“La verità vi renderà liberi”
ERO una tossicodipendente. Per quasi vent’anni sono vissuta sotto un incubo. Cominciò tutto molto innocentemente, senza che me ne accorgessi.
Avevo diciotto anni a quell’epoca. Mi ero diplomata da poco come maestra, qui in Argentina. Dietro insistenza di mia madre, che senza dubbio nutriva le più rosee speranze per me, cominciai a studiare biochimica.
Ma avrei preferito starmene a casa con mia madre, imparare a cucinare, cucire e occuparmi della casa. Ero timida, chiusa, malinconica, tranquilla: il tipo introverso e amante della casa. Mi mancavano l’audacia e l’iniziativa che questo mondo considera così necessarie.
Verso quell’epoca cominciai a ingrassare un po’. Sono alta circa un metro e trenta e, come tutte le ragazze che si preoccupano della linea, non mi andava l’idea di pesare appena più del normale.
Parlai della cosa con mia madre e decidemmo di consultare il medico. Andammo da un endocrinologo, un esperto di metabolismo e nutrizione. Mi mise a dieta, mi diede qualcosa per la tiroide e delle pillole per togliermi l’appetito. Mi sentii magnificamente e persi subito i chili in più!
Nella morsa del vizio
Però avevo preso il vizio della droga, perché quelle pillole erano amfetamine. Le amfetamine e i loro componenti sono le sostanze contenute nelle pillole per dimagrire e per tener svegli gli studenti mentre si preparano per gli esami e hanno bisogno di più tempo per studiare. Queste sostanze danno la sensazione d’avere un’intelligenza molto pronta. Producono un senso di euforia, di sicurezza e spingono letteralmente a muoversi, ad agire, a pensare in fretta, a superare chiunque altro. Danno anche luogo ad assuefazione.
Dalle amfetamine passai all’Actemin, una droga più forte pure contenente amfetamine. Dopo essermi preparata per un esame mi sentivo completamente esausta sul piano fisico e mentale. Il mio corpo e il mio cervello chiedevano disperatamente il riposo per ricuperare, almeno dieci giorni di sonno e di riposo, ma era impossibile fermarsi. I prossimi esami, gli studi, il lavoro — ero assistente di un professore — non si potevano interrompere solo perché avevo dato un esame. Così prendevo dosi sempre più forti di droga.
Mi stavo distruggendo con le mie mani. Avrei voluto smettere, ma non ci riuscivo proprio. Significava rinunciare alla carriera, ritirarmi proprio nel fiore degli anni e dormire per il resto della mia vita! Così mi sentivo. Come potevo dire a mia madre, che nutriva speranze così luminose per me: “Mamma, non posso continuare a studiare. Ho bisogno di riposare per non so quanto tempo”?
Tragedie in famiglia
Mi sposai ed ebbi due figli. In tutto quel tempo continuai a drogarmi. Il mio secondo figlio si ammalò. Aveva una strana malattia che i medici diagnosticarono, con qualche incertezza, come encefalite; di conseguenza, non si sviluppò mentalmente come avrebbe dovuto. Non so se fosse per il fatto che prendevo la droga. Ero disperata perché mio figlio non avrebbe avuto un posto tra i forti e i potenti di questo mondo.
A questo punto dovevo prendere la droga anche solo per alzarmi la mattina e affrontare la realtà della mia vita: la casa, i figli, mio marito. La mia vita era completamente disorganizzata. Quanti problemi! Caddi nella più nera depressione e fui presa dall’ansia, specie a causa della malattia di mio figlio. Mio marito ed io non andavamo affatto d’accordo. Fui ricoverata due volte in un ospedale psichiatrico.
Lì cominciai a usare i barbiturici, sonniferi. Ah, dormire e dimenticare tutto! Quando uscii dall’ospedale, per affrontare la cruda realtà della vita, cominciai a prendere sia le amfetamine che i barbiturici. Alla fine dovetti mettere mio figlio in un istituto per deficienti. Lì, a undici anni, terminò la sua breve esistenza. Mi sentii come se mi si spezzasse il cuore, così grandi erano il dolore e la sofferenza.
Mio marito ed io ci eravamo separati e avevamo venduto la casa. Usai la mia parte per pagarmi il vizio della droga. Affidai l’altro mio figlio a parenti, dato che non lavoravo e quello che mio marito mi passava non bastava per tutt’e due. I lunghi anni di separazione da mio figlio mi causarono ulteriore pena e sofferenza.
Nel tentativo di risolvere i miei problemi mi trasferii a Mar del Plata, dove trovai lavoro in una fabbrica per la lavorazione del pesce. Il mio guadagno bastava appena per pagare la stanza che condividevo con altre ragazze e per concedermi una misera esistenza. Studiavo anche in laboratorio, mentre mi struggevo dal desiderio di vedere mio figlio ogni tanto. Com’era triste e vuota la mia vita! Terminai il corso di laboratorio, pensando che col diploma avrei potuto trovare un lavoro più redditizio e mi sarei riunita a mio figlio. Che delusione! Nel campo professionale c’è ancor più competizione ed è più difficile trovare lavoro. Ci vuole sempre la raccomandazione di gente influente e io non conoscevo nessuno.
