto una bambina che non era sana. Baby Jane Doe ha il cranio più piccolo del normale, è affetta da spina bifida, idrocefalo o liquido in eccesso nel cervello e altre deformazioni. Anche se fosse operata, rimarrebbe gravemente ritardata e costretta a letto per tutta la vita, che nel suo caso potrebbe arrivare a vent’anni. Consultati medici, assistenti sociali ed ecclesiastici, i genitori di Baby Jane hanno fatto una penosa scelta: rinunciare all’operazione e lasciare che la natura faccia il suo corso”.

      Alcuni osservatori non erano d’accordo e sono ricorsi al tribunale. Ma quando il caso è giunto davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti, questa si è rifiutata di esaminarlo. Casi come quello di Baby Jane Doe illustrano gli angosciosi problemi che anche genitori amorevoli possono dover affrontare.

      [Immagine a pagina 9]

      Consiglia Oneda mentre esce di prigione e trova ad attenderla la figlia Ester

  • Un “no” a una terapia medica è un “no” alla vita?
    Svegliatevi! 1984 | 8 maggio
    • Un “no” a una terapia medica è un “no” alla vita?

      CHIEDETEVI: “Ho il diritto di decidere se e quale terapia medica accettare?” È una domanda su cui fate bene a riflettere, perché secondo alcuni chi rifiuta una terapia raccomandata dai medici mostra di non apprezzare la vita. Inoltre si può chiedere: quei genitori che avendo un figlio malato rifiutano, dopo averne valutato i rischi, una certa terapia raccomandata dai medici sono da considerarsi genitori privi d’amore?

      Alcuni che si esprimono al riguardo in maniera dogmatica riducono spesso la questione alla seguente equazione: “Dire ‘no’ a quella terapia è come dire ‘no’ alla vita di un bambino”. Ma è facile vedere che questa impostazione del problema è riduttiva e superficiale. Fa leva sul sentimentalismo, mentre non tiene conto (1) della coscienza e dell’etica, (2) dei diritti dell’individuo e della famiglia, e (3) degli aspetti medici e giuridici di un problema che richiama l’attenzione in tutto il mondo.

      La coscienza è una componente intima e inviolabile di ogni individuo mentalmente sano e dotato di senso morale. Il noto cardinale cattolico John Henry Newman affermò ‘che l’obbedienza alla coscienza costituisce la via per raggiungere la luce’. Perciò quando i criminali di guerra nazisti dissero che avevano solo ubbidito agli ordini, le persone rette di ogni parte del mondo risposero che avrebbero dovuto seguire la coscienza indipendentemente dagli “ordini”. Analogamente, nel gennaio del 1982, papa Giovanni Paolo II ‘elevò la voce a Dio perché non fossero soffocate le coscienze’. Disse che violentare la coscienza di qualcuno “è il più doloroso colpo inferto alla dignità umana. È, in un certo senso, peggiore dell’infliggere la morte fisica, dell’uccidere”.

      Forse questi commenti coincidono con quello che pensate anche voi, e cioè che quando si devono prendere decisioni che riguardano la salute, la coscienza dovrebbe avere un ruolo determinante.

      Coscienza e problemi di carattere medico

      Ecco un esempio: Qualunque fede professiate, probabilmente sapete che la dottrina cattolica condanna l’aborto procurato anche quando vi si ricorre perché altrimenti morranno sia la madre che il bambino. Immaginate quale problema questo pone al medico cattolico in un paese dove l’aborto è legale, come in Italia, dove è stato legalizzato con la legge del 22 maggio 1978, n. 194. Questa legge prevede il diritto all’obiezione di coscienza nei confronti dell’aborto da parte del personale sanitario. Tuttavia l’articolo 9 di questa legge precisa che “l’obiezione di coscienza non può essere invocata” dal medico quando il suo intervento “è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”. Cosa deve dunque fare un medico cattolico sincero e praticante?

