Viva con l’aiuto del rene artificiale!
“LE RESTANO dai 10 ai 15 anni di vita”. Questa fu la triste prospettiva che i medici mi presentarono nel 1965. Ma non fu veramente una sorpresa. Soffrivo di reni da quasi dieci anni. Si trattava di un disturbo che era andato progressivamente peggiorando finché da ultimo mi era venuta un’insufficienza renale. Dosi massicce di antibiotici alleviavano il male, ma i medici erano tutt’altro che ottimisti riguardo al mio futuro.
Nonostante le terribili previsioni decisi di usare i miei “ultimi” anni nel servizio di Dio. Mio marito Bill era sorvegliante viaggiante dei testimoni di Geova e a quell’epoca sovrintendeva a una vasta zona o distretto. Malgrado la salute cagionevole, desideravo continuare ad accompagnarlo, ciò che feci nei successivi dieci anni. Ma nel 1975 i miei reni smisero completamente di funzionare. A quest’epoca Bill sovrintendeva a un gruppo più piccolo di congregazioni, una circoscrizione, a Sheffield, città famosa per le sue acciaierie. Fortunatamente Sheffield è rinomata anche per le ricerche sui reni. Così quando mi sentii troppo male per affrontare il viaggio di 260 chilometri in ambulanza per essere ricoverata in un ospedale di Londra, lo specialista in malattie renali di Sheffield acconsentì a prendermi in cura.
Quando arrivai all’ospedale, si erano accumulate talmente tante scorie nel mio corpo che vomitavo ininterrottamente. Per ovviare a ciò, mi infilarono attraverso le narici dei tubicini nello stomaco, estraendo in questo modo parte dei veleni. Il procedimento venne ripetuto ogni mezz’ora circa per giorni. Quindi fui sottoposta alla dialisi peritoneale. Dopo avermi somministrato un anestetico locale, i medici mi infilarono un tubicino di plastica nella parte inferiore dell’addome. Poi per mezzo di un dispositivo a forma di Y, il tubicino fu collegato a due sacchetti di dialisato appesi a un supporto. Il funzionamento era semplice. Per gravità il liquido affluiva nel mio addome, dove rimaneva 20 minuti assorbendo le impurità presenti nel sangue. Quindi i due sacchetti venivano abbassati fino a terra e il liquido defluiva. Questo processo veniva ripetuto per 48 ore, e l’intero trattamento doveva essere ripetuto ogni settimana. La perdita di liquido e il letto bagnato accrescevano i disagi causati da questo penoso trattamento. Ma il mio corpo vi si adattò, e devo confessare che la cura mi fece un gran bene nei quattro mesi in cui durò.
Schiava di un apparecchio?
Sebbene la dialisi peritoneale fosse utile, infine avrei dovuto servirmi di un rene artificiale. A tal fine dovetti sottopormi a due piccole operazioni, dette fistole arterovenose, per allargare una vena. Così è più facile introdurre gli aghi usati nella terapia con il rene artificiale (emodialisi). La prima operazione non riuscì. Il sangue si coagulò. Ma riprovarono col braccio destro, e questa volta andò bene. Dopo una degenza ospedaliera di quattro mesi, nel luglio del 1975 fui trasferita in un altro ospedale, dove vidi per la prima volta un rene artificiale.
Credo che quello sia stato uno dei periodi peggiori della mia vita. Guardando quell’apparecchiatura mi rendevo conto per la prima volta quanto sarei stata legata in futuro. Per il resto dei miei giorni avrei dovuto subire quel trattamento tre volte la settimana per almeno sei ore ogni volta, oltre a due ore di preparazione e di pulizia dell’apparecchiatura. Inoltre, non avrei mai potuto fare a meno del rene artificiale per lunghi periodi. Dopo una vita di libertà, e la possibilità di servire Geova Dio ovunque ci fosse bisogno, questo sembrava un terribile peso.
“Dovrà imparare”
L’emodialisi è un processo straordinario. Prima vengono infilati due aghi nelle vene. Attraverso un ago e qualche metro di tubo il sangue vien fatto affluire con una pompa peristaltica in un rene artificiale. Questo rene effettua la depurazione del sangue. Di lì il sangue passa attraverso altri tubi di plastica fino al secondo ago per essere reintrodotto nel corpo. L’apparato del rene artificiale si limita a regolare il processo.
L’uso degli aghi era, ed è ancora, qualcosa di molto difficile da sopportare. È doloroso e a volte bisogna fare diversi tentativi. Questo perché l’ago dev’essere infilato nella vena, e non deve trapassarla, se no il sangue fuoriesce, inondando il tessuto circostante e provocando un doloroso gonfiore o tumefazione. C’erano poi altri problemi dovuti al fatto di adattarmi mentalmente e psicologicamente al trattamento.
L’apparecchiatura mi sembrava così complicata che pensavo che non sarei mai riuscita a imparare ad usarla. Questo e i problemi causati dagli aghi mi angustiavano a tal punto da farmi piangere. Ma un’infermiera mi disse: “Dovrà imparare a usarla, altrimenti morirà”.
