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  • g71 22/4 pp. 21-23
  • Gli aborti dal punto di vista di un medico

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  • Gli aborti dal punto di vista di un medico
  • Svegliatevi! 1971
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  • Reazione del personale ospedaliero
  • Pazienti “sane”
  • Di chi è la colpa?
  • Uno sguardo al problema degli aborti
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Altro
Svegliatevi! 1971
g71 22/4 pp. 21-23

Gli aborti dal punto di vista di un medico

IN PIÙ di trent’anni di professione quale chirurgo, ho visto molte cose. Ma non ero abbastanza preparato alla scena che si è presentata ai miei occhi questa mattina, 11 agosto 1970. Era il mio primo giorno di lavoro nell’ospedale di Brooklyn dopo che era divenuto legale per i medici dello stato di New York procurare aborti a volontà.

Mentre mi avvicinavo al reparto operatorio per la pratica chirurgica che avevo in programma per quel giorno, notai prima la fila di lettini d’ospedale [brande a quattro ruote] nel corridoio fuori del reparto operatorio stesso. Su ciascuno era una giovane paziente che sonnecchiava a causa della medicina presa prima dell’operazione, in attesa del suo turno per l’aborto. Dentro il reparto operatorio, che consiste di tre sale operatorie, era immediatamente evidente che tutti — medici, infermiere, anestesisti, ordinari e vari aiutanti — lavoravano con una tensione maggiore del solito occupati nelle operazioni di aborto. Queste operazioni erano compiute al ritmo di una ogni quindici minuti circa.

Reazione del personale ospedaliero

Controllando la scheda delle operazioni del giorno, notai che il mio caso era il solo “legittimo” per il giorno, essendo gli altri ventiquattro in programma tutti aborti. Era ovvio che il personale addetto alle operazioni non era felice di questa situazione. Quando commentai che mi sentivo alquanto fuori luogo, poiché facevo la sola pratica chirurgica del giorno, uno degli anestesisti, a me del tutto sconosciuto, attraversò la sala operatoria, mi afferrò per un braccio e lo scosse e se ne andò via senza una parola. Lo presi come indicazione che era d’accordo con il mio disgusto per la situazione.

Durante il corso dell’operazione, ci fu una considerevole conversazione sulla questione degli aborti. Parecchi infermieri e assistenti infermieri indicarono che provavano un tale senso di rivolta contro queste condizioni che pensavano di fare qualche altra specie di lavoro fuori della sala operatoria. Alcuni dicevano perfino di voler lasciare il lavoro da infermiere.

Poiché la legge dello Stato di New York permette gli aborti incluse le gravidanze fino a una gestazione di ventiquattro settimane, parecchi delle due dozzine di casi in programma per questo giorno erano donne che si trovavano in una condizione di gravidanza ovviamente ben avanzata. In tali casi l’aborto non è un’operazione semplice come lo è comunemente nel caso di una gravidanza della durata da quattro a sei settimane. Interrompere una gravidanza di ventiquattro settimane vuol dire quasi sempre che è necessaria l’isterotomia. Questo significa aprire l’utero con un incisione addominale e rimuovere il feto in modo molto simile al taglio cesareo. Uno degli infermieri che aveva assistito a parecchi di questi casi mi confidò che “il bambino viene tolto e messo a morire su una padella”.

Il feto di una gestazione di ventiquattro settimane è, naturalmente, sviluppato tanto da essere riconosciuto con facilità come una creatura umana dalle parti distinte. È in grado di muoversi ed emettere suoni e fare almeno tentativi di respirazione. È perciò considerato un individuo potenzialmente vivente.

Un inserviente della sala operatoria mi disse che si era rifiutato di pulire le sale operatorie dove si procuravano aborti, perché tale attività violava la sua coscienza relativamente alla santità della vita. Egli disse che pulendo una di tali sale operatorie aveva trovato la gamba di un feto sul pavimento, e altri nel reparto operatorio lo confermarono. Da allora aveva deciso di non lavorare nelle sale operatorie che erano usate per questo scopo. Infatti, era sua intenzione smettere di lavorare del tutto nell’ospedale e di cercare lavoro in una fabbrica. Anche l’assistente del direttore del reparto operatorio mi informò che essa pure avrebbe rinunciato lì al suo posto per cercare lavoro altrove.