      Se non ci fosse nessun altro medico ed egli facesse tutto il possibile tranne che andare contro la sua coscienza, lo accuseremmo di assassinio? Piuttosto, costringere il medico ad andare contro la sua coscienza, sia pure dietro le insistenze di una donna o delle autorità, ‘sarebbe peggiore dell’uccidere’. Questo illustra come i dettami della coscienza possono influire sulle decisioni di carattere medico.

      I genitori, i figli e la vita

      Possiamo capire chiaramente questo fatto anche prendendo in considerazione il comportamento dei primi cristiani. Probabilmente sapete che rifiutavano di bruciare incenso davanti alla statua dell’imperatore, considerandolo un gesto idolatrico. Ma il loro atteggiamento religioso e dettato dalla coscienza influiva direttamente sulla loro salute e sulla loro vita, nonché su quella dei loro figli. Perché? Costretti a scegliere — ‘Se non offri l’incenso la tua famiglia morirà nell’arena’ — i cristiani non rinnegavano le proprie convinzioni. Rimanevano leali alla loro fede anche quando era pericoloso, o fatale, per loro e per i loro figli.

      I cristiani venivano messi alla prova anche riguardo al sangue, dato che la Bibbia comandava loro di ‘astenersi dal sangue’. (Atti 15:20) Tertulliano, teologo latino del III secolo, scrive che gli epilettici bevevano il sangue che sgorgava dalle ferite dei gladiatori uccisi, convinti che ciò li facesse guarire. I cristiani avrebbero preso sangue per questa ragione di carattere ‘medico’? Assolutamente no. Tertulliano aggiunge che ‘i cristiani non mangiavano neppure il sangue degli animali’. Anzi, per vedere se qualcuno era veramente cristiano, le autorità romane cercavano di costringerlo a mangiare sanguinacci. Sapevano che i veri cristiani non li avrebbero mangiati, neppure sotto pena di morte. Vale la pena di notare questo fatto dato che anche i cristiani testimoni di Geova d’oggi rifiutano il sangue.

      Ora potremmo chiedere: Quei primi cristiani avevano forse poco rispetto per la vita o volevano fare i martiri? No, erano le autorità romane che mettevano a morte loro e i loro figli. E non rispettiamo noi la memoria di quei devoti cristiani i quali sapevano che andare contro coscienza sarebbe stato peggiore della morte, come ha detto di recente il papa?

      Se qualcuno pensa che le decisioni di carattere medico siano tutt’altra cosa, noti ciò che scrisse il dottor D. N. Goldstein:

      “I medici che prendono questa posizione [che impongono cioè con la forza un trattamento a coloro che lo rifiutano] negano il sacrificio di tutti i martiri che hanno glorificato la storia con la loro suprema devozione ai princìpi anche a costo della propria vita. Infatti, quei pazienti che preferiscono la morte certa anziché violare uno scrupolo religioso sono della stessa tempra di quelli che pagarono con la propria vita . . . anziché accettare il battesimo [forzato]. . . . Nessun medico dovrebbe invocare l’assistenza legale per salvare un corpo distruggendo un’anima”. — The Wisconsin Medical Journal.

      Scegliere la vera vita

      La maggioranza di noi è d’accordo che per “vita” si intende non la pura esistenza biologica, ma un’esistenza incentrata su ideali o valori (in campo politico, religioso, scientifico, artistico, ecc.) senza i quali la vita non è degna di essere vissuta.

      A questo proposito è emblematico il caso dello statista italiano Aldo Moro, barbaramente assassinato nel 1978 allorché le autorità non acconsentirono alle richieste dei terroristi. È chiaro che a volte vengono sacrificate delle vite in nome di interessi superiori.

      In Italia, coloro che criticano i testimoni di Geova per la loro lealtà al Creatore fanno appello all’ordinamento giuridico italiano dichiarando che in esso viene affermato un unico diritto assoluto, il diritto alla vita, mentre tutti gli altri sarebbero subordinati a quello, compreso il diritto alla libertà di religione e di coscienza. Non tengono conto del fatto che i princìpi giuridici non sempre coincidono con la morale religiosa né del fatto che la stessa Costituzione italiana (art. 52) prevede il sacrificio della vita per “la difesa della Patria”. In questo caso la vita non è più un diritto assoluto.