“Be’”, dissi, “ci sono cose peggiori della morte. La morte non mi spaventa”.
“D’accordo”, disse allora. “Guardiamo la cosa da un altro punto di vista. Nell’opera che lei compie, fa tanto per aiutare il prossimo. E la gente ha bisogno di quel tipo di aiuto, quindi pensi a loro e all’opera che può compiere”. Questo mi fece riflettere.
Ci fu qualcos’altro che mi incoraggiò molto. Quando arrivai all’ospedale, lo specialista in malattie renali venuto a visitarmi disse all’infermiera: “Saprà, immagino, che la signora Bull è una testimone di Geova. Si accerti che non le diano mai sangue. Non vogliamo che qualcuno venga qua attorno con flaconi di sangue in mano. Badi di scriverlo nella sua cartella clinica”.
Mettiamo su casa
Poiché ero così gravemente malata, fu indispensabile che mi fermassi permanentemente in un posto. Ma dopo avere viaggiato per anni, non avevamo casa. Affittarne una sembrava quasi impossibile, specie dal momento che per anni non eravamo mai rimasti in nessun posto se non per pochi giorni di seguito. Inoltre non avevamo i mezzi per arredare una casa. Ciò nondimeno, mentre io ero all’ospedale mio marito Bill si mise a cercare un posto dove avremmo potuto abitare. Pensammo alla promessa di Geova di non abbandonare mai i suoi servitori. — Salmo 37:35, 26.
Successe che altri due ministri in servizio continuo furono invitati a frequentare la Scuola missionaria di Galaad (Watchtower Bible School of Gilead). Quindi proprio nel momento in cui avevamo bisogno di un posto, loro lo lasciarono libero, e la casa fu affittata a noi. Ora avevamo il problema dei mobili.
Ricevemmo denaro e doni da ogni parte del paese. Per esempio, quando alcuni mobili usati di cui avevamo tanto bisogno furono disponibili al modico prezzo di 155 sterline (circa 350.000 lire), li comprammo, ma rimanemmo senza un soldo. La mattina dopo ricevemmo una lettera da una sorella cristiana che non conoscevamo e che non sapeva nulla del nostro acquisto. La lettera conteneva un assegno di 150 sterline!
Quando la casa fu pronta, uscii dall’ospedale dove però tornai ogni settimana per quattro mesi per la dialisi peritoneale. Da ogni parte del paese ricevetti oltre 500 cartoline e lettere di auguri, dove si parlava delle preghiere dette per la mia salute. Poiché mi sentivo più o meno impotente, il fatto di sapere di queste preghiere mi fu di infinito conforto. Durante tutto questo tempo, Bill continuò a servire le congregazioni della sua circoscrizione. Alla fine però dovette decidere di intraprendere un lavoro secolare per far fronte ai nostri impegni. Così si mise a fare lo spazzacamino.
Dialisi domiciliare
Poco dopo esserci sistemati nella nostra nuova casa, ricevemmo e installammo una moderna meraviglia della tecnologia: l’apparecchio per emodialisi domiciliare. È alto appena un metro e 22 centimetri e occupa una superficie di 70 centimetri per 70. Regola la temperatura, il flusso del sangue e la soluzione dializzante mediante cui il sangue viene depurato. Una serie di dispositivi di allarme relativi a questi e ad altri aspetti ne fanno un’apparecchiatura assolutamente sicura. Ciò nondimeno, il fatto di doverla usare impone a me e a Bill certe limitazioni. A quell’epoca Bill poteva lavorare solo due giorni e mezzo la settimana perché doveva essere sempre presente quando mi sottoponevo all’emodialisi. In anni recenti, però, due amorevoli sorelle cristiane vengono in giorni diversi e si occupano di me durante la dialisi. Se la pressione sanguigna scende troppo, posso sentirmi abbastanza male da svenire. Quindi anche se questo apparecchio è una benedizione, usarlo mette alla prova la pazienza di tutti gli interessati. Tre volte la settimana devo sottopormi a questo penoso trattamento della durata di sei ore.
Diciotto mesi di cura mi restituirono gradualmente le forze, permettendomi di impegnarmi in alcune attività cristiane. Poi nel febbraio del 1977 il mio rene sinistro, che si era ingrossato a dismisura, cominciò a perdere sangue. La dialisi domiciliare divenne una cosa impossibile e tornai all’ospedale. Però peggiorai e la perdita di sangue aumentò. Essendo fallite tutte le altre cure, mi fu posta dinanzi un’ultima speranza: le trasfusioni di sangue.