Un giovane dottore filippino che faceva pratica chirurgica e mi assisté nella mia operazione espresse la sua delusione per il fatto che non riceveva addestramento in tutti i campi della medicina. Questo accadeva perché tanto del suo tempo era richiesto per badare ai casi di aborto. Egli pure espresse il suo scoraggiamento perché i medici americani cercavano di giustificare le loro azioni dicendo che avrebbero apportato un contributo nella cosiddetta esplosione della popolazione. Per lui si trattava di lasciare che il fine giustificasse i mezzi.

Pazienti “sane”

Completato il trattamento chirurgico, visitai la mia paziente nella stanza della convalescenza. Ella era circondata da circa mezza dozzina di ex madri addormentate, le quali, dopo essersi riprese, eran portate nelle corsie dell’ospedale per alcune ore prima di venire dimesse. Poiché stavo per lasciare l’ospedale non potei fare a meno di notare che l’ufficio accettazione sembrava molto irreale, con una fila di giovani donne dall’aspetto sano che attendevano d’essere ammesse. Una fila simile era allo sportello della cassiera, dove eran dimesse quelle alle quali era stato procurato l’aborto il giorno precedente.

Fuori dell’ospedale erano molte ragazze e giovani donne, alcune che venivano, alcune andavano. In alcuni casi erano accompagnate da donne più anziane che sembravano le loro madri. Ricordai che le relazioni di una pubblicazione medica (Medical World News, 21 agosto 1970) descriveva una gran quantità di domande arretrate per 5.000 aborti negli ospedali municipali della città di New York, che in alcuni ospedali erano in attesa da sei a otto settimane.

Di chi è la colpa?

Mentre mi allontanavo in macchina dall’ospedale ero alquanto scosso, per dire il meno. Nella mia mente cominciarono ad affollarsi domande, che richiedevano una risposta. Di chi è la colpa? Quale sarà il prossimo passo che l’uomo farà cercando di correggere certi problemi sociali o il continuo aumento della popolazione?

Pensai ai medici che in genere giustificano la loro parte dicendo di ritener d’aiutare donne sfortunate. Ma è questo il loro reale o solo motivo? Non sono anche interessati ad aiutar se stessi pecuniariamente? Molti, naturalmente, si son rifiutati di prendervi parte. Ma altri mostrano in modo evidente di divenire “specialisti” in una pratica che, fino ad alcune settimane fa, era considerata delittuosa e immorale.

Pensai ai politicanti che rendono tali cose come gli aborti legali. La colpa, comunque, è la loro solo in parte, poiché non fanno in realtà che riflettere la volontà e i desideri dei loro elettori, il popolo che rappresentano.

Pensai anche alle chiese della cristianità e ai loro ecclesiastici. Mentre altri erano senza dubbio responsabili in grande misura, mi sembrava ovvio che il clero era il più responsabile. Non è prerogativa dei medici né dovere degli insegnanti né campo dei legislatori insegnare al popolo i princìpi morali, né inculcare in loro un alto riguardo per la vita. Queste sono cose di natura religiosa e per anni si è supposto che ne ricadesse la responsabilità sul clero.

Quante delle giovani donne che vidi lì quel giorno vi erano per abortire perché non era stato insegnato loro dagli ecclesiastici che i rapporti sessuali prematrimoniali sono specificamente condannati nella loro propria Bibbia? Quante erano donne sposate che avevano una buona reputazione nella loro chiesa, eppure mostravano una completa mancanza di riguardo per la vita dei loro bambini nascituri?

Gli aborti hanno suscitato alcune grida di protesta da parte di organizzazioni religiose, ma la forza di queste proclamazioni di orrore si perde nelle realtà d’oggi. Le stesse persone che procurano gli aborti, approvano le leggi riguardo agli aborti, generano nascituri figli illegittimi, e anche le donne che abortiscono sono state in maggior parte educate in famiglie religiose e un gran numero d’esse sono attualmente nelle loro comunità rispettati membri delle chiese!

Sono convinto che le chiese son venute meno. Il clero si è reso colpevole nel suo ruolo d’insegnante, consigliere e sostenitore della morale e dell’amore della vita. Non v’è dubbio nella mia mente se non che le chiese non hanno impresso nella mente e nel cuore dei loro seguaci una verità basilare, che la vita è cioè uno dei nostri più preziosi beni! — Da un nostro collaboratore.

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