      È pertanto evidente che la persona retta potrebbe decidere di rischiare la propria esistenza biologica piuttosto che venir meno ai suoi ideali. Con questo fa una scelta a favore della vera vita, della vita intesa nel suo significato più pieno. Questo vale senz’altro per gli ideali cristiani.

      Per i cristiani la vita umana è sacra, un prezioso dono di Dio. Il discepolo di Cristo, però, considera la promessa della vita eterna, della “vera vita”, una realtà; essa rappresenta per lui il bene più prezioso, la sua meta più ambita. (I Timoteo 6:19) Per questa ragione si può dire che il cristiano, quando è costretto a rinunciare alla vita presente per conservare la speranza della vita eterna, fa in modo ancor più significativo una scelta per la vita. Questa scala di valori rispecchia il pensiero dello stesso Gesù, che disse: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà”. — Luca 9:24, versione cattolica della CEI.

      Si prenda inoltre il caso dell’apostolo Paolo, uomo intelligente e colto. Subì battiture e si trovò in situazioni in cui la sua vita era minacciata, eppure disse: “Ho accettato la perdita di tutte le cose e le considero come tanti rifiuti, affinché guadagni Cristo . . . per vedere se in qualche modo possa conseguire la risurrezione dai morti che ha luogo più presto”. — Filippesi 3:8-11.

      Possiamo essere certi che Paolo non avrebbe mai fatto qualcosa che sapeva essere condannato da Dio. Senza dubbio non avrebbe rischiato di perdere la “vera vita”, che per lui sarebbe stata la vita celeste, solo per prolungare di pochi anni la sua vita umana o per star meglio in salute. Ma pensate:

      Oggi ci sono milioni di persone assidue alla chiesa che attendono di andare in cielo; forse anche voi lo sperate. Se una persona gravemente malata che nutre la speranza della vita eterna rifiutasse una terapia che a suo avviso Dio vieta, certo sarebbe ingiusto accusarla di rifiutare la vita. È vissuta sulla terra per anni e forse guarirà per continuare a vivere qui. Ma in qualsiasi caso, e anche se i suoi medici non fossero credenti, sarebbe ragionevole che nel prendere decisioni relative alla salute tenesse conto della vita duratura in cui spera.

      I sanitari di rado prendono in considerazione questo aspetto della questione quando raccomandano un trattamento medico. Ma c’è un aspetto essenziale su cui dovrebbero informarvi. Lo si potrebbe definire il “rapporto rischi/benefìci”. Avete verso voi stessi e verso i vostri cari il dovere di approfondire questo aspetto, poiché potreste essere aiutati a prendere una decisione saggia e a capire quanto è stato assennato il comportamento di altri.

      [Riquadro a pagina 13]

      Le trasfusioni coatte violano la libertà religiosa

      A un convegno di giuristi tenutosi a Roma il 1º dicembre 1982 col patrocinio del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Diana Vincenzi Amato, professore associato di “Ordinamento della Famiglia” presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma, ha detto: “Se è vero che esser costretti a subire un trattamento vietato dalla propria fede non costituisce per il fedele violazione del precetto, viola però la libertà religiosa (o la dignità della persona, se si preferisce) un atteggiamento così irriguardoso di altri verso le proprie credenze: si nega, nella sostanza, che il Testimone possa avere una sua coerenza, che va fino alla morte, o si attribuisce a questa coerenza un disvalore (diversamente da quanto si è fatto, ad es., nei confronti di Maria Goretti, morta, e santificata, per aver voluto preservare la sua verginità)”. — Dagli Atti del Convegno Trattamenti sanitari fra libertà e doverosità, Jovene Ed., Napoli, 1983.