La morte trattiene la sua mano
Per quanto stessi male e fossi moribonda, respinsi questa proposta. Dallo studio della Bibbia sapevo che sarebbe stato contrario alla legge di Dio. (Vedi Genesi 9:4; Atti 15:29). Ma i miei valori dell’esame emocromocitometrico continuavano a scendere. Ero sempre più insonnolita. L’emorragia esterna si arrestò, ma, internamente, i globuli rossi continuavano a morire. Poi entrai in coma. Vi rimasi quattro giorni e mezzo, durante i quali l’emoglobina scese a un livello incredibilmente basso: 1,8 grammi. Molto tempo prima di ciò era stata abbandonata ogni speranza. Ai miei familiari e amici fu detto che non avrei superato la notte.
Il quinto giorno però mi svegliai, vidi mio marito e dissi: “Bill, mi dai un bicchier d’acqua, per favore?” Mi tirai su a sedere e bevvi mentre Bill mi pettinava. Ma poi mi sdraiai di nuovo e mi addormentai. ‘Questa è la fine’, pensò Bill. Ma fu in effetti un momento decisivo. Con sorpresa di tutto il personale ospedaliero, cominciai a sentirmi meglio. Dissero che era stato “un miracolo”. Io invece pensai che la Parola e la legge di Geova si erano dimostrate giuste.
Cominciò quindi un periodo difficile. Ero debolissima, non potevo camminare e soffrivo di una terribile depressione. Ma dopo poco fui di nuovo a casa. Mi consideravo permanentemente invalida, bisognosa d’essere trasportata ovunque andassi. Comunque, il livello dell’emoglobina cominciò a salire. Alla fine di settembre mi fu tolto il rene malato. A questo punto il mio livello dell’emoglobina era salito a 11,9 grammi, e anche dopo l’operazione si mantenne incredibilmente sui 10,3 grammi! Il chirurgo osservò che di tutte le nefrectomie (asportazioni di reni) da lui eseguite, questa era stata quella in cui era stato perduto meno sangue. Dieci giorni dopo, quando mi tolsero i punti, il livello dell’emoglobina era di 11,3 grammi, un livello molto elevato per i malati di reni, molti dei quali sono regolarmente sottoposti a trasfusioni di sangue.
Dipendere dal rene artificiale
Dipendere da un rene artificiale vuol dire imparare a vivere senza poter fare molte cose. Ciò nondimeno, posso fare le faccende di casa e cucinare. Partecipo anche regolarmente alla predicazione della buona notizia del Regno di casa in casa e assisto a tutte le adunanze della congregazione. Anche se posso lasciare la mia casa solo per due o tre giorni di seguito (il quarto giorno devo fare la dialisi), ho potuto anche assistere ad assemblee di circoscrizione e nazionali dei testimoni di Geova.
Per quanto riguarda la mia dieta, devo evitare i cibi contenenti molto potassio e sale; non troppa frutta, niente cioccolata, niente noci né frutta secca. Devo limitarmi al pane bianco e mangiare solo quei dolci fatti con semplice farina. Posso bere solo un po’ di caffè o di tè se è leggero. Bevande a base di cioccolata, vino e birra sono vietati.
Nonostante tutto ciò, mi reputo fra le donne più fortunate. Geova mi ha fatto oggetto di tante amorevoli cure e attenzioni. Ho un marito devoto che continua ad aiutarmi in ogni modo. Anche meravigliosi fratelli e sorelle cristiani hanno fatto tanto per rafforzarmi durante tutti questi anni. Né parlerò mai troppo della gentilezza mostratami dai medici chiamati a consulto, dai chirurghi e dal personale ospedaliero. Più di una volta ai nuovi medici chiamati a consulto e alle nuove infermiere è stato detto che stavo quasi per morire per il sangue perduto, che ho rifiutato le trasfusioni, eppure ora i miei valori dell’esame emocromocitometrico sono normali.
Ho imparato che sebbene la morte sia una nemica, non è una nemica da temere. Ho camminato nella valle della profonda ombra, ma non ho mai dovuto temere nulla di male. (Salmo 23:4) Sia che viviamo o che moriamo, viviamo o moriamo per Geova, poiché la nostra vita è nelle sue mani. (Romani 14:8) ‘Come posso ripagare Geova di tutti i benefici di cui mi ha colmata?’, mi sono chiesta spesso. (Salmo 116:12) Il dono della vita è veramente prezioso, un dono che ora ho grazie all’aiuto di Dio, all’amorevole dedizione di personale medico qualificato, e al rene artificiale. — Narrato da Dorothy Bull.
[Testo in evidenza a pagina 20]
Essendo fallite tutte le altre cure, mi fu posta dinanzi un’ultima speranza: le trasfusioni di sangue
[Testo in evidenza a pagina 20]
Ai miei familiari e amici fu detto che non avrei superato la notte
[Testo in evidenza a pagina 21]
‘Questa è la fine’, pensò Bill. Ma fu in effetti un momento decisivo
[Testo in evidenza a pagina 22]
Ho imparato che sebbene la morte sia una nemica, non è una nemica da temere
[Immagine a pagina 19]
Devo sottopormi all’applicazione del rene artificiale tre giorni la settimana per almeno sei ore al giorno, ma sono viva