Col denaro che ora ricevevo da un’eredità cominciai a pagare un pezzo di terra. Disperata andai a trovare mio figlio e gli chiesi se, essendo estate, voleva vivere temporaneamente con me in una tenda sulla terra che avevo comprato. Entrambi avevamo sofferto moltissimo per la separazione. Mio figlio, che a quel tempo aveva solo quindici anni, accettò. Fu così che verso la fine del 1975 abitavamo insieme in una tenda.
Pregai per ricevere aiuto
Ricordo bene che era la notte del 31 dicembre e in mezzo a tutto il rumore dell’ultimo dell’anno feci una preghiera. Con fervore supplicai Dio, che non conoscevo ancora, di non separarmi mai, mai più, da mio figlio.
Naturalmente continuavo a prendere la droga. Altrimenti il mio cervello non funzionava. Ora non solo dovevo continuare a vivere per mio figlio, ma dovevo anche fare progetti per il futuro. Il denaro stava sfumando rapidamente. Bene amministrato, sarebbe bastato per noi due, ma dovevo mantenermi il vizio della droga.
Ben presto si affacciò alla mia mente il pensiero di uccidermi insieme a mio figlio.
Alcuni giorni dopo una testimone di Geova passò dalla nostra tenda e ci lasciò alcune copie della rivista Torre di Guardia. Avevo letto alcuni articoli quando dissi a mio figlio: “Questo è ciò che ho sempre cercato!” Alcuni giorni dopo la Testimone tornò e ci invitò gentilmente a pranzo a casa sua dove ci parlò del Regno. Mi sentii come se avessi fatto un viaggio in un mare in tempesta e fossi infine sbarcata in un porto calmo e tranquillo. Rivedere il mio figlio morto! Oh, era troppo sperarlo? — Giov. 5:28, 29.
Non appena udii quel meraviglioso messaggio, sentii che non potevo piacere a un Dio così amorevole prendendo la droga. Inoltre, perché continuare a prenderla dato che ora avevo in me un’altra forza, una potente motivazione, questa meravigliosa speranza? Con mia gioia, fu l’incentivo per continuare a vivere e cambiare la mia vita.
Vittoria sul vizio!
Certo, non fu facile, non dopo avere imbottito il mio corpo di droga per quasi vent’anni e averlo fatto funzionare solo con essa. Appena udii quel messaggio di vita smisi immediatamente, da un giorno all’altro. Ma il mio corpo chiedeva la droga. Ero decisa nondimeno ad affrontare la vita con mio figlio, a organizzare la nostra esistenza disorganizzata. Geova mi diede la forza di farlo. La sua verità mi stava rendendo libera! — Giov. 8:32.
La Testimone che studiava la Bibbia con noi ci invitò ad andare a stare con lei, dove saremmo stati più comodi, e alla fine accettammo. Da lei imparai i principi fondamentali del governo della casa e della cura della famiglia, poiché anche lei aveva figli. Le sono profondamente grata di tutto.
Sia mio figlio che io lottammo tenacemente, lavorammo sodo e con una buona amministrazione del denaro e l’aiuto e la benedizione di Geova riuscimmo a metter su una casa modesta, che per noi rappresenta più di quello che ci saremmo mai sognati.
Ora si presentò un altro grave problema. Quando smisi di prendere la droga, pesavo solo quarantotto chili e in meno di un anno arrivai a settantacinque. Fu un’altra dura prova per me; non potevo vedermi in quelle condizioni.
Che fare per dimagrire? Il problema mi preoccupava. Non volevo prendere neppure un’aspirina, tanto meno qualcuna delle altre droghe che avevo preso in passato. Sfogliai diligentemente tutte le pubblicazioni dei testimoni di Geova per trovare qualche informazione in merito. Scoprii alcune regole semplici ma molto efficaci seguendo le quali ottenni meravigliosi risultati. Dopo quasi due anni di dura lotta per padroneggiarmi, riacquistai il peso di prima. Nemmeno questo fu facile. Ma mi sento meglio fisicamente, mentalmente e spiritualmente.
Quando a volte sentivo mancarmi le forze, chiedevo aiuto a Dio e lo ricevevo. Ho visto personalmente la veracità delle parole di I Giovanni 3:22: “Qualsiasi cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le cose che sono piacevoli agli occhi suoi”.
Sia mio figlio che io siamo ora cristiani dedicati e battezzati, ed io sono impegnata a tempo pieno nella predicazione del regno di Dio. È il mio modo per ringraziarlo di tutta la Sua immeritata benignità. — Da una collaboratrice.