      [Riquadro a pagina 14]

      Il medico deve rispettare la volontà del paziente

      Parlando del “principio del consenso informato” da parte del paziente quando si tratta di trattamenti medici a esclusivo vantaggio della sua salute, il professor Ferrando Mantovani, giurista e ordinario di diritto penale presso l’Università di Firenze, ha affermato: “Di fronte al rifiuto delle cure [nel caso dei Testimoni il solo rifiuto delle emoterapie], che non sia frutto di una motivazione irrazionale, . . . ma sia un rifiuto autentico, cioè consapevole, ponderato, fermo, perché fondato su una motivazione razionale e frutto di una precisa scelta (riguardante, ad es., motivazioni religiose o la programmazione della propria vita residua), il medico deve fermarsi. E nessuno, autorità giudiziaria ed amministrativa, può surrogare col proprio consenso la mancanza di consenso del soggetto”. — Dagli Atti del Convegno Trattamenti Sanitari fra libertà e doverosità, Jovene Ed., Napoli, 1983.

  • Il vostro diritto di valutare i rischi e i benefìci
    Svegliatevi! 1984 | 8 maggio
    • Il vostro diritto di valutare i rischi e i benefìci

      IL VOSTRO corpo e la vostra vita appartengono a voi. Questa può sembrare una cosa ovvia. Ma da essa discende un vostro diritto fondamentale che ha diretta relazione con i trattamenti medici. Si tratta del diritto di scegliere a quale trattamento sottoporvi. Molti esercitano questo diritto consultando più medici e poi prendendo una decisione. Altri rifiutano qualche particolare terapia; un’indagine condotta nel 1983 dal dottor Loren H. Roth ha rivelato che ‘il 20% dei ricoverati in ospedale rifiutano il trattamento’.

      Ma nel caso foste malati o feriti, come potreste prendere una decisione? Se non siete medici, come fate a sapere qual è la terapia migliore? Di solito ci si rivolge a degli esperti, a medici che hanno una speciale istruzione ed esperienza in quel campo e che sono dediti ad aiutare il prossimo. Sia medico che paziente dovrebbero tener conto del “rapporto rischi/benefìci”. Di che si tratta?

      Supponiamo che vi faccia male un ginocchio. Un medico raccomanda l’intervento. Ma quali rischi comportano l’anestesia e l’intervento e quali rischi ci sono per il funzionamento dell’arto in seguito? D’altro canto, quali sono i possibili benefìci e quali le probabilità di conseguirli nel vostro caso? Una volta che il quadro dei rischi e dei benefìci è chiaro, avete il diritto di decidere, cioè di dare il vostro consenso informato.

      Applichiamo il “rapporto rischi/benefìci” a un caso veramente accaduto, quello di Giuseppe e Consiglia Oneda, menzionato in precedenza.

      La loro figlia Isabella era molto malata e i medici raccomandavano (anzi, esigevano) che venisse sottoposta a periodiche trasfusioni di sangue. Gli amorevoli genitori erano contrari soprattutto perché erano a conoscenza della legge biblica. Ma cosa c’entra in tutto questo il “rapporto rischi/benefìci”?

      Oggigiorno, parlando dell’impiego di sangue in medicina, la maggioranza delle persone pensa alla trasfusione, terapia ritenuta innocua ed efficace. Ma non dimentichiamo che nel XVII secolo una pratica medica estremamente popolare era quella del salasso, a cui venivano sottoposti sia i vecchi che i giovani, spesso con conseguenze letali. Cosa sarebbe accaduto in quei giorni se un genitore si fosse rifiutato di far salassare il proprio bambino?

      L’era dei salassi è tramontata. Ma ora la scienza medica ha adottato le trasfusioni di sangue. Sebbene i medici abbiano fatto molto, devono ammettere che le trasfusioni sono rischiose. Il dottor Joseph Bove (presidente del comitato per le malattie trasmesse con le trasfusioni, istituito presso l’Associazione americana delle banche del sangue) ha detto recentemente che fu nel 1943 che si cominciò a parlare per la prima volta di epatite contratta dal sangue. Quindi ha aggiunto:

      “Ora che sono passati circa quarant’anni, la trasmissione dell’epatite attraverso almeno quattro diversi virus trasportati dal sangue è un rischio riconosciuto della trasfusione, e sono elencati molteplici altri agenti infettivi trasmissibili per mezzo del sangue e dei suoi derivati”. — The New England Journal of Medicine, 12 gennaio 1984.

      Dovendo valutare questioni relative alla salute e alla vita, vostra e dei vostri familiari, quanti rischi comportano queste malattie? Neppure i medici possono dirlo, poiché queste malattie possono provocare la morte molto tempo dopo che la trasfusione è stata somministrata. Si prenda ad esempio solo un tipo di epatite (B) che non sempre le analisi riescono a rivelare. Una notizia del 10 gennaio 1984 diceva:

      “Nel 1982 circa 200.000 americani hanno contratto l’epatite B, secondo il Centro per il Controllo delle Malattie (CDC) di Atlanta; 15.000 persone sono state ricoverate in ospedale per la fase acuta della malattia, e 112 sono morte. Altre 4.000 persone sono morte per complicazioni attribuite a questa malattia”.

      Quanti altri sono morti in Italia, Germania, Giappone e altrove, per epatite trasmessa dal sangue? In effetti, i decessi provocati dalle trasfusioni sono un grave rischio da soppesare.

      C’è poi da tener presente il fatto che, per quanto riguarda il “rapporto rischi/benefìci” delle trasfusioni, il rischio va aumentando. “Con il progredire delle nostre conoscenze”, ha affermato nel maggio 1982 il professor Giorgio Veneroni (di Milano), “si rivelano sempre più numerosi i rischi della trasfusione omologa”. Una scoperta che ha messo in allarme i medici riguarda l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), un’affezione con un’elevatissima percentuale di decessi. Il dottor Joseph Bove ha inoltre detto:

      “Oltre ai benefìci previsti, i medici devono soppesare i rischi che la trasfusione comporta per chi la riceve. Questo concetto non è nuovo, ma è diventato più pressante, dato che non si può più assicurare a un paziente preoccupato che se accetta una trasfusione non contrarrà l’AIDS”. — The New England Journal of Medicine, 12 gennaio 1984.

      Nel 1978 i medici non parlarono agli Oneda di questo rischio; allora non era noto. Ma ora lo è. La conoscenza degli accresciuti rischi delle trasfusioni sanguigne non dovrebbe rendere meno soggetta a critiche la decisione degli Oneda?

      I genitori devono soppesare rischi e benefìci

      Come persone adulte avete diritto di soppesare i rischi e i benefìci sia delle trasfusioni sanguigne che di qualsiasi altra terapia. “Ogni adulto capace d’agire è considerato padrone del proprio corpo. Può trattarlo saggiamente o stoltamente. Può anche rifiutare un trattamento atto a salvargli la vita, e nessuno ha diritto di interferire. Non certo lo stato”. (Dottor Willard Gaylin, presidente dell’Hastings Center) Ma chi valuterà i rischi e i benefìci per conto di un bambino?

      I genitori amorevoli, è la risposta dettata dall’esperienza. Ad esempio, se vostro figlio avesse disturbi alle tonsille e vi fosse suggerito di sottoporlo a un intervento, non vorreste sapere quali sono i vantaggi e i rischi di una tonsillectomia? Potreste poi confrontarli con i rischi e i benefìci della terapia antibiotica. Dopo di che voi stessi potreste giungere a una conclusione basata sui fatti, come hanno fatto tanti altri genitori.

      Consideriamo comunque una situazione più grave. I medici danno ai genitori la triste notizia che il loro figlio diletto è affetto da una forma di cancro praticamente incurabile. Dicono che si potrebbe tentare con la chemioterapia, ma i farmaci procurerebbero molte sofferenze al bambino e le probabilità di arrestare il male in questo stadio sarebbero quasi zero. Non avrebbero i genitori il diritto di prendere la decisione finale?

      ‘Sì’, è la conclusione che si trarrebbe da un articolo scritto dal dottor Terrence F. Ackerman.a Egli ammette che sono state ottenute molte ordinanze dai tribunali, col pretesto che lo stato deve proteggere i minori. Tuttavia, in molteplici casi un famoso istituto per la cura dei tumori (Anderson Hospital and Tumor Institute) ha seguito ‘la norma di non chiedere al tribunale autorizzazioni a effettuare trasfusioni’. Perché? In parte perché “ognuno di questi bambini era affetto da una malattia potenzialmente letale, e non eravamo in grado di prevedere un esito fausto”. (Non era questo anche il caso di Isabella Oneda?).

      Ackerman ha ribadito l’importanza di “rispettare l’autorità dei genitori di allevare i figli nel modo che ritengono più opportuno”. Il suo ragionamento è questo: “Un assioma della pratica pediatrica è che il medico ha il dovere morale di sostenere i genitori e la famiglia. Quando viene diagnosticata a un bambino una malattia potenzialmente letale, i genitori vengono a trovarsi sotto enorme stress. Se devono anche opporsi a quella che considerano una trasgressione della legge di Dio, la loro capacità di assolvere i loro compiti è ulteriormente compromessa. Inoltre, il benessere della famiglia influisce direttamente sul benessere del bambino malato”.

      Metodiche alternative

      Per evitare i molteplici rischi della trasfusione, i ricercatori hanno escogitato tecniche chirurgiche idonee a limitare il ricorso alle trasfusioni. Anzi, la presa di posizione dei Testimoni riguardo al sangue ha incoraggiato le ricerche in tal senso. La Gazzetta del Sud del 16 novembre 1983 parla di un rapporto presentato a un congresso dell’Associazione americana per il cuore: Un centinaio di bambini di età compresa fra i tre mesi e gli otto anni sono stati operati al cuore senza trasfusioni di sangue. Si è utilizzata una tecnica consistente nell’abbassare la temperatura corporea del paziente e nel diluire il sangue con acqua contenente minerali e sostanze nutritive. Ma non è stato somministrato sangue! Inizialmente questa tecnica è stata impiegata solo su figli di testimoni di Geova. Ma osservando che i bambini Testimoni uscivano da questi interventi in condizioni nettamente migliori rispetto a quelli operati in modo convenzionale, i chirurghi hanno deciso di estendere la metodica a tutti i loro pazienti.

      A una riunione presieduta dal ministro italiano della Sanità e tenuta a Roma presso l’Istituto superiore di sanità sono stati evidenziati il ricorso eccessivo alle trasfusioni di sangue negli ospedali e la necessità di “informare anestesisti e chirurghi che la trasfusione di sangue omologo può trasmettere molteplici malattie. . . . In chirurgia infatti l’ideale non è dare sangue al malato, ma al contrario produrgli una lieve anemia che riduce il rischio di determinate complicazioni postoperatorie”. — Giornale di Sicilia, 2 dicembre 1983.

      È vero che esistono casi in cui i medici ritengono indispensabili le trasfusioni. Si può comunque sostenere obiettivamente che: primo, perfino molti medici ammettono che i casi in cui ritengono che la trasfusione sia indispensabile sono molto rari; secondo, c’è la radicata (dannosa) abitudine di praticarla nonostante non ve ne sia la necessità; terzo, i notevoli rischi delle trasfusioni non consentono di essere dogmatici circa il relativo “rapporto rischi/benefìci”. Pertanto alcuni ospedali riferiscono che anche molti che non sono testimoni di Geova chiedono di non somministrare loro trasfusioni di sangue.

      L’aspetto giuridico

      È inoltre doveroso approfondire un altro aspetto della questione. È mai capitato in Italia che un magistrato ordinasse a un medico di somministrare una trasfusione di sangue non necessaria? Sì, è successo molte volte, ed è qualcosa che ha causato tante sofferenze.

      Dai magistrati non si richiede una specifica competenza in campo sanitario. Per cui quando un medico si rivolge loro per chiedere l’autorizzazione a trasfondere, essi, quasi automaticamente, sono portati a rilasciare l’autorizzazione richiesta, invocando quello che la legge penale italiana (art. 54) definisce “stato di necessità”. Con quale risultato?

      Ecco un esempio rappresentativo: Rosario e Rita Piarullo, di Foggia, avevano una bambina di tre anni, Sara, affetta da favismo, una anemia emolitica provocata dall’ingestione di fave. Quando i genitori portarono la piccola all’ospedale del posto, i medici prescrissero immediatamente una trasfusione di sangue. Ma non volendo che la loro bambina fosse sottoposta a tale terapia, i genitori la fecero dimettere dall’ospedale e l’affidarono immediatamente alle cure di un ematologo della zona. La bimba stava già bene quando un magistrato presso il tribunale di Foggia, a cui si erano rivolti i sanitari dell’ospedale, spiccò un mandato di cattura a seguito del quale i due genitori Testimoni venivano arrestati e portati in carcere. L’accusa era nientemeno che quella di tentato omicidio! La madre fu posta quasi subito in libertà provvisoria, ma il padre rimase in prigione per circa due mesi.

      Intanto la bimba veniva ricoverata a seguito dell’ingiunzione giudiziaria e, poiché per i medici il sangue era indispensabile, veniva sottoposta a trasfusione. Ma, come vedremo, ciò non era assolutamente necessario!

      I Piarullo vennero assolti in istruttoria. Perché? La sentenza istruttoria dichiara che “la bambina non versava in concreto ed immediato pericolo di vita”, e che “il presidio terapeutico della trasfusione sanguigna, se è quello più diffusamente praticato, non è l’unico”.

      È evidente che la vita della piccola Sara non era mai stata in pericolo e che non c’era stato nessun conflitto fra due diritti che giustificasse l’intervento del tribunale. Dalla sentenza del tribunale si rileva comunque la soppressione di una delle più alte forme di libertà, quella di coscienza, garantita dalla Costituzione.

      Altrettanto può dirsi del caso Oneda, e cioè che questo conflitto di diritti non esisteva e non è stato provato. Il professor Mauro Barni, medico legale di fama mondiale e presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, ha dichiarato: “Ho accolto la sentenza della Cassazione con profonda soddisfazione, perché sul piano strettamente medico-legale esistono a mio avviso dei forti dubbi sull’esistenza del nesso di causalità tra la morte di Isabella e le mancate trasfusioni”. — Corriere della Sera, 15 dicembre 1983.

      Speranza per il futuro

      È positivo il fatto che venga dato sempre più risalto ai diritti e alla dignità dell’individuo. Gli stati illuminati, come quello italiano, operano per assicurare la più ampia libertà possibile, inclusa la libertà di prendere, con cognizione di causa, decisioni relative alla salute. A questo proposito il dottor Baldini, specialista in medicina legale e delle assicurazioni, ha scritto su Rassegna clinicoscientifica (N. 53, 1977): “Il chirurgo quindi che ritiene necessario un intervento e trova irremovibile opposizione nel paziente o nei congiunti non ha il diritto di intervenire arbitrariamente anche se ciò rappresenta un reale vantaggio per il malato poiché nel diritto attuale non esiste alcuna norma che legittimi l’intervento arbitrario del medico”.

      Questo vale anche per i minori. Se siete genitori dovreste interessarvi attivamente delle decisioni che riguardano la salute dei vostri figli. Un consiglio di giudici degli Stati Uniti ha scritto in “Indicazioni per il giudice nelle ordinanze mediche relative ai fanciulli”:

      “Se c’è la possibilità di scelta — qualora, per esempio, il medico raccomandi un indirizzo che offre 80 probabilità di successo su cento, ma che i genitori disapprovano, e i genitori non obiettino a un indirizzo che offre solo 40 probabilità di successo su cento — il medico deve seguire la cura più rischiosa dal punto di vista medico ma ineccepibile per i genitori”.

      Consigli di questo genere possono essere molto significativi se riconoscete il vostro diritto — anzi, il vostro dovere — di chiedere e ricevere accurate informazioni nelle questioni mediche. Spesso è opportuno consultare un altro medico. Chiedete quali sono i vari modi per curare un certo disturbo, e i potenziali rischi e benefìci di ciascuna terapia. Quindi, conoscendo il “rapporto rischi/benefìci”, potete prendere una decisione con cognizione di causa. La legge stabilisce che avete questo diritto. Dio e la vostra coscienza dicono che avete questo obbligo.

      I casi come quelli menzionati in questa serie di articoli diverranno meno frequenti se si prenderà coscienza di un fatto, cioè che l’obiezione religiosa dei Testimoni alle trasfusioni di sangue, lungi dall’essere priva di fondamento scientifico, si dimostra sempre più in armonia con la nuova cultura medica che tende a sostituire le emoterapie, in vista della loro pericolosità, con altre metodiche.

      La Costituzione italiana (art. 32, 2º comma) garantisce a ogni individuo il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari indesiderati. Per quanto riguarda i minorenni, il Codice Civile (art. 336) prevede già che il Tribunale minorile, prima di sottrarre il figlio ai genitori, li consulti e assuma informazioni. Allora, perché non interpellare in questi casi anche i medici di fiducia dei genitori per accertare l’effettiva necessità delle trasfusioni?

      Gli argomenti trattati non riguardano esclusivamente i testimoni di Geova. Sono in gioco alcuni fondamentali diritti di ogni cittadino, quali il rispetto della dignità della persona umana e la libertà di coscienza. Questi diritti non sempre sono garantiti. Ne sono una prova le varie iniziative in corso in diversi paesi per tutelare i diritti dei pazienti.

      I testimoni di Geova sperano che una maggiore comprensione di questo problema si rifletta vantaggiosamente nei confronti di tutti.

      [Nota in calce]

      a “The Limits of Beneficence: Jehovah’s Witnesses & Childhood Cancer”, Hastings Center Report, agosto 1980.

      [Riquadro a pagina 16]

      Fa paura a un pediatra

      Il professor James Oleske ha ammesso di recente:

      “Quello che mi spaventa come pediatra e immunologo . . . è che siamo ancora nell’allarmante periodo in cui sono state somministrate a bambini prematuri un gran numero di trasfusioni sanguigne prima che venissimo a conoscenza dell’AIDS . . . Se alla fine degli anni settanta e al principio degli ottanta le nostre scorte di sangue erano effettivamente contaminate dall’agente dell’AIDS, allora un considerevole numero di bambini prematuri potrebbero essere stati esposti [al contagio] . . . Il guaio è che non esiste un semplice mezzo di indagine per scoprire l’AIDS, e senza questo esame diagnostico non c’è veramente nessun modo per sapere chi forse ce l’ha in incubazione ma si sente bene e può donare sangue”. — Data Centrum, gennaio 1984.

      [Riquadro a pagina 19]

      La Costituzione italiana tutela la libertà del paziente

      L’art. 32, 2º comma, della Costituzione italiana sancisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

      Quale significato ha la suddetta norma in riferimento alle emotrasfusioni? Il professor Vezio Crisafulli, eminente giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale, ha scritto: “In mancanza di una legge che lo renda obbligatorio, un trattamento sanitario (nella specie, emotrasfusionale) non può, dunque, essere praticato, se non con il consenso del paziente. . . . La norma costituzionale vieta — senza il consenso del paziente — qualsiasi intervento sanitario, anche se dal punto di vista fisico non possa prevedibilmente derivarne pregiudizio alcuno. . . . Nessun atto atipico ed estemporaneo di una qualsiasi autorità giudiziaria o amministrativa sarebbe idonea a tener luogo della assenza di imposizione legislativa o di valido consenso”. — Dalla rivista Diritto e Società, n. 3, 1982